Un viaggio in ascensore
Ci sono frasi sentite, sussurrate, captate che ci restano dentro e accompagnano per tutta la vita, anche se quando sono state proferite non le abbiamo magari comprese bene, ci hanno solo accarezzato l’anima, si sono insinuate in una parte molto profonda di noi e poi tanto tempo dopo, molti anni magari, è accaduto qualcosa nella nostra vita che ci ha riconnesse ad esse, aspettavano solo un evento, meccanico o naturale, che ce le potesse fare sperimentare e gustare e vivere in tutta la loro pienezza.
Tanti anni fa la mia professoressa delle medie durante la lezione ci parlava di anima, di personalità, di bagaglio emotivo che ci accompagna per sempre e ricordo ancora la dolcezza con cui spiegava a una mia compagna di classe “non è scontato tu faccia entrare qualcuno nella parte più profonda di te, nel tuo mondo, non in maniera completa, magari lo vorrai nella sua essenza più profonda tenere almeno in parte tutto per te, non sempre ci si condivide per intero e si permette l’accesso neanche al proprio compagno o compagna di vita, nè agli amici più cari, neanche ai propri familiari”.
Poco tempo dopo questo evento, queste parole che mi avevano si colpito ma non avevo compreso in tutta la loro portata, perché non avevo ben coscienza di quale fosse quella parte solo mia pur vivendola, ho ascoltato una canzone dal titolo “Nel cuore nell’anima” :
“Nel mio cuor, nell’anima
c’è un prato verde che mai
nessuno ha mai calpestato, nessuno
se tu vorrai conoscerlo
cammina piano perché
nel mio silenzio
anche un sorriso può far rumore”.
Un testo bellissimo che fa riferimento proprio allo spazio più intimo e prezioso che alberga in ciascuno di noi, uno spazio sacro, fatto dell’essenza più vera della persona, quello che non lo qualifica per titolo di studio, professione, caratteristiche fisiche e forse neppure psicologiche, quello che fa “di noi veramente noi”.
Il ricordo di quei giorni che ci hanno resi noi stessi, ciò che ci emoziona e ci commuove, ciò che ci terrorizza e magari per esorcizzarne la paura ridimensioniamo, svilliamo, i sogni che non confidiamo perché temiamo si dissolvano alla prima parola condivisa su di loro, le capriole che fa la nostra mente quando la lasciamo libera di danzare senza imbrigliarla nelle logiche della razionalità, gli spettacoli della natura che ci rapiscono, gli odori che ci fanno vibrare perché ci riportano lontano, il suono del fruscio delle foglie nel quale ci siamo rotolati da piccoli pensando che quel momento sarebbe potuto durare all’infinito…e tanto altro ancora.
Io nel mio mondo nelle sue stanze più segrete non ci ho fatto entrare nessuno per moltissimo tempo e quando ho fatto accomodare qualcuno in anticamera neanche nel suo cuore, molto spesso è accaduto qualcosa di poco piacevole, di doloroso, me ne sono pentita amaramente, questo ha rafforzato in me la convinzione che in certi luoghi è bene vietare l’ingresso, tenerli blindatissimi, non profanarli, temevo che una volta sporcati poi avrei perso la parte più vera di me e che avrei faticato troppo a ritrovare.
Forse una parte di me, quella più condizionata da paure e ferite la pensa ancora così, però è accaduto che un bel giorno, non tutto in una volta, piano piano, seguendo un processo molto morbido e molto graduale io abbia permesso a una persona di entrare nella parte più profonda di me: nel mio Grandangolo, nel mio caleidoscopio di luci e ombre.
E’ stato come un viaggio in ascensore, in uno di quelli lentissimi degli anni Settanta, che ogni tanto si bloccano e poi ripartono, un viaggio condiviso con una persona con cui mi sono sentita talmente a mio agio da desiderare che il tragitto insieme fosse all’interno di un grattacielo americano altissimo da percorrere dal piano terra all’ultimo piano e poi repeat all’infinito, o sopra a una ruota panoramica enorme la più grande del pianeta, dalle quale a seconda del tratto si può godere di uno spettacolo sempre diverso, l’orizzonte in lontananza (pensieri grandi maestosi e raffinati) ma anche la visione di oggetti e una visuale molto vicina alla terra (scherzi e discorsi leggeri leggeri).
Un tragitto impegnativo e soffice, morbido, facile, fatto un poco per volta ma anche tutto in una volta, con desiderio di guardare e mostrarsi e un po’ di paura di guardare e mostrarsi, come quando si fa entrare qualcuno in casa senza preavviso e gli si raccomanda molte volte
“c’è un disordine qua…non prendere paura eh?”.
Si sente benissimo che non accadrà, che nessuno prenderà paura
Si c’è un gran disordine, si non è tutto a posto ma io mi fido di te e voglio assolutamente farti entrare e mostrarti tutto, non l’argenteria lucidata a puntino ma quelle pile di maglie lasciate sparse un po’ ovunque, ognuna ha una storia da raccontare.
La domanda è sempre e solo una: Qual è il segreto dell’alchimia tra due persone? Cosa fa in modo che con talune persone anche dopo decenni si continui a restare in superficie e che con altre ci si confidi? Ci si conceda il lusso di essere se stessi?
Forse la risposta è semplice e ha il proprio vertice in quegli incastri che sono o perfetti o imperfetti, o ci sono o non ci sono, qualcosa di molto animico e poco razionale, o forse più semplicemente la risposta arriverà tra tanti anni come è stato per la riflessione sulla parte più autentica di sé ascoltata tanto tempo fa e compresa solo di recente, e allora quel giorno sorriderò e penserò “Ah ecco è proprio così, ora ho capito cosa significavano quelle parole!”.
Intanto io mi godo il mio viaggio in ascensore.
Chiara Macina