Il teatro della cittadina di Dunedin, nell’estremo sud della Nuova Zelanda, ha scelto di usare questo cartello per dare un messaggio di inclusività verso tutte le differenze.
A comunicare la novità è stato lo stesso Regent con un tweet inviato dal suo account ufficiale. Com’è evidente, il cartello mette il bagno a disposizione di persone di qualsiasi genere e natura, compreso un alieno, sotto al quale si legge:
“Qualsiasi cosa, basta che vi laviate le mani”.
“Vogliamo che le persone siano rilassate e per questo abbiamo scelto questo cartello – ha spiegato Hannah Molloy, responsabile del marketing per il Regent Theatre -. Toglie tutte le ansie alle persone che si possono sentire sotto pressione ad andare in un bagno destinato ad uno specifico genere, o ad un altro, quando magari non si identificano con nessuno dei due”.
Personalmente questo cartello mi lascia un po’ perplessa, e non posso fare a meno di chiedermi: “Abbiamo davvero bisogno di un cartello per ricordarci che “teoricamente” facciamo parte di un unico genere, quello umano?
E non dico teoricamente in senso provocatorio, ma come realtà dei fatti. Possiamo raccontarci quello che vogliamo, ma siamo così certi di essere “inclusivi” verso tutte le differenze che ci circondano? Nella teoria siamo tutti dei fenomeni, ma nella pratica la nostra barca fa acqua da tutte le parti.
Che poi voglio dire, perché lo stesso cartello non lo mettono all’interno dei locali? O esposto sui mezzi pubblici? O in qualunque altro ambiente “teoricamente aperto a tutti?” Perché proprio in un bagno? Cosa si vuole impedire, le crisi di identità dei confusi? O forse vuole dare l’immagine evoluta di una società aperta e rispettosa dei bisogni e della natura di tutti?
La realtà, cari miei, è ben lontana dal messaggio esposto, che sinceramente offende la mia intelligenza e la consapevolezza della realtà in cui siamo invece immersi.
Non c’è inclusività perché non c’è rispetto delle differenze. E non c’è rispetto per il diverso perché non c’è conoscenza. C’è invece giudizio e paura di ciò che è lontano da noi e che non comprendiamo, e la tendenza ad isolare e allontanare ciò che percepiamo come una minaccia.
Gli unici davvero inclusivi, fino a quando non vengono influenzati dall’ambiente familiare o societario che frequentano, sono i bambini. Per loro l’unica cosa importante è giocare, possono notare le differenze fra i partecipanti, ma una spiegazione semplice e onesta elimina qualunque dubbio o perplessità.
Il problema sono gli adulti. Vi sembra normale che si debba mettere un cartello del genere per cercare di unire “le genti”, o comunque per porre l’attenzione su un aspetto che oggi più che mai divide la società?
Siamo arrivati davvero così in basso? Abbiamo fallito così miseramente come genere?
Che poi questo è solo la punta dell’iceberg. Cosa dobbiamo aspettarci ancora per mostrare al cosmo quanto siamo cretini? Cartelli in cui si fa un’equazione in cui un bianco sta a un nero come un mussulmano sta a un cattolico? E poi ci chiediamo perché gli extra terrestri non ci vengano a trovare.
Oppure mi immagino ristoranti in cui ci sono cartelli che spiegano come bere da un bicchiere senza sbrodolarsi, o come usare un coltello senza uccidere il vicino commensale.. E guardate che nel loro piccolo, i supermercati già da anni hanno creato cartelli in cui si dice di dare la priorità alle casse alle donne incinta o ai portatori di handicap. E la cosa più triste, è che se ti vedono con la pancia di due metri per due ma non chiedi nulla, o sulla carrozzina in fila con gli altri, col cazzo che ti fanno passare! Eppure c’è il cartello!!!!!
Siamo falsamente evoluti così come falsamente inclusivi, poco intelligenti e tristemente moralisti. Non voglio fare di tutta l’erba un fascio, perché c’è un piccolo spicchio di umanità che almeno ci prova ad essere migliore, ma la strada è lunga e non basta un cartello fuori da un cesso per far sembrare una città o una comunità più aperta.
Sapete cosa abbatte i muri dell’ignoranza e dell’esclusività?
La tragedia, il disastro, la triste consapevolezza di essere tutti sulla stessa barca che sta per affondare. Ecco che le differenze si azzerano, che non guardi più chi ti sta aiutando a sopravvivere con gli occhi foderati di prosciutto, ma lo fai con la maturità di chi vede un altro essere umano che rischia magari la sua vita per salvare la tua. Sono certa che in una condizione del genere nessuno farebbe caso al colore, alla nazionalità, alla religione o al genere sessuale, e non ci sarebbe neanche bisogno di un cartello.
Credo che il primo passo verso l’evoluzione sia quello di un bagno di sana onestà verso se stessi, prima di tutto, seguito dalla volontà di conoscere il diverso e scoprire magari che poi tanto diverso non è.
Senza conoscenza non c’è progresso, crescita e neanche aggregazione.
Senza dialogo non c’è comprensione.
Credo fermamente che non sia necessario convincere le persone che siamo tutti uguali, perché in realtà non è così. Credo invece sia necessario educare i cuori all’accettazione e al rispetto di ciò che è diverso da noi, partendo dal presupposto che diversità non è minaccia né pericolo, ma opportunità di crescita, di scoperta, e questo non vale solo per il genere sessuale, ma per tutto, dall’aspetto fisico all’ideologia.
Un cartello che ci spiega come vivere…no cazzo, eh?!!
Maruska Cappelletti