martedì , Dicembre 3 2024

Tre quarti a me un quarto e tutto il mio amore a te

Le cicche di Braccio di Ferro, quelle verdi tagliate a listarelli sottili, simili a spinaci, quelle a forma di sigaretta, bastoncini di colore rosa con cui i bambini degli anni Ottanta facevano finta di fumare e che oggi sarebbero giudicate dal Garante dei minori politically non correct,ma anche i Fonzies, le patatine cotte al forno, come promettevano lettere cubitali scritte in rosso sulla confezione, che regalavano alle mamme l’illusione di offrire ai figli, una merenda gustosa e salutare e  gli Yonkees le chips a forma di anello che potevano essere infilate al dito e che come recitava lo slogan pubblicitario “se non ti lecchi le dita godi solo a metà”. Questi sono solo alcuni dei sapori della mia infanzia, tutti mi legano a mio fratello. I nostri genitori non ci hanno viziato, non ce ne comperavano uno ciascuno, ma uno da dividere, con la raccomandazione “fate a metà”, e le porzioni ero io, dall’alto del mio ruolo di sorella maggiore a farle e spesso erano tre quarti a me e un quarto a lui, a volte io cominciavo un chewingum e quando lo avevo ben ruminato e privato di ogni aroma lo sputavo e glie lo offrivo sorridendo.

Il passato non è mai come ce lo si ricorda e il futuro mai come lo si immagina, io ricordo di avere badato molto mio fratello, di averlo aspettato all’uscita da scuola, di avergli preparato la merenda, di avergli insegnato ad attraversare la strada, lui ricorda di essere sopravvissuto all’infanzia nonostante me.

Sono stata una sorella un po’ despota e un po’ ingombrante ma non c’è stato un solo giorno della mia vita in cui non abbia desiderato il meglio per mio fratello.

I legami più profondi, quelli che affondano le radici nell’infanzia, in immaginarie lotte, in pupazzi che si animano come d’incanto, in corde che uniscono il balcone di una camera all’altra permettendo a sacchi di plastica di divenire veicoli di comunicazione e scambio di oggetti, sono solo quelli, nei momenti difficili a darci la forza di ritrovare l’amor proprio e di rialzarci, sono quelli a ricordarci chi siamo quando il dolore impedisce di avere una visione chiare di se stessi, mio fratello è stato questo per me, un’ancora di salvezza, un faro nella notte, la mia coscienza critica, la mia voce interiore più reale.

“Anche il più rumoroso dei fratelli diventa silenziosissimo quando comprende che la propria sorella ha il cuore a pezzi”. L’ho sempre fatta franca nella mia vita, tante volte con i miei genitori, numerose volte con mio marito, mai con mio fratello, a lui non l’ho mai raccontata.

Capita spesso che amici e conoscenti mi elogino per il mio self control, per la mia pacatezza, a volte si complimentano per la lucidità che riesco a mantenere nei momenti di stress, non mi conoscono affatto, quando mio fratello mi vede mi fa sempre la solita domanda “come va la riunione condominiale che c’è nella tua testaccia? Chi vince l’inquilino del primo o del terzo piano?”.

Lui sa benissimo quando sono agitata e quando sono tranquilla,  io a mio fratello racconto tutto, arrivo a casa, apro la porta della sala senza bussare, mi siedo intorno alla tavola dove qualche anno fa sedeva il babbo a studiare e dove ora lui lavora al computer e lo aggiorno sulle mie vicende, i tormenti, i dubbi, i sogni, lui non alza lo sguardo dal pc, pare quasi che non mi calcoli affatto, non dice niente, poi alza la testa e mi fa “a me non me la racconti mica”e mi elenca una ad una, le cose che veramente desidero, perché ho agito in un certo modo, cosa speravo di ottenere, rende materiali le risposte che si annidano nel mio animo, le verità che non voglio ammettere, dà loro voce,  a volte credo veramente che lui sia la sola persona per la quale non ho segreti, che mi vede per quella che sono e mi ama per questo, e tutto ciò mi dà fiducia annienta la sensazione di essere sbagliata, risveglia il mio amor proprio e mi regala dignità.

I fratelli sono come gli abbracci, i biscotti del Mulino Bianco, diversi ma uniti, legati per sempre, io non so in che modo abbiamo elaborato il nostro comune codice genetico, in cosa siamo simili in cosa diversi, come abbia trasformato lui certi traumi e come l’ho fatto io, di certo tratti in comune ne abbiamo, divoratori compulsivi di libri, molto inclini all’estraneazione, su altri terreni siamo agli antipodi, io mi sono sposata presto, lui ancora tergiversa “non vorrei correre il rischio di trovare una donna simile a te” mi ripete,  io a settembre ho già il planning competo dei regali che farò a Natale, lui il 25 dicembre si alza tardissimo e si siede a tavola così, con noncuranza come fosse un giorno qualunque, io ho paura dell’aereo e i viaggi più belli li ho fatti insieme ai protagonisti dei romanzi che ho letto, lui ha fatto bunge Jamping negli angoli più remoti della Terra senza mai dimenticare di mandarmi una cartolina, un messaggio, chiedermi se fosse tutto a posto, io ci sono sempre per tutti, lui ha spesso il cellulare spento ma mai per me, io riesco a sostenere una conversazione pensando sostanzialmente a tutt’altro, lui quando non ha voglia di conversare semplicemente non lo fa.

Da qualche tempo condividiamo nuovamente la stessa casa, anche se in appartamenti diversi, mi capita la sera di rientrare tardi, in automatico il mio sguardo si rivolge verso l’alto per spiare se la luce della sala sia ancora accesa e mio babbo ancora alzato, mi ricordo solo qualche istante dopo che mio babbo non c’è più e io non sono più un’adolescente con problemi di orario, ma una cosa è rimasta la stessa, quella stanza è sempre illuminata sino a tardi c’è mio fratello che legge o guarda un film e io mi sento veramente a casa.

Chiara Macina

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