Pur avendo viaggiato per quasi tutto il mondo, non sono mai stato a Las Vegas e, avendo avuto i miei problemi col gioco d’azzardo, in passato, non credo ci metterò mai piede tanto alla leggera.
Se dovessi mai farlo, una volta atterrato, cercherei l’uscita di sud-est dell’aeroporto, percorrerei un paio di miglia (verosimilmente in taxi, dato il caldo del deserto del Nevada) e raggiungerei la prima fila del Giardino della Pace, nel cimitero chiamato Garden of Paradise.
Lì troverei una pietra tombale della mia stessa età, con la seguente iscrizione scolpita nel bronzo:
1932 – 1970
A MAN “
A parte per il fatto che egli fosse realmente un uomo (a man), nulla di quanto scritto in quelle poche righe corrisponde a realtà, contribuendo a fare di Sonny Liston il pugile più misterioso dei nostri tempi.
Colui il quale passò alla storia col nome di Charles Sonny Liston nacque ufficialmente l’8 maggio del 1932, ventiquattresimo figlio di un mezzadro alcolizzato, a sua volta figlio di uno schiavo liberato.
Da uno dei suoi fratelli, secondo un giornalista dell’epoca, Sonny prese il nome di Charles all’età di tredici anni. Non è dato sapere quale fosse il suo vero nome.
Conobbe presto la prigione: faceva rapine indossando un maglione giallo sulle sue spalle enormi, niente di più facile per esser riconosciuto nei sobborghi di Saint Louis, dove si era trasferito dall’Arkansas al seguito della madre.
In uno dei suoi soggiorni in riformatorio un prete irlandese gli infilò i guantoni alle mani, o meglio, glieli dovette fabbricare su misura perché Sonny aveva mani enormi, di quasi 40 centimetri di circonferenza.
Dalle ricerche che ho fatto, dalle centinaia di articoli di riviste americane specializzate che ho letto, ho ricavato la sensazione che nessun altro pugile al mondo abbia incusso tanto terrore agli avversari quanto Sonny Liston. Nemmeno il primo Tyson.
Vinse tutto, da dilettante e da professionista, distruggendo il morale dell’avversario, prima, finendolo nel fisico, poi.
L’alcol fu il suo compagno di viaggio nella vita terrena, assieme ad una tempra alle volte violenta ed alla pessima abitudine di accompagnarsi con soggetti malavitosi.
Fu anche persona raffinata ed intelligente, pur essendo praticamente analfabeta; amava i bambini e contribuì all’apertura di orfanotrofi in zone disagiate.
Una volta divenuto campione, dopo aver spazzato via in pochi secondi Floyd Patterson, fu attuata nei suoi confronti un’autentica persecuzione: il giorno di Natale del 1964 fu arrestato per guida in stato di ubriachezza, nonostante non fosse al volante al momento del fermo.
A gennaio si presentò, vestito impeccabilmente e con un atteggiamento di grande calma, davanti alla corte.
Il procuratore impiegò il tempo record, per un reato minore, di dieci ore per presentare l’impianto accusatorio nei confronti del pugile.
Rimasto senza parole per la tanta decisone e la spropositata intransigenza del procuratore, Sonny disse la storica frase: “Ero col mio manager e guidava lui; se mi condannerete alla sedia elettrica, fate in modo che abbia perlomeno il suo dieci per cento di scossa!”
I crocevia della sua carriera furono gli incontri persi, non senza sospetti di combine, contro Cassius Clay-Mohammad Ali.
Molto peggio gli andò quando sua moglie lo ritrovò senza vita nella loro casa di Las Vegas; era stata a Charleston, da sua madre, quindi il giorno esatto della morte di Sonny non poté essere individuato. Nemmeno l’anno, perché questo accadeva a cavallo tra il 1970 ed il 1971.
Pur avendo avuto centinaia di donne, Sonny non mise al mondo figli propri da lasciare su questa Terra.
Il medico che compì l’autopsia descrisse Sonny come un uomo straordinariamente “ben nutrito” ma dall’età apparente vicina ai 50 anni. Teoricamente avrebbe dovuto avere 38 anni nel momento della morte.
Ad un giornalista che metteva dubbi sulla sua data di nascita, qualche anno prima, Sonny aveva risposto così: “Mia madre dice che io sono nato nel 1932, ora: te la senti di dare della bugiarda alla mia mamma?”
Nessuno era più tornato sull’argomento.
Marco Nicolini