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Sacco e Vanzetti: l’uccisione dei due italiani in una pellicola intramontabile che gli ha reso giustizia

Nel 1971 Giuliano Montaldo realizza un capolavoro cinematografico: vincitore del premio per la miglior interpretazione maschile, al Festival di Cannes nello stesso anno di uscita della pellicola, e di ben tre nastri d’argento nel 1972 per i migliori attori protagonisti, nonché per la colonna sonora firmata dal grande Ennio Morricone; memorabile è il testo, divenuto un inno generazionale, cantato da Joan Baez dal titolo “Here’s to You, Nicola and Bart”.

Il film narra la tristemente nota vicenda di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti: i due anarchici italiani, innocenti, uccisi sulla sedia elettrica negli Stati Uniti, precisamente nel penitenziario di Charleston nel Massachusetts, il 23 agosto 1927. Un crimine legalizzato costruito ad arte, con un processo “farsa” montato per incriminare due immigrati italiani e accusarli di rapina a mano armata e duplice omicidio. Il clima in quegli anni nei confronti degli italiani è teso e rasenta il razzismo nelle sue più volgari forme. Sono gli stessi giornali locali a sollevare la questione delle violenze subite da queste persone, che non hanno tutele. La pellicola si apre con la scena del blitz, ai limiti del vandalismo, della polizia americana in un quartiere dormitorio abitato dagli immigrati; viene assaltato anche il circolo dei lavoratori italiani con disumana violenza.

L’arresto, il processo e la condanna degli italiani Sacco e Vanzetti, originari rispettivamente di Torremaggiore in provincia di Foggia e di Villafalletto in provincia di Cuneo, hanno il sapore amaro della becera rappresaglia politica da parte delle autorità statunitensi, a seguito di attentati dinamitardi attribuiti al movimento anarchico; in anni in cui ancora imperversa la paura degli americani per i venti di rivoluzione che soffiano dalla Russia, l’unica colpa dei due italiani alla fine sarà appunto quella di essere anarchici e semplici lavoratori: Sacco è operaio tessile, mentre Vanzetti è venditore ittico ambulante. Cinquant’anni dopo l’esecuzione, il 23 agosto 1977, il governatore democratico dello Stato del Massachusetts, Michael Dukakis, tra l’altro noto oppositore della pena capitale, riconosce l’errore giudiziario da parte dei magistrati dell’epoca e di fatto tende a riabilitare la memoria brutalmente infangata dei due nostri connazionali; la sua è purtroppo una vox clamantis in deserto sebbene appoggiata da moltissimi cittadini americani coscienziosi e intellettualmente onesti perché, per le più alte istituzioni governative americane, la rialibitazione di Sacco e Vanzetti non sembra invece essere una priorità, anche nei decenni a seguire.

La pellicola ricostruisce l’intero iter processuale a cominciare dal fermo di polizia, la notte del 5 maggio 1920, per porto abusivo d’armi; dopo l’interrogatorio, a suon di domande sull’appartenenza o meno al movimento anarchico, Sacco e Vanzetti sono formalmente accusati di aver preso parte alla sanguinosa rapina a un calzaturificio avvenuta alcune settimane prima. Quindi si apre il sipario del lungo processo condizionato dal clima pregiudiziale nei confronti dei due italiani, nonché dalle testimonianze non sempre veritiere; poi l’ingiusta detenzione fino al momento dell’esecuzione, nonostante i tentativi della difesa di salvare la vita ai due condannati e le manifestazioni di piazza in molte città di tutto il mondo. Il film è un susseguirsi di drammi e ingiustizie, ma anche di messaggi di speranza per una società viziata da pregiudizi: il tutto è reso ancora più intriso di passione dalla magistrale regia di Giuliano Montaldo e dalle interpretazioni di Gian Maria Volonté, nel ruolo di Vanzetti, e di Riccardo Cucciolla, nel ruolo di Sacco.

«Voglio dire che sono innocente; in tutta la mia vita non ho mai rubato né ammazzato, mai versato sangue umano. Ho combattuto per eliminare il delitto: lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Se c’è una ragione per la quale sono qui, è questa. Sto soffrendo e pagando perché sono anarchico e perché sono italiano. Sono così convinto di essere nel giusto che, se anche io potessi rinascere e voi poteste uccidermi due volte, rifarei esattamente tutto quello che ho fatto finora», dichiara Bartolomeo Vanzetti in tribunale rivolgendo un pensiero commosso al suo compagno Nicola Sacco, seduto al proprio fianco: «Quando i vostri nomi e le vostre istituzioni non saranno che il ricordo di un passato maledetto, il suo nome invece continuerà a vivere nel cuore della gente. Voi avete dato un senso alla vita di due poveri sfruttati».

Il 9 aprile 1927 il tribunale emette la condanna a morte. «Possono bruciare i nostri corpi oggi; non possono però distruggere le nostre idee: esse rimangono per i giovani del futuro, per i giovani come te. Ricorda, figlio mio: la felicità dei giochi non tenerla tutta per te. Cerca di comprendere con umiltà il prossimo: aiuta il debole, quelli che piangono, il perseguitato. Loro sono i tuoi migliori amici», è il messaggio di addio di Sacco. Nel novantesimo anniversario della loro uccisione legalizzata, perché tale è stata e le parole vanno adoperate, ricordata anche alla recente Festa del Cinema di Roma con un’edizione restaurata della pellicola, a noi resta il compito di tramandare questo ricordo ai posteri. Here’s to You, Nicola and Bart”.

Simone Sperduto

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