Alejandra nell’abisso
di Alessandra Vega
Uno strano ronzio mi risuona in testa come uno sciame di mosche che mi vola intorno. Nell’oscurità in cui sono piombata ho ancora l’immagine dell’acqua che si tinge di rosso. Frammenti di ricordi che si accavallano confusi come in un sogno. Coraline che piange arrabbiata mentre mi urla addosso qualcosa a proposito della serata. Qualcosa che riguarda qualcuno che devo aver offeso.
Mi girano in testa queste parole “Io non ce la faccio più”. Ecco, quel qualcuno era un suo amico. Greg… o Craig, non ricordo. Un suo vecchio compagno di scuola che è venuto a trovarla dalla
Nuova Zelanda. Durante il cenone di capodanno aveva provato ad attaccare bottone e io l’avevo umiliato davanti a tutti trattandolo come un morto di figa e alludendo pure al fatto che fosse
minidotato, non so per quale motivo.
L’immagine ora torna all’acqua che si tinge di rosso. Sono sdraiata nella vasca, alzo il braccio e guardo il piccolo rivolo di sangue che dalla fessura sul mio polso scende fino al gomito per poi gocciolare giù. Sul bordo, due lamette sporche anch’esse di rosso giacciono accanto ad un paio di rasoi di plastica rotti.
Mi tornano altre parole di Coraline “Tu sei una persona impossibile, Alex. Odi tutti, tratti male chiunque, dici che non vuoi amici… ma la verità è che nessuno riesce a sopportarti”. La vedo lì davanti a me, in salotto, con lo sguardo esasperato e le braccia incrociate mentre conclude “E credo di non sopportarti più neanch’io”.
Io rispondo tornando sulla serata, che non è colpa mia se il suo amico più caro si è offeso per così poco, che non colpa mia se è uno sfigato. Coraline perde il controllo e mi molla uno schiaffo “Alessandra basta!” . Restiamo qualche secondo in silenzio una di fronte all’altra, poi Cory si rimette il cappotto e con gli occhi bassi mi passa accanto per uscire di casa sussurrando “Mi dispiace, io ci ho provato… ma tu sei proprio matta.”
Queste sono le sue ultime parole: “Tu sei proprio matta.” Mi ritornano in mente come pugnalate, come bastonate sul cranio. Parole che ho già conosciuto e che mi riportano a cose che avrei voluto dimenticare.
“Tu sei proprio matta”.
Il sangue continua a gocciolare dal mio braccio. Di colpo ho 6 anni. Sono a Buenos Aires e i miei compagni di scuola sono fuori a giocare per l’intervallo del dopopranzo. La porta della classe si
apre e la maestra Marcela trasalisce portandosi la mano davanti alla bocca. Ho in mano un lungo righello di plastica e davanti a me, sdraiata a pancia in giù sui banchi, la mia compagna Lola
Hernandez sta piangendo. Ha le mani legate e il sedere scoperto, rosso di botte, da cui spunta un grosso pennarello viola.
Usciti dal suo ufficio, la Preside sta parlando a mio padre di dottori per bambini che hanno dei problemi. Più tardi, durante la lezione di storia, una voce inizia a spargersi tra banchi: “Alejandra es
loca”.
Ho 13 anni e vivo da poco a Trieste. Appoggiata alla giostra degli autoscontri mi sto baciando con un ragazzo che non conosco mentre guardo negli occhi il mio fidanzatino che sta arrivando
all’appuntamento. Non so perché ma ho bisogno di scoprire com’è lo sguardo di una persona nel momento esatto in cui il suo cuore si spezza. Quando lo confido alle mie compagne vengo presa per pazza e alcuni giorni dopo sul muro della scuola appare una scritta: “Alessandra V. troia psicopatica”.
Ho 18 anni e sono al telefono con Giorgia, la mia migliore amica. Sta piangendo perché è morta sua nonna e io sono talmente eccitata dal suono dei suoi singhiozzi che mi sto masturbando con tre dita mentre cerco di mantenere una voce normale per non farmi scoprire.
E ora sono di nuovo nella vasca. L’acqua ha ormai perso la sua trasparenza, intorbidita dal rosso del sangue, e io sento la testa che si fa pesante mentre gli occhi iniziano a chiudersi.
“Tu sei proprio matta”, un’ultima volta. E poi il buio.