Ero da solo in una chiesa deserta. La navata centrale ospitava sul fondo ombre grandi, e numerosi anfratti bui e misteriosi attiravano la mia attenzione senza che in nessun modo, come talora mi era accaduto in altri luoghi similmente austeri, sentissi la minima inquietudine. Sedevo a un vecchio banco cigolante della seconda fila e guardavo l’altare in una immobilità estatica che mi avvolgeva completamente, e a tratti ne uscivo per seguire con lo sguardo le ombre tremolanti dei candelabri che si proiettavano sul pavimento fino a raggiungere gli antichi confessionali in legno. Pensavo. Questo particolare susseguirsi di luci e di oscurità itineranti dava alla scena un che di privata attesa, e ovunque rivolgessi lo sguardo traspariva da quegli oggetti una mobilità soffusa, come se fossi circondato da presenze misteriose e rassicuranti, come se da un momento all’altro ci si attendesse un qualcosa che ponesse fine a quella quieta stasi. Che diversità fra questi mutevoli barlumi, così fecondi di infinite sfumature e la luce cruda, spiovente dei rosoni di certe domeniche mattina! In quel tardo pomeriggio d’inverno dunque seguivo le ombre che si aggiravano per quella chiesa; per un po’ ne rimasi indifferente, poi quelle oscurità tornarono come sempre a inquietarmi: evocarono in me vicende fosche, lugubri tregende e subito a me sembrava, per il fatto di aver cercato l’ombra, di essermi allontanato da Dio. Tornavo così ogni volta a guardare la luce; il chiarore delle candele, anche se flebile, subito mi acquietava, e io mi sentivo nuovamente circondato da una grande pace. Mentre pregavo e chiedevo perdono per essermi allontanato dalla strada ecco che mi apparve l’Angelo. Era bianco, luminoso ed immenso, e mi parlava con la voce più pura che avessi mai udito fino ad allora. “Perché cerco le ombre?” – gli chiesi. “Perché cerchi anche la luce, e non vi è luce senza ombra, né ombra senza luce. Guarda la mia veste” Io guardai la sua veste, ma non capivo.
“Vedi quante pieghe? In ogni piega vi è un’ombra che alloggia, e senza quest’ombra tu non ti accorgeresti della morbidezza del tessuto, e la mia veste sarebbe piatta e senza bellezza. Ascolta la mia voce.” Io ascoltavo la sua voce ma non capivo.
“Senti quanti suoni pronuncio a voce aperta e quanti altri posso invece sussurrare? In ogni parola sussurrata vi è un’ombra che alloggia, e senza questa il mio parlare sarebbe piatto e senza variazione alcuna. Voltati ora e guarda l’ombra che ti accompagna”. Io mi voltai e la vidi allungarsi al centro della navata. “Se tu non avessi quest’ombra non potresti dire di esser nato uomo, ma semplice immagine inconsistente. Ringrazia Iddio per avertene fatto dono, e così come non temi la luce, non avere paura delle oscurità del creato”. Poi l’angelo salì sull’altare, attraversò con ampio volo l’intera navata e uscì dal rosone lasciandosi dietro un’ombra immensa, come se fosse passata l’ombra di Dio.
Raffaele Olivieri