Nate dalla necessità di districarsi nel dedalo di bassi fondali lagunari, le imbarcazioni di voga alla veneta sono leggere, dal fondo piatto e senza chiglia.
Il rematore, o perlomeno il pope (poppiere) che governa la direzione, sta in posizione elevata per poter spaziare con lo sguardo tra secche, palùi e barene.
Le forcole, gli scalmi aperti in cui trova sede il remo, sono progettate per fungere anche da timone.
Il trionfo delle meravigliose barche in legno venete è la Regata Storica, millenaria rievocazione a cui è annessa una serie di gare agonistiche tra gondolieri.
Essendo una manifestazione i cui protagonisti sono prettamente veneziani scelti da un’accurata selezione tra vogatori professionisti, la Regata Storica rimane uno spettacolo godibilissimo, ma i cui partecipanti appartengono ad un mondo a parte.
Al contrario, la più recente Vogalonga è un’universale dichiarazione d’amore del popolo del remo di tutto il mondo alla città più fragile e preziosa del pianeta.
Scaturita dalla mente di uno sparuto gruppo di veneziani nel 1975, la Vogalonga, che si dipana lungo un percorso di oltre trenta chilometri, è la protesta gridata alle migliaia di barche a motore che, con il loro moto ondoso, stanno uccidendo Venezia. La crescita esponenziale dei partecipanti la rende la manifestazione remiera più importante, con vogatori di ogni tipo di imbarcazione.
Mio padre Fernando è uno dei pochissimi ad indossare la maglia rossa di coloro i quali abbiano partecipato a tutte le edizioni; oggi salterà la quarantaduesima per problemi di salute. Tutti contiamo di rivederlo in acqua l’anno prossimo.
Sarà, invece, solo la mia terza partecipazione. La prima fu nel 2014, in occasione dell’affollatissima quarantesima edizione che vide più di ottomila partecipanti.
Questa è la mia breve cronaca di quel giorno, affinché il lettore possa farsi un’idea di cosa sia una Vogalonga:
“Alle 9 meno cinque le imbarcazioni variopinte riempiono il bacino di San Marco, nella disordinata maniera dei battelli in balìa della corrente; arrivano da ogni punto di varo della laguna, giungendovi originariamente da tutti gli angoli d’Europa.
Il potente e tradizionale colpo di cannone è atteso con trepidazione dagli ottomila vogatori, le imbarcazioni si muovono, i remi sbattono, i tamburi ed i capovoga danno il tempo.
Ci sono kayak a perdita d’occhio, ogni variante di voga all’inglese, barche indefinibili con simpatici nordici con le parrucche in testa.
Si parte.
Il fatto che non ci sia una precisa linea di partenza la dice lunga sul carattere amatoriale della regata, ma quelli che ultimi non vogliono arrivare partono a spron battuto.
Ogni barca ha una sua storia, un suo fascino ed ogni scuola di voga è retaggio della cultura di un popolo.
In questo turbinio di remi e di pagaie, però, bisogna ammettere che la raffinatezza e la maestosità delle barche veneziane sono le perle del movimento remiero mondiale.
Nel lungo braccio di laguna per raggiungere Burano, con San Francesco del Deserto appesa tra cielo e terra, sfrutto la scia di una simpatica caorlina dell’associazione Settemari, a bordo della quale una signora non-vogante, con fiorato cappello di paglia in testa, suona splendidamente la fisarmonica.
Faccio i complimenti alla signora; l’esperto poppiere mi risponde alla maniera scanzonata dei veneziani simpatici: “Ea ne costa tanto, ma ne dà tante soddisfassiòn!”
E giù risate, nella canicola delle dieci e mezza del deserto lagunare.
Nel canale di Murano si ha un assaggio della grande partecipazione di vogatori e spettatori: i dragonboat, enormi barconi pieni zeppi di vogatori dell’est e nord Europa, danno spettacolo con musiche, birra e taglio di insaccati; diversi ottoni imbarcati suonano gli inni dei paesi di provenienza. A parte alcuni veneziani ed alcuni francesi, tutti sono affabili e simpatici nonostante la grande fatica nel caldo umido e soffocante.
È all’ingresso nel Canal Grande che le barche veneziane danno il senso della regalità e maestosità trasudante dai loro splendidi fasciami.
La disdotona della Querini, imbarcazione a diciotto vogatori lunga ben ventiquattro metri, si esibisce in un commovente alzaremi che richiama un urlo trionfale della folla abbarbicata a Rialto.
L’arrivo è vicino, si salutano gli equipaggi, si abbracciano gli appartenenti ai vari circoli remieri.
Taglio da solo il traguardo: un energumeno dal collo taurino, in kayak giallo e vestito di biancazzurro che attende la consegna dei cimeli tanto ambiti.
Lo speaker prende la parola: “Ed ecco il numero 1657, Marco Nicolini, dalla REPUBBLICA DI SAN MARINO”, il pubblico esulta al citare un paese tanto esotico.
Io alzo il remo e saluto, ma è già il momento di una jole a otto dall’Olanda: siamo in 8000 ed ognuno deve avere il proprio attimo.”