giovedì , Novembre 21 2024

La sabbia nelle calze

Caro diario, oggi ho fatto sega a scuola!

Ho approfittato della solita confusione al bar all’angolo, chi a prendere un panino, chi le gomme, e me la sono squagliata.

Due ore di filosofia, magari m’interrogava pure, la strega, mica sono scema. Che tanto, poi, la giustificazione da quest’anno me la posso anche firmare da sola, che mia madre quando se n’accorge, manco se lo ricorda perché non ci sono andata. Ho costeggiato la strada fino al centro. Camminavo svelta e senza guardare in faccia a nessuno, preoccupata solo che non iniziasse a piovere, visto com’era nuvolo. Che paura quando s’è fermata una macchina, quel ragazzo chiedeva solo un’indicazione, però intanto mi guardava anche le tette! Visto che andava verso piazzale Kennedy mi sono fatta dare uno strappo, era uno giovane, carino e mingherlino, bastava un’occhiata per farlo arrossire. E così ho passeggiato tutta la mattina in riva al mare, fra le dune e la risacca, evitando la zona del grattacielo perché dicono che sia piena di neri e di cinesi. Stretta nella sciarpa dai mille colori sembravo una zingara, e forse lo volevo essere davvero. Il vento sollevava le bave di schiuma e le faceva rotolare sulla sabbia compatta, fino a sparire. I gabbiani gracchiavano volando sulla mia testa per cacciarmi via. Mentre io…

Ho fumato tre sigarette e ho buttato il resto del pacchetto, per timore che mia madre me le trovasse. Là, seduta sui libri per non bagnarmi il sedere sulla sabbia inzuppata dalla pioggia notturna, mi sembrava di stare in paradiso, sola con i miei pensieri, sola e basta. Senza mia madre e le sue raccomandazioni, senza le occhiate della gente sulle mie gonne striminzite, senz’altri con cui conversare che il mare spumoso davanti a me. Ho scritto poesie, canticchiato frammenti delle canzoni di Amy, che poi alla fine ho pianto, che la mia voce un poco le assomiglia e mi pareva di averla dentro, con tutte le sue angosce, e di averla uccisa io. A un certo punto ho preso fuori il libro di filosofia e l’ho aperto sulle ventotto pagine che dovevo studiare. Una dopo l’altra, le ho lette con la risacca nelle orecchie, il vento che mi scarmigliava i capelli e s’insinuava sotto la gonna, tanto che mi sono messa i guanti fra le cosce per ripararmi. Alla fine, mi sono detta che bene o male la lezione la sapevo, che era solo la voglia di far finta di scappare via, di evadere, e non la fifa di prendere un bel tre secco, che mi aveva portato fin lì.

Sono tornata a casa con l’autobus un’ora prima e mia madre s’è fermata col cucchiaio nel sugo per fissarmi. Poi è scoppiata a ridere e mi ha abbracciata. Mi ha detto «Racconta!»

Le ho letto le poesie che avevo annotato sul blocco e parlato dei gabbiani e del vento. S’è rabbuiata per un attimo solo per il passaggio in macchina, ma ormai ero tornata sana e salva. Vedevo i suoi occhi illuminarsi dei miei ricordi, poi farsi lucidi nel paragone con i suoi e con i sogni che non ha mai desiderato.

Infine ho tolto le scarpe e sfilato le calze, umide e piene di sabbia, che cadeva a chiazze sul pavimento. Lei mi ha levato la sciarpa e pettinato i capelli intrisi di salsedine. Le ho chiesto di mettere vie le gonne corte corte, che tanto i ragazzi lo sanno come siamo fatte,  che non c’è bisogno di buttargliela in faccia per farsi guardare. Le ho chiesto anche di ascoltarmi mentre ripetevo la lezione di filosofia, lei che non ha mai finito gli studi perché ormai c’ero io ed era sola, lei che lavora per non farmi sentire diversa dalle altre, lei che sembra mia sorella e vive come una reclusa.

Alla fine le ho giurato che non avrei mai più fatto sega a scuola e mi ha preso la testa fra le mani e mi ha detto che la vita è anche una sigaretta di nascosto e un amore che passa una notte e non torna più. Ha spento il sugo e siamo andate sul terrazzo, a guardare verso l’orizzonte nascosto dalla foschia e immaginare il volo in picchiata dei gabbiani che pescano sardine.

E così quella che sembrava una giornata storta s’è chiusa davvero bene, anche perché m’è venuta la febbre, domani me ne resto a letto a scrivere altre poesie. Se mi passa, accetterò l’invito di Simone a mangiare una pizza assieme: quel mingherlino ha trovato il mio cellulare nella sua macchina e ha chiamato casa.

In fondo, non avevo alcun motivo per non andare a scuola, oggi, se non per scoprire che la vita è bella e qualche volta ti sorride, soprattutto se hai fatto sega e hai perso il cellulare dentro l’auto di uno sconosciuto, carino, mingherlino ma per fortuna per niente tonto.

Walter Serra

 

 

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