La pazienza del ragno
di Elisa Marchinetti
La sera, dopo cena, era il momento in cui si prendeva cura di me e non c’erano preoccupazioni, né affaticamenti che lo allontanassero da quel compito e che gli impedissero di dedicarmi tutte le sue attenzioni. Dopo essersi lavato con cura le mani, quasi un chirurgo prima di un intervento, recuperava i suoi attrezzi per il pronto intervento: colla, forbici e scotch.
L’ appuntamento era in sala da pranzo, con la luce del lampadario dal lungo stelo che scendeva quasi sopra le nostre teste ravvicinate e che, illuminando il tavolo, enfatizzava le mie disavventure scolastiche e la mia dipendenza fisica ed affettiva da lui.Era quello il nostro momento, la condivisione di un rapporto speciale, che si nutriva per entrambi di lunghi silenzi e di reciproci profondi sguardi, dove la mia attenta osservazione di ogni suo minimo gesto captava i suoi taciti ammonimenti delicatamente suggeriti e quei semplici insegnamenti tramandati più con i gesti che con le parole.
Perché poche, anzi pochissime, a dir la verità erano quelle che pronunciava. Ma di peso.
Lui, che del pragmatismo aveva fatto la sua bandiera, disdegnava la retorica e le lunghe prediche, convinto che l’esempio contasse più dei rimproveri e dei castighi e che il sostegno rappresentasse una vera forma d’amore. Come quella che si materializzava in quell’atmosfera ovattata, intima e seducente, nella complicità di un evento. Io e lui, spalla contro spalla, ed i nostri respiri a riempire l’aria.
Il resto, in quel frangente, ci era indifferente.
“Passami la forbice”, mi bisbigliava con pacata determinazione prima di passare all’azione.
Con quella ritagliava sottili strisce di scotch che posizionava con estrema delicatezza sui vari fori che costellavano le righe.
“ Tieni premuto qui” mi indicava, prendendomi l’indice e mostrandomi il punto dove fare pressione, mentre con estrema cura cercava di far ben aderire il nastro adesivo al foglio. Poi eliminava con la forbice le parti superflue .
Mi sorprendo ancora oggi al ripensare alla sua precisione, a quelle sottili strisce che si attaccavano senza una grinza alla pagina, alla sua meticolosità nell’eseguire i vari passaggi e alla sua calma rassicurante .
Terminate le operazioni, quasi fosse un cuscino, sprimacciava il quaderno a lungo, cercando di ridargli un aspetto quantomeno decoroso. Lasciava passare qualche minuto, infine lentamente lo apriva e , sfogliando pagina dopo pagina , osservava il lavoro di ripiego e ripristino che aveva compiuto, una sorta d’ intervento di rimise en forme cartaceo; quegli inestetici buchi da groviera, che avevano riempito le pagine, erano spariti, asfaltati da manti di strisce di scotch ed il dorso era stato rinforzato da dosi abbondanti di colla. Il risultato: fogli quasi plastificati ed un quaderno dalla struttura semicartonata.
Di più e meglio, sicuramente, non sarebbe stato possibile. “ Ora sì che va bene ”, dichiarava mio padre soddisfatto, lasciandosi andare contro la spalliera della sedia, mentre le volute dell’ultima sigaretta della giornata riempivano la stanza. Lunghe inalazioni suggellavano la riuscita della sua impresa.
Ed io , gongolante di felicità , gli saltavo sulle ginocchia , inondandolo di baci , con l’immancabile Carosello di sottofondo che sanciva l’ora della buonanotte per me.
E lui, che fingeva sempre stupore per la mia reazione di contentezza, pur aspettandosela, liberava una grassa risata e si lasciava dolcemente coccolare.
Mio padre continuò a controllarmi il quaderno anche negli anni a venire, anche quando la tecnica della scrittura mi era diventata familiare e quei tratti alla Mirò erano solo un vago ricordo .
Accantonati i ferri del mestiere, si sedeva accanto a me ad osservare i miei progressi scolastici, e gli piaceva farsi leggere le parole che davano forma a semplici pensieri compiuti e quei racconti , popolati da Re e Regine dal lieto finale, che la mia fervida fantasia liberava.
Una delicata carezza sulla mia guancia racchiudeva il suo orgoglio di padre e l’apprezzamento per i miei risultati. Talvolta, con un leggero colpe di tosse sottolineava un mio strafalcione, grafico o linguistico, e con quel suo modo di fare accomodante e paziente da grande pedagogo mi indicava la corretta soluzione.
Col passare del tempo non perdemmo l’abitudine a quell’appuntamento.
La sera ci coglieva seduti vicino, sulla stesso divano, impegnati nella lettura, ognuno perso nelle vicende del proprio libro. Qualche scambio di impressioni, la richiesta di spiegazione di termini sconosciuti , poi il silenzio fra noi ed intorno a noi. E le immagini al televisore che scorrevano mute.
Non ho mai voluto disfarmi di quel mio primo quaderno, che ha resistito alla polvere del tempo e all’oblio dei ricordi, forziere di un legame indissolubile fra noi.
Ora alla soglia degli ottanta anni è lui che mi aspetta, di mattina, pomeriggio e di sera , indifferentemente , per raccontarmi la sua quotidianità e per sottopormi i suoi problemi. A volte anche solo per salutarmi.
Ora il silenzio è fatto dalle parole che vorrebbe dire , ma che fatica a pronunciare e dai pensieri che fatica ad articolare ed è impregnato della vacuità dei suoi occhi e della tacita, ma sofferta consapevolezza di un lento ed inevitabile declino.
“ Sai, ultimamente fatico a scrivere. Non riesco più a compilare dei bollettini. Come mai?” , mi chiede spesso, scordandosi delle infinite volte in cui mi ha posto lo stesso triste, inesorabile quesito.
Allora un nodo mi chiude la gola, quando a fatica cerco di trovare false ed illusorie parole per placare la sua inquietudine e lottare contro l’ineluttabilità di un evento . Mentre lo osservo, rifletto sulla sostanza della vita, un percorso di salite , discese e passaggi tortuosi e di capovolgimenti di ruoli che richiedono un’ umile assunzione di responsabilità. Quella cui non posso e non voglio rifuggire ora.
In breve dimentico le mie preoccupazioni e la stanchezza accumulata perché altre e di altri sono le priorità e mi siedo accanto a lui, spalla contro spalla, come una volta. A ruoli invertiti, però.
“ Passami il bollettino”, gli sussurro, con tutta la dolcezza possibile, sfoderando un generoso sorriso.
Nel silenzio che segue, i suoi occhi seguono la mia scrittura veloce e a me pare di scorgere in quel mare blu e sconfinato del suo sguardo un luccichio di compiacimento .
Elisa Marchinetti è nata a Parma e risiede a Noceto. Laureata in lingue e letterature straniere, insegna Inglese in un Istituto Superiore di Fidenza, PR. Ama leggere e scrivere e la passione per la scrittura l’accompagna sin dall’infanzia. Nel 1999, insieme a Guido Conti , pubblica” Il gioco del bla bla bla”, raccolta di testi sulla creatività infantile.
“Soliloquio a mezza voce”, Vitale Edizioni , del 2014 è la sua prima raccolta di poesie.
Da qualche anno si dedica alla stesura di racconti brevi, molti dei quali hanno ottenuto risultati soddisfacenti in vari concorsi letterari nazionali.
Il racconto “La pazienza del ragno” ha partecipato al concorso letterario “Raccontami una storia: parlami di te”, organizzato dalla Carlo Biagioli srl.