La felicità è quella condizione umana che vede i propri bisogni e desideri completamente appagati, si tratta per la verità di un concetto molto soggettivo e variabile a seconda dell’orientamento religioso e spirituale individuale.
Ci cadiamo più o meno tutti, la felicità viene sempre posticipata ad un futuro lontano, al raggiungimento di ipotetici traguardi o obbiettivi, quando mi sarò laureato, quando quei pantaloni torneranno ad allacciarsi, quando avrò ottenuto la promozione…
La fine dell’anno è in particolare occasione propizia per fare bilanci e buoni propositi oltre che per porsi scadenze e progetti da realizzare nel nuovo anno, non è un caso che i primi giorni dell’anno segnino sempre un’impennata nelle iscrizioni a palestre o centri di dimagrimento.
Del resto se è vero che “non si possono ottenere risultati diversi facendo le stesse cose” è anche vero che i buoni propositi, tra l’altro spesso riguardanti l’aspetto esteriore, impongono sacrifici per il presente.
Il tema dell’anno nuovo e delle illusioni che riponiamo in esso è al centro dell’operetta morale “Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere” di Giacomo Leopardi.
Al centro una considerazione amara, Il carico dei dolori e delle disillusioni che tocca a ognuno di noi è assai più gravoso di quello delle gioie. Il passeggere chiede al venditore se il nuovo anno sarà lieto, alla scontata risposta affermativa fa seguito una constatazione amara, in nessuno degli anni trascorsi vi è un ricordo bello così bello da desiderare di riviverlo, nessun anno nella sua globalità è stato positivo.
Conclusione: la vita futura è attraente, perché ce la fingiamo lieta con l’immaginazione.
Il desiderio di una vita migliore, viene interamente riposto in un futuro sconosciuto.
Non vi sono ragioni per le quali l’anno futuro debba essere migliori del passato, questa l’amara conclusione del venditore di almanacchi, dietro al quale si cela Giacomo Leopardi “Tanto vale godere di quel poco di buono che riserva il presente”.
Chiara Macina