Lunedì 18 luglio presso la splendida cornice degli “Orti Borghesi” è stato presentato il nuovo libro dell’autrice sammarinese Milena Ercolani, una raccolta di poesie dal titolo “Come uno squalo in un ruscello”.
A seguire un’intervista all’autrice:
Milena partiamo dal titolo, quasi un ossimoro, che ci introduce a questa raccolta poetica “Come uno squalo in un ruscello”, capita a volte di sentirsi così, ci siamo sentiti in questo modo un po’ tutti quando ci siamo ritrovati chiusi in uno spazio limitato. Come nasce questo titolo?
Il titolo nasce da un momento di riflessione su di un sentire costante, frutto di una serie di eventi personali, che mi hanno portata a percepirmi in uno spazio metaforico piccolo e inadeguato, uno spazio che mi ha ferita, dove, sempre metaforicamente parlando, i miei movimenti sono stati difficili. Sappiamo che lo squalo per vivere deve muoversi in continuazione, altrimenti muore. Allora come vivere in una situazione angusta? Sempre muovendosi, ma provando a rallentare il movimento …Ed ecco che proprio imparando un movimento più lento, dentro lo strazio e il coraggio, ma anche l’onestà dell’urlo, ho scoperto la possibilità dello stupore (come ha bene evidenziato il professor Andrea Galgano nella sua bellissima prefazione) nella visione e pregnanza di ciò che la frenesia precedente non mi aveva permesso di cogliere. C’è inoltre un grido fertile di chi mette a nudo la propria anima “Non sono uno squalo assassino, / sono una femmina di squalo fiera/ che attaccherà/ la linfa corrotta dei tuoi pregiudizi/ laceranti il mio udito stanco. /”Utilizzo, appunto, la similitudine con lo squalo che, dopo i film inverisimile di Spielberg, viene definito assassino quando le statistiche confermano che gli squali uccidono 8/9 esseri umani in un anno (e spesso per errore), mentre gli uomini ne uccidono 100 milioni. Per non parlare della crudeltà di tagliare loro la pinna e poi rimetterli in mare! Beh, un po’ mi sento così …forse così ci siamo sentiti in tanti in molte situazioni della vita. Giudicati predatori quando siamo stati invece predati, tuttavia la presa di coscienza non deve portare all’autocommiserazione. Bisogna muoversi, cercare varchi, pur in spazi angusti e indesiderati, altrimenti c’è la morte, una morte metafisica, una morte interiore, che è la più terribile. La si può sorprendere coltivando una liturgia della vita come tempio di una bellezza possibile nella realtà delle cose. Una bellezza che si riscopre con uno sguardo più lento, dandosi, appunto, tempo.
Autrice di poesie ma anche di romanzi, racconti. Sei un’autrice versatile che privilegia storie al femminile. Il tuo è un linguaggio del cuore e che al cuore arriva. Come nascono i tuoi scritti?
Nascono il più delle volte da vissuti, miei o di qualcuno che comunque è entrato in contatto con me. E’ il caso del romanzo “Celesta”, che narra della vita, ovviamente romanzata, di una signora che ho realmente conosciuto nella mia infanzia e prima giovinezza. Una figura femminile importante, glielo dovevo. Così come dovevo ai miei nonni, in particolare a mia nonna paterna Maria, il raccontare la sua storia d’amore col nonno, con me e col Paese del quale ha assunto la cittadinanza. Lei era di Monte Tauro, una piccola zona dell’entroterra di Riccione. Lo stesso per le protagoniste della raccolta di racconti “Figlie della luna”, dove ho romanzato storie che mi sono state raccontate, confidate (modificandone ovviamente particolari e nomi).
A chi dedichi queste poesie e in che momento del tuo viatico sono state prodotte?
Come un quadro, un dipinto, diventa di chi lo acquista, così la poesia poi appartiene a chi la legge, a chi da essa ne riceve emozioni, evocazioni e possibilità. Quindi la dedico un po’ a tutti coloro a cui potranno fare bene, fare riflettere, forse anche stare male e così gridare e guardare il proprio grido fertile e progettuale.
Parole balsamiche le tue, a volte parlano di ferite lenite e di un ritorno alla vita. E’ così?
Sì, proprio così. Ferite che ho dovuto curare, ma con le quali convivere e mai negare e non è stato sempre facile, ma necessario. Per fare questo ribadisco l’importanza di riappropriarsi della lentezza e l’accogliere anche la stanchezza come stato in cui ci si ritrova nel fare fronte ai tanti impegni e soprattutto difficoltà che insistono nella propria vita.
Cicatrici d’anima: è in esse che scrivi “ho scoperto oro fuso”, ho da poco letto un romanzo che parla proprio della bellezza di questo processo…
Mi riferisco, infatti, all’antica tecnica giapponese, chiamata “Kintsugi” , che consiste nel riparare frammenti di oggetti in ceramica o porcellana, che si sono frantumati, utilizzando nel collante oro fuso. Questo per significare che dobbiamo imparare a convivere con le nostre ferite, non negarle. C’è una frase di uso comune che non mi piace ed è “rifarsi una vita”. Una vita non si può rifare, non è possibile, si deve semmai andare avanti, nuotando forse in un ruscello inizialmente, facendo attenzione a trovare quegli squarci di stupore che ci permettono di avanzare e magari tornare all’acqua sapida dell’oceano. Ma non si può eliminare ciò che è stato, allora è proprio la ferita che va cicatrizzata con oro puro. Nella mia valigia della vita devo metterci tutto, sia ciò che mi ha fatto male che ciò che mi ha fatto bene. Per altro, filosoficamente parlando, non sono mai stata per l’”out out”. Preferisco l’et et. Come scrivo nella poesia “Volevo una vita” (“E ho messo nelle mie valigie/tutti i tesori del giorno,/ tutte le tempeste e i raggi di sole …”)
E’ il dolore e l’imperfezione che ci rende autentici e vibranti?
Sicuramente non vive in me il mito del super uomo, l’imperfezione è connaturata all’essere umano, anche se si pensa migliore di altre specie viventi. Quindi siamo certamente autentici nell’imperfezione che, tuttavia, non deve diventare una situazione di comodo e aggiungo che non siamo vibranti esclusivamente per il dolore, ma anche per le situazioni gioiose, quelle belle della vita, quelle che ci hanno reso felici e capaci di stupirci.
“Come uno squalo in un ruscello” scrivi “soffoco nel ricordo dell’oceano amato.
Quanto è doloroso misurarsi con il ricordo di ciò che è stato e oggi non c’è più?
Molto doloroso, sia il ricordo di chi c’è stato d’importante e non c’è fisicamente più sia per ciò che è stato perso per mancanza di impegno non solo proprio, ma anche da parte di chi nella relazione si è reso debole ed effimero. Ma questa cicatrice va appunto coperta d’oro, accolta, accettata a favore di una migliore maturità e lungimiranza.
Una poesia anzi due è dedicata alle tue figlie. Cosa sogni per loro?
Come mamma d’istinto sogno che possano a loro volta raggiungere tutti i loro sogni, ma se questo sarà non sempre facile desidero che conservino il coraggio e la forza che già da ora le contraddistingue. Sono loro stesse state la mia forza in tanti momenti della vita. Martina, la mia figlia maggiore, ha coniato un motto, “Noi abbiamo noi”, che è diventato significante di ciò che siamo state, siamo e che saremo ed anche una sicurezza che ci saremo sempre l’una per l’altra : lei, Rosa, la mia seconda figlia, ed io. Questo motto, che le mie stesse figlie si sono tatuate, è diventato il titolo di una delle due poesie della raccolta a loro dedicate.
“La danza delle foglie d’autunno” . Io amo molto il colore delle foglie d’autunno e in generale questa stagione che ci invita a lasciare andare. Come ci si riesce?
Lasciandosi a propria volta andare, ossia mollando i pensieri e guardandoli come da spettatori esterni …Poi, davvero, per una come me innamorata della natura, è facile ogni tanto perdersi nei colori delle foglie, nei sapori dei frutti, del prunus storto verso il sole che c’è nel mio giardino, nel profumo dei miei limoni o nella costanza e serietà delle api che lavorano meticolosamente ogni fiore dello stesso limone a primavera. Mi incanto ogni tanto a guardare tutto questo! E scopro che nel ruscello c’è tanta vita e guardando quella vita vengo piano piano trasportata verso quel percorso che accorcia la distanza fra me e l’oceano.
“L’ultima tua carezza”. Quali sono le carezze dell’animo?
Quelle del rispetto e della coerenza nel fare ciò che veramente ci fa stare bene, senza farci manipolare da nessuno.
Temi profondi ma anche il quotidiano, le vacanze, i luoghi del cuore, le figlie. Chi ti ispira maggiormente e come si svolge il tuo processo creativo?
Emozioni, vissuti, racconti poi …tutto si mescola dentro e le mie parole dipingono il ritratto che interiormente si è prodotto.
“La lumaca”. Qualche anno fa ho letto in appendice a un saggio questa frase “Come quella lumaca che se non la calpesti arriva dove vuole lei, e se vi arriva è per casualità, fortuna, sano senso di follia. Cosa conta più maggiormente. Quanto è importante una dolce tenacia?
Proprio in questi ultimi anni ho scoperto che è fondamentale. Talvolta bisogna sapere aspettare, senza, però, perdere di vista l’obiettivo. Esattamente una dolce tenacia. Ho scoperto che, inoltre, non è sempre proficuo e conveniente contrastare le situazioni. In un’attiva accoglienza si trovano le chiavi per aprire molte porte. In questo mi è stato grande maestro il mondo vegetale. Direi che le piante siano grandi maestre di tenacia, mascherata da un’apparente lentezza all’occhio umano.
Le donne sono spesso al centro della tua narrazione. Come sono? Come le vedi?
Le vedo ancora strette dentro tanti, troppi, pregiudizi, ancora non libere di esprimere la propria essenza, la propria purezza femminea. La poesia “Una donna è una donna”, unica già edita della raccolta, vuole esprimere proprio questo. Ho scelto di collocare questa poesia già edita nella raccolta, e per altro tradotta sia in inglese che in spagnolo e pubblicata su antologie poetiche internazionali, perché troppo spesso ancora la donna è schiacciata in un habitat che le è innaturale.
Vorrei concludere con una domanda rubata al titolo di una delle tue poesie “Cosa pensano le stelle?”
Chissà? Questa è una domanda antica. Sono nate quando il tempo ancora non esisteva ed hanno, forse loro malgrado, accompagnato tutti i tempi storici ….Sono lì a guardare le nostre pene, i nostri malumori, le nostre gioie, riflettono le nostre speranze, tengono a battesimo i nostri amori. Davvero “Chissà cosa pensano le stelle …”