Il libro
Un racconto di Giovanni Renella
Liberamente ispirato a una storia vera
Il sole era già tramontato da un pezzo e le deboli luci dei lampioni illuminavano a malapena il cammino di don Antonio.
A passi svelti il sacerdote si dirigeva verso la sua destinazione, arroccata nella parte più impervia del quartiere.
Quando erano corsi a chiamarlo lo avevano implorato di far presto, perché al moribondo non restava più molto tempo da vivere.
Muovendosi nella canonica con gesti rapidi e consumati, Antonio aveva raccolto i paramenti e l’unguento per l’estrema unzione ed era uscito rapido dalla chiesa, non senza raccomandarsi, però, al principale affinché lo assistesse nell’arduo compito che lo attendeva.
Lungo la strada non smise un attimo di interrogarsi su quanto fossero davvero misteriose le vie del Signore e questa più delle altre.
Sull’uscio socchiuso lo attendeva, trepidante, una donna che sapeva essere la moglie dell’uomo in fin di vita, anche se in chiesa l’aveva vista raramente.
All’ingresso del prete abbassò lo sguardo e fece per baciargli la mano, ma Antonio si sottrasse facendo intendere che non era il caso: le distanze, così, erano state stabilite.
A capo chino la donna, attraverso il corridoio, introdusse Antonio nella stanza da letto, dove giaceva, agonizzante, il marito.
Vedendolo disteso inerme nel letto, al religioso sovvenne l’immagine passata dell’uomo capace di incutere timore con uno sguardo e terrorizzare i postulanti al solo paventare la messa in atto di una minaccia.
Quante confessioni disperate di propositi omicidi aveva raccolto nel corso degli anni, assolvendo i malcapitati per aver avuto la forza di desistere da quelle insane intenzioni ed essersi poi pentiti; e quanta pena aveva provato per quelle vittime che si allontanavano dal confessionale, piegate da un destino che le aveva messe in ginocchio, senza alcuna speranza di potersi rialzare.
Antonio si avvicinò al capezzale del moribondo, ma prima di accomodarsi su di una sedia accanto al letto, con un tono che non ammetteva repliche, chiese a tutti di uscire dalla stanza e di chiudere la porta.
Con un filo di voce l’uomo disse al prete di volersi confessare per essere assolto dai suoi peccati e poter morire in pace.
Di fronte a quella richiesta, il religioso restò impassibile, palesando con la postura del corpo e con il silenzio la chiara intenzione di non essere disponibile all’ascolto.
L’uomo trasecolò sbarrando gli occhi e, recuperando per un attimo la sua abituale protervia, ricordò ad Antonio che era un prete e avrebbe dovuto assolverlo se si fosse pentito e avesse confessato ogni suo peccato.
Fu allora che il sacerdote si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò di consegnargli il libro.
Dapprincipio fece finta di non aver capito, ma quando Antonio ripeté perentorio la richiesta, l’uomo fu scosso da un tremito e cominciò a balbettare accampando le più inverosimili scuse.
Disse di non sapere di cosa stesse parlando e che in casa sua non c’era mai stato nessun libro, quasi fosse un vanto.
Al che, alzatosi dalla sedia, don Antonio fece per andarsene, senza aver raccolto la confessione e tanto meno aver assolto il moribondo.
Fu allora che, con un filo di voce, l’uomo capitolò e indicò al prete un cassetto del comò di fronte al letto.
Antonio lo aprì e tirò fuori un quaderno dalla copertina rigida e nera, come l’anima dell’uomo disteso sul letto.
Cominciò a sfogliarlo e davanti agli occhi gli passò la disperazione di tanta povera gente, tradotta in cifre e date che ne avevano violentato le esistenze.
Antonio, lentamente, si mise a stracciare quei fogli uno per volta, infliggendo all’usuraio agonizzante un dolore sordo e acuto che lo fece spirare, proprio nel momento in cui veniva strappata l’ultima pagina di quell’infausto libro.