“Dove la fine inizia” è il primo romanzo scritto dalla sammarinese Nicole Benedettini.
Al centro della storia una ragazza piena di coraggio.
Una famiglia avvolta dal mistero.
Un Muro invalicabile.
Un mondo diviso.
Un amore capace di resistere a tutto.
Basta la presa di coscienza
e la ribellione all’indifferenza
di una sola persona per cambiare le cose.
Berlino, 1989, Avril, diciassettenne nata e cresciuta a Berlino
Est, decide di lottare per la libertà e per la conoscenza di segreti
riguardanti la sua famiglia. Nel frattempo incontra Brian, affascinante
coetaneo che le fa rivedere le sue idee sui ragazzi, ma
Avril ha già preso la sua decisione. Compie un viaggio nella storia.
Ma forse il viaggio più grande lo compie proprio in se stessa.
Ecco alcuni brani:
“Quando entro in casa è sempre la stessa storia. Lo so, non vorrei, non vorrei proprio, perché tutto ciò mi nuoce dentro ma come posso far finta di niente? È stato tutto un casino. E che casino. Quella splendida foto in bianco e nero non fa altro che rammentarmelo, e la odio, ma non posso fare a meno di guardarla. Avevo 8 anni. È stato l’ultimo giorno che ho visto il mio papà. E sorridevamo tutti e due, lo stesso identico sorriso con le fossette, ignari di quello che sarebbe successo qualche giorno dopo. Persino gli occhi ridevano, e qualcuno un giorno mi disse che un sorriso vero non si vede dalle labbra ma dagli occhi. Mio babbo se n’era andato con la promessa di tornare al più presto da noi, e io l’avevo presa come la cosa più naturale al mondo, il babbo andava verso un mondo a me ignoto, un mondo che non faceva parte del mio piccolo e sicuro orticello. No, non era stata mantenuta la promessa. Non è più tornato per dirci quanto erano belle le nuove cose che aveva visto, quanto era bello viaggiare, non mi aveva portato sulle sue solide spalle a esplorare il pianeta. La cosa che mi fatto più male però fu un’altra: io non ho mai saputo quello che realmente è accaduto. Pensavo che avrei potuto lottare per saperlo, pensavo che sarebbe arrivato un giorno migliore, un giorno senza sofferenze, in cui mi sarei svegliata da questo incubo. Ma quel giorno non arriva mai, e io sono ancora qui, io non mollo la presa, potranno farmi male le mani, comparire dei brutti calli, ma finchè abbiamo un obiettivo importante, tutto ci scivolerà sopra come l’acqua tiepida”.
“Due minuti. Capita poco spesso l’attimo in cui ognuno di noi si ferma ad ascoltare tutti i suoni che lo circondano e a guardarsi intorno con gli occhi di un bambino che parte in esplorazione verso il mondo. Dovremmo farlo di più, ma siamo tutti presi dai nostri impegni come se il mondo intorno a noi non ci riguardasse, come se fossimo delle entità separate da bolle impenetrabili. Lanciai uno sguardo panoramico verso la città, rapido, ed ebbi un sussulto alla vista di quel Muro”.
“In quel momento mi uscì dalla bocca un fluido discorso che sembrava avessi preparato per anni nei meandri più nascosti del mio corpo, mentre fluì così, da solo, senza riflessioni né esitazioni, come se stesse aspettando solo quell’attimo di gloria.
– Non è colpa tua. Forse è colpa mia. Forse è colpa di tutti, forse è colpa di nessuno, forse le colpe vanno distribuite equamente, in uguale percentuale fra ciascuno di noi, noi che chiudiamo sempre gli occhi, noi, che cerchiamo di dire che tutto è regolare, tutto è come immaginavamo e avremmo sempre sperato, tutto è parte di noi. Il peggio è che crediamo alle nostre affermazioni, ci muoviamo come una massa informe, una massa mascherata, una massa che gira senza senso, senza obiettivo, senza sapere dove arriverà. Pensiamo di sapere tutto del mondo, di poter dominarlo, di conoscerne ogni sua ragione, mentre non sappiamo niente, siamo bendati, abbiamo gli occhi chiusi. Ed è solo una metafora, un’allegoria, una cosa di cui maggior parte della gente non saprebbe cosa farsene, ma questa è la nostra vita quotidiana, questa è la melma in cui siamo immersi ogni giorno, dove seppelliamo la testa fino a quando le orecchie ci scoppiano, la testa esplode e non riusciamo più a tacere. Questo è il Muro. Il grosso problema è che sapere fa aprire gli occhi e non possiamo più fare finta di niente. Allora non sapere è meglio, no?
– No. È sempre meglio sapere, anche se a volte è brutto, ti costringe a guardare in faccia la realtà nonostante la paura”.
Nicole Benedettini