Cristo si è fermato a Eboli: dal libro di Carlo Levi al film di Francesco Rosi.
Il romanzo di denuncia contribuì, nel secondo dopoguerra, a sollevare la cosiddetta “questione meridionale”all’interno del dibattito pubblico e politico
“Cristo si è fermato a Eboli” è divenuto nell’immaginario collettivo molto più del romanzo di denuncia, politica e sociale, scritto da Carlo Levi; il testo va oltre la semplice cronaca di un intellettuale, condannato a tre anni di esilio dal regime fascista, durante la seconda metà degli anni ’30. Laureato in medicina, il torinese Levi si dedicò per lo più alla pittura e alla scrittura: collaborò con diverse riviste politiche fino a dirigerne una insieme a Nello Rosselli, la clandestina “Lotta politica”, e diventare poi fondatore del movimento “Giustizia e Libertà”, insieme a Gaetano Salvemini, Carlo Rosselli ed altri esponenti antifascisti di spicco della fine degli anni ’20.
Il libro, pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1945, è stato fedelmente e magistralmente oggetto di una trasposizione cinematografica a opera del regista Francesco Rosi. Nel 1979 il film di Rosi, interpretato da un ineguagliabile Gian Maria Volonté, si aggiudicò ben due David di Donatello, sia come miglior film e sia come migliore regia. Se per Italo Calvino «la peculiarità di Carlo Levi è nell’essere stato testimone della presenza di un altro tempo all’interno del nostro tempo, ossia nell’essere stato ambasciatore di un altro mondo all’interno del nostro mondo», non da meno è stato certamente il contributo di Francesco Rosi nel dare un volto a quelle immagini già narrate in maniera cruda, ma saggia ed essenziale e senza alcuna retorica, da Carlo Levi.
L’intellettuale esiliato Carlo Levi avrebbe potuto mantenere un certo distacco da quelle popolazioni, contadine e povere, di una terra dove sembrava che davvero Cristo non fosse mai arrivato; ma così non fece. A Eboli, la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare e si addentrano nelle desolate terre della Lucania. Per arrivare a Gagliano (l’attuale Aliano), Levi deve prendere dapprima un treno, poi una corriera e infine una scassata automobile, sempre scortato da «due robusti rappresentanti dello Stato, dalle bande rosse ai pantaloni e dalle facce inespressive».
Il libro e il film ci narrano, entrambi, la routine quotidiana di Carlo Levi durante il suo esilio, così lontano dalla sua città natale: dal divieto d’incontro con gli altri confinati presenti nel paese, alle direttive di un bonario quanto burocrate podestà, fino agli incontri con gli abitanti che, non di rado seriamente malati, gli chiedono aiuto in qualità di medico, ossia di laureato in medicina che però non ha mai davvero esercitato la professione fino a quel momento. Egli non si è sottratto a quelle richieste di aiuto perché, come scrisse Jean-Paul Sartre, «vi era in lui un profondo rispetto per la vita».
In quel piccolo paesino lucano, Levi si rende conto di quante siano le persone che hanno già dovuto assaggiare il dramma dell’emigrazione in America, giacché sembrava impossibile avere una vita dignitosa in quelle zone della Basilicata dove, oltretutto, non mancava neppure la malaria. Il governo di Roma è in quegli anni impegnato sul fronte delle conquiste coloniali in Africa e tra i contadini, che si sentono abbandonati dallo Stato, serpeggia un certo malumore a stento tenuto sotto controllo dalle autorità locali e dal podestà. Sarà la sorella di Levi, che gli fa visita a Gagliano, a raccontargli di una situazione ben peggiore a Matera, dove circa ventimila persone vivono confinate insieme agli animali, prive delle più elementari misure igieniche, in case scavate all’interno di grotte: i cosiddetti Sassi. Rileggendo il libro e rivedendo il film oggi, è impossibile non pensare a un riscatto di quelle terre che furono definite “vergogna nazionale” all’indomani della visita di Alcide
De Gasperi, il cui governo nel 1952 promosse le leggi speciali per il risanamento, in particolare, dei Sassi di Matera; una città divenuta emblema di questa rivincita, per l’intero Mezzogiorno, che è passata attraverso due step importanti: l’iscrizione nel Patrimonio Unesco nel 1993 e la proclamazione a “Capitale europea della cultura 2019”.
Tanta strada è stata quindi percorsa dal “Cristo si è fermato a Eboli”; tuttavia non possiamo permetterci di abbassare la guardia e pensare che il Mezzogiorno non possa avere ancora oggi dei mondi all’interno di altri mondi. Sono trascorsi molti decenni, che si sono cumulati in quel calderone che Carlo Levi chiamava “Storia” con la maiuscola: grazie a questo straordinario intellettuale, essa ha aperto le sue pagine a quelle comunità, all’epoca ultime e invisibili nella loro miseria. Ora che queste terre non sono più negate alla Storia, spetta alle nuove generazioni vigilare affinché il meridione non venga in futuro ancora negato allo Stato, fosse anche sporadicamente, distrattamente, o soltanto in un remoto spicchio di terra geograficamente distante dai palazzi della politica.
Dovremmo perciò in primis vegliare affinché, seppure con le dovute proporzioni rispetto a questo nefasto passato, Cristo oggi non si fermi a pochi passi dalle tante estreme periferie delle nostre grandi metropoli, edificate spesso sulle fondamenta di un finto benessere, dove invece il degrado bussa costantemente alle porte degli ultimi, consumando il suo delitto nell’indifferenza delle istituzioni.
Così scriveva Carlo Levi nell’incipit di questo suo capolavoro. «Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare la Storia. Spinto qua e là alla ventura, non ho potuto finora mantenere la promessa fatta, lasciandoli, ai miei contadini, di tornare tra loro, e non so davvero se e quando potrò mai mantenerla. Ma, chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato riandare con la memoria a quell’altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia. In questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli.