martedì , Dicembre 3 2024

Chi vorremmo si sedesse con noi a parlare per un’ora?

Io ho studiato l’istituto giuridico dell’adozione tanti anni fa, ho ripetuto più e più volte gli articoli del Codice che vi fanno riferimento, per essere sicura entrassero bene nella mia memoria.

Non sapevo allora che ciò che rende eterno un ricordo è l’emozione.

L’adozione è l’istituto giuridico che garantisce al bambino in stato di abbandono il diritto a vivere serenamente all’interno di una famiglia.

In diritto romano esisteva un particolare tipo di adozione rivolto ai maggiorenni, poi ripreso nella sua struttura e finalità dal Codice Civile, una figura arrivata sino ai giorni nostri. Mi aveva molto colpita questa cosa pensavo “Chi e perché ha voglia di adottare un adulto?”

Crescendo ho cambiato idea.

Capita a volte non spesso non sia necessario normare giuridicamente questo tipo di rapporto che si instaura tra due persone in modo naturale, senza necessità di un quadro giuridico, è sufficiente il legame del cuore, un riconoscersi a posteriori. Un regnum legis del cuore

Mio figlio con quel rigore che a volte accompagna gli adolescenti che sentono forse la necessità di in quadrare il mondo, parlando di una mia amica di qualche anno più grande di me mi ha detto “ah allora se ha cinquant’anni ormai non diventerà più mamma”.

Non glie l’ho detto, so lo comprenderà benissimo da solo con il tempo, ma si può essere mamma in tanti modi: di un gatto, di un esercito di bambole, della propria mamma ormai anziana, di una vecchia zia, delle figlie delle proprie amiche, dei propri colleghi di lavoro più giovani, di un sogno o di un progetto di vita, o anche semplicemente di noi stesse.

E’ il concetto di “prendersi cura” a renderci genitore.

Si diventa mamme o babbi di quelle persone che accogliamo nel nostro cuore amandole senza riserve, accettandole per quello che sono, scoprendo ogni giorno un tassello, una luce, un riflesso  diverso, sostenendole con molta energia, apertura  e con un sorriso sincero come quello di un bambino, come quello che rivolgiamo a lui, puro senza nessuna regola di convenienza, con una matrice ben precisa: il desiderio di mostrare la parte più vera di noi.

Adottiamo le persone a cui rivolgiamo un pensiero al mattino appena svegli e la sera prima di andare a dormire, quelle che vogliamo sempre sapere al caldo nelle notti gelate o al fresco di una brezza rinfrancante in quelle roventi, con la pancia piena e qualche sogno da realizzare in corso, o semplicemente serene, quelle di cui condividiamo i crucci, quelle  il cui pensiero ci fa sorridere sempre.

Adottiamo le persone le cui narrazioni si intrecciano alle nostre, gli attivatori inconsapevoli di sinapsi che ci regalano un biglietto di sola andata verso la parte più magica di noi, quella che aspettava solo uno sguardo speciale per spalancare le proprie porte e permetterci l’accesso a un mondo fantastico, fatto di un linguaggio personale e condiviso, di un proprio codice noto solo a chi ha intrecciato le proprie vite in un modo nutriente e ristoratore, pieno di grazia leggerezza, purezza e candore.

Come due persone che un bel giorno decidono di adottarsi reciprocamente, come due bambini che fanno all’interno di due bicchieri di plastica un buco, uno in ciascuno, e poi inseriscono una lunga fune all’interno per collegarli, stringono un nodino in modo che possa pur tirandola rimanere sempre tesa, poi cominciano a parlare all’interno del loro telefono magico, raccontandosi all’infinito, nella rassicurante e benedetta banalità delle piccole cose che scandiscono una giornata, nella maestosità dello spirito che accompagna la felicità di una conquista personale, in una progression, nel peso enorme che si sente di fronte a quello che a prima vista appare come un ostacolo insuperabile che trattiene a terra, nel dolore sordo di una delusione, nei tonfi e nei trionfi ma anche nel balsamo nutriente e ristoratore che regala la sensazione di condividere il proprio tempo.

Nel proprio tempo ordinario e straordinario, nella stanchezza di alcune giornate senza luce alle quali si domanda solo di terminare e in quelle in cui ci si sente leggeri e speciali, sulle ali di una nuova entusiasmante avventura o semplicemente in una condizione di pace con se stessi e con gli altri.

Forse procediamo tutti nel mondo allo stesso modo: cercando quella piccola parte mancante di noi che ci possa rendere completi e ci faccia sentire speciali, facciamo centinaia di incontri, di alcuni non serbiamo neanche memoria, altri ci accendono, ci esortano ad aprire il nostro forziere, quello che teniamo sempre ben serrato ai più e scopriamo in quest’atto salvifico e coraggioso che contiene qualche piccolo o grande tesoro, come una manciata di sassolini raccolti in un bellissimo mare per ricordare una vacanza e che poi a casa sembrano perdere del tutto l’intensità e brillantezza della prima volta che li abbiamo visti riverberare, è sufficiente qualcuno ci ricordi o suggerisca di metterli in un barattolo con dell’acqua perché possiamo ritrovarli  in tutto il loro antico splendore, provando la stessa emozione della prima volta, una persona speciale fa proprio questo: ci dona gli strumenti giusti per vedere la nostra luce, le nostre ali, il nostro potenziale e anche di ridere insieme.

C’era un interruttore luminoso dentro di noi ma non sapevamo bene come azionarlo.

C’è sempre una persona con la chiave giusta per aprire la nostra porta, la abbellisce magari con un acchiappasogni ben in vista, ce lo lascia in dono una notte mentre dormiamo, come un carillon che si apre e oltre allo spettacolo di una ballerina che danza al suo interno ha tanti bigliettini, tante frasi speciali, le più belle che hanno scandito e accompagnato il rapporto e che ora fanno parte di un lessico familiare autonomo e speciale, come una scatola piena di fogli di carta e corredata da tutte le istruzioni necessarie a trasformare questa materia prima in preziosi origami, una persona speciale fa questo: suggerisce inconsapevolmente come utilizzare al meglio ciò che si ha, le proprie risorse i propri talenti per trasformarli in qualche cosa di più elevato, un passo ulteriore e necessario verso la persona che è destino noi siamo, destino e natura. Forse un ossimoro forse un sinonimo.

E’ sufficiente pensare a una panchina di legno nel posto più solitario di un bel parco, sotto a un cielo di stelle o ai raggi tiepidi di un sole autunnale, circondata da alberi robusti e maestosi ed altri piantati da poco e ancora esili…chi vorremmo si sedesse con noi per parlare per un’ora?

Questa persona adottala.

 

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