Carson non teneva più il conto di quante fossero le conoscenze cui avesse già chiesto, approdata a tale grave imbarco, di essere accompagnata alla vicina cittadina di Nutley pur di salvare Casey-Kit.
Casey-Kit aveva del resto già tredici anni e aveva preso a respirare affannosamente,quasi che il cuore gli si dovesse fermare da un momento all’altro.
In aggiunta,si era portato a casa una diagnosi davvero severa.
Carson stava collezionando per lui mille osservazioni-
‘’Ma chi te lo sta facendo fare?
A che scopo, accanirsi tanto?
Finiresti inutilmente per buttar via una borsa di soldi..!’’
Ma, non ultimo, mancava ancora all’interpellanza l’amico Berney.
Tra Berney e Casey-Kit c’era da sempre quel che potrebbe passare per una ‘affinità elettiva’.
Entrambi potevano pensare di amare i giochi e la vicinanza soltanto in frangenti regolati da una indispensabile, vitale esigenza.
Berney ,in aggiunta, poteva considerarsi un’anima sociale, con qualche guizzo di semiseria ilarità o stramberia.
Raccolse l’invito naturalmente al volo, mestamente consapevole delle infinitesimali possibilità di felice riuscita del viaggio.
Fu tuttavia in grado di essere di conforto a Carson con parole che lei,suo malgrado, si sarebbe aspettata di udire persino dagli altri ,prima di lui contattati.
Ma Berney fu capacissimo di impersonare il perfetto zio ,per lo strenuo Casey-Kit, anche in quella circostanza.
Casey-Kit pianse allo sfinimento per buona parte del tragitto.
Alle cure ostinate degli ultimi giorni rispondeva con una scioccante magrezza, i suoi colori opacizzati e le note della sua piccola gola rosa pallido, smorte.
Capitava che in treno Berney lo accarezzasse facendo passare le dita da artista, con le unghie tagliate al limite della mania, attraverso le fessure della valigetta con l’impugnatura abbassata.
A quel punto Casey-Kit si acquietava.
Almeno fino a quando non incrociava lo sguardo angosciato di Carson… a quel punto non riusciva proprio a non cedere.
Inaspettamente-vista l’attenzione al percorso, minata dal chaos emotivo in moto- i tre compari, usciti dalla cabina del treno stralunati, ebbero la clinica famosa di fronte.
Almeno dall’esterno, ogni comfort pareva potesse essere garantito a Casey-Kit.
Berney suonò al citofono per tutti e tre.
Apparve così il medico da cui ,da bimbo, ti saresti immaginato di essere licenziato con un lecca-lecca, un buffetto sulle guance o una scompigliata ai capelli-un signore di media stazza, dalla voce calda e modulata su di una lentezza rassicurante,in rigoroso camice bianco.
Persino Casey-Kit,in educato ascolto, interruppe per un attimo il suo piagnucolare.
Loro malgrado, però, un siffatto specialista tradusse immediatamente la sua magrezza e il respiro affannoso in qualcosa di difficilmente tollerabile dall’amore che i tre provavano l’uno sull’altro.
Casey-Kit fu repentinamente fatto entrare in una piccola teca ,attraverso la quale lo si riusciva a vedere dall’esterno, a chiedere aiuto agli altri tre facendo incetta di ossigeno vitale.
In una sala medica tanto immensa, Casey-Kit e la sua disperazione non potevano far altro che toccare il cuore.
Questa fu la missione estrema del tredicenne.
Il medico, con fare paterno, chiese a Berney e Carson di lasciarlo da lui per almeno una giornata.
Tornare senza Casey-kit e la sua valigetta fu orribile per i due.
Carson non faceva che disperare.
Berney poteva solamente sentirsi fiero di stare vivendo una esperienza aggregante, reale.
Riusciva a parlare tramite gli occhi.
Carson comprendeva che aggiungere dei suoni a tutto il resto avrebbe rappresentato un inutile carico aggiunto.
Casey-kit non torno più a River Dale.
Molto probabilmente spiccò il suo volo, consapevole delle fortune che questo passaggio chiamato Realtà Fisica gli aveva potuto concedere.
Berney e Carson rimasero amici.
Lo sono ancora.
Casey-Kit li osserva.
Sorridendo quasi.
I baffi laccati.
Il manto lucido.
Grigio, e a strisce.