Correva l’anno 1947. Il selezionatore dei Chicago Cubs, squadra professionistica di baseball, seguiva con attenzione il ventiquattrenne catcher dal fisico poderoso venuto al campo per un provino che, sino ad allora, si era dedicato al pugilato dilettantistico.
Per due volte era stato sul punto di segnare il suo nome nella lista dei nuovi pro, ma il rilancio in seconda base non lo convinceva…
Alla fine decise di tagliare il ragazzo: avrebbe puntato ancora sui due vecchi titolari.
Quel che non sapeva, era che il ragazzo lanciava corto a causa di un infortunio passeggero subìto sotto le armi, durante il conflitto da poco concluso.
Un altro fatto che l’osservatore ignorava, cosa per cui tutti noi gliene siamo grati, era che quel tozzo e nerboruto ragazzone sarebbe divenuto una delle più grandi stelle del pugilato statunitense, mondiale e dello sport intero.
Il suo nome di matrice italica sarebbe passato ai posteri con tre numeri inseriti tra parentesi: 49-0-0. Quarantanove incontri vinti, zero sconfitte, zero pareggi. Unico campione dei massimi della storia a ritirarsi imbattuto.
Rocco Frances Marchegiano, alla storia passato come Rocky Marciano, nacque l’1 settembre 1923 a Brockton in Massachusetts, una cittadina costiera che ventuno anni più tardi avrebbe dato i natali pure ad un’altra leggenda del ring, Marvin Hagler.
Sotto il metro e ottanta, dal peso di soli ottantatré chilogrammi e con l’allungo più corto nella storia dei pesi massimi nel pugilato moderno, Rocky compensava con una combattività senza precedenti, due corte gambe che avrebbero potuto sostenere una quercia abbattuta ed una voglia di vincere impareggiabile. Tutte cose che, a distanza di anni e chilometri, fanno gonfiare il petto ad ogni italiano nel mondo.
Nel suo gancio destro, potente ed efficace quanto una scure d’acciaio temprato, c’era tutta la voglia di rivincita della classe operaia emigrata dall’Italia, onesta e laboriosa che, in fuga da un paese ancora privo d’opportunità, trovava razzismo e ostilità nella propria strada per la sopravvivenza in America.
Il ritorno di Marciano al pugilato, dopo la disillusione del baseball, segnò un inarrestabile inanellarsi di vittorie: i primi sedici incontri finirono tutti per knock-out. Il diciassettesimo, contro Don Mogard, fu comunque una limpida decisione unanime.
Poi ancora ko che spalancarono le porte del Madison al grande combattente italo-americano. La stampa non lo amava, prediligendo i pugili più tecnici; a Marciano la cosa non interessava, perché lui continuava a vincere.
Incontrò un vecchio Joe Louis, quello che secondo la mia modesta opinione è il più grande massimo della storia, e lo abbatté all’ottava ripresa.
Arrivò la grande chance mondiale, contro un Jersey Joe Walcott ormai quarantenne.
In uno degli incontri più emozionanti della storia del pugilato, il vecchio leone nero dovette cedere la cintura al tredicesimo round.
Rocky Marciano la indossò, per non lasciarla più.
La difese per due volte contro lo straordinario Ezzard Charles, allo Yankee Stadium di New York, dove in gioventù Marciano avrebbe voluto giocare a baseball.
Infine la difese per l’ultima occasione contro la “Vecchia Mangusta” Archie Moore, in una serata in cui pure lui incappò in un atterramento, alla seconda ripresa; la forza interiore di Rocco Marcheggiano da Ripa Teatina, però, andava oltre qualsiasi ostacolo. Moore, un grandissimo del nostro sport, dovette soccombere alla furia assassina, ai corti ganci, alle ossa dure come mattoni di Marciano.
Rocky concluse la sua carriera quella sera; si ritirò da eroe e gli Stati Uniti lo trattarono come tale per gli anni che gli rimasero, che purtroppo furono pochi.
Il giorno precedente al suo quarantaseiesimo compleanno il grande spirito combattivo di Rocky Marciano si estinse al collidere col suolo del piccolo aereo su cui viaggiava.
Gli sopravvive, ora, qualche familiare, il tifo di molti appassionati del Massachusetts e l’orgoglio della classe pugilistica del suo paese d’origine, l’Italia, che mai lo dimenticherà.