“Leonardo e le dodici pietre del paradiso”: nel libro un’analisi accurata in merito alla verità nascosta nel Cenacolo e al significato che il Maestro volle attribuire alle pietre preziose da lui stesso dipinte.
Questo libro nasce da una personale constatazione: preparando una presentazione sul capolavoro vinciano, e osservandone bene i dettagli, ho focalizzato un giorno lo sguardo sulla pietra preziosa dipinta da Leonardo all’altezza della scollatura del Cristo. Mi sembrava di non averla mai vista prima, eppure non era la prima volta che osservavo il dipinto; tuttavia, fino a quel momento,non mi ero mai interrogata sul significato delle pietre preziose. Perché Leonardo le dipinse e qual era il messaggio che voleva comunicare quando le associò agli apostoli e al Maestro? Il mio viaggio alla scoperta del mistero delle dodici pietre è iniziato qui. Ho scelto di intraprendere una strada nuova, di esaminare un’iconografia inesplorata e la relativa spiritualità sottesa, per far emergere un Leonardo inedito, un volto ancora da approfondire e studiare, e che può riservarci nuove emozioni.
Occorre poi considerare che gli amuleti egizi erano molto considerati, venivano esportati in tutto il bacino del Mediterraneo, tanto che nel progettare lo hoshen, il pettorale ebraico indossato dal sommo sacerdote, gli Ebrei si ispirarono forse ai pettorali d’oro portati dai faraoni, arricchiti anch’essi di pietre preziose d’ogni tipo, e guardarono allo shen egizio, antico amuleto usato anche in Mesopotamia quale simbolo associato alle divinità. La conoscenza degli Ebrei riguardo alle costellazioni doveva essere sommaria; tuttavia, considerando che l’astrologia era nata in Caldea o a Babilonia. Jacopo da Varazze nella Cronaca di Genova riporta un fatto assai curioso: nel 1101, durante la Prima Crociata, partecipando alla presa della città di Cesarea, i soldati genovesi al comando di Guglielmo Embriaco avrebbero ritrovato il catino di smeraldo in cui Gesù consumò l’Ultima Cena e che Nicodemo impiegò per raccogliere il sangue del Signore dopo la sua morte in Croce. Se è vero, da una parte, che l’autore non prende una posizione in merito all’autenticità del catino, dall’altra è interessante constatare l’esistenza di una leggenda che considerava proprio di smeraldo una reliquia di tale valore. Possiamo supporre che Leonardo conoscesse l’Apocalisse di san Giovanni, mentre non conosceva forse il libro dell’Esodo.
Nel corso del Quattrocento il progresso e l’aumentata ricchezza portarono a una rinascita artistica e culturale che in ambito cortese si tradusse nella necessità di adottare un più raffinato modo di vestire. La ricerca dell’ornamento prezioso riguardava sia la moda femminile, che quella maschile: accessori come cappelli, guanti, pellicce, stivali, non potevano non recare un gioiello applicato, autentico o falso che fosse.
Lo stesso Leonardo aveva elaborato non solo formule chimiche per realizzare le gemme, ma anche rebus e allegorie per comporre messaggi cifrati destinati all’abbigliamento dei nobili della corte sforzesca. Benché usasse definirsi ‘omo sanza lettere’, in realtà l’artista frequentava biblioteche pubbliche, dove aveva accesso anche a manoscritti di carattere scientifico. Grazie ai testi antichi e medioevali, la simbologia delle pietre si era quindi conservata: lo zaffiro, simbolo di umiltà, rendeva l’uomo puro; il berillo giovava alle facoltà intellettive ed era ritenuto capace di prevedere il futuro.
Per quale motivo Leonardo optò per una scelta così importante? Sappiamo che l’artista conosceva il valore dei simboli, verso i quali nutriva una spiccata attrazione e che impiegò spesso nei suoi dipinti per concretizzare i contenuti che intendeva esprimere. Per comprendere la sua scelta, concettualmente valida, occorre valutare il significato che la pietra rivestiva nell’antichità. Sappiamo che presso le civiltà antiche il minerale era ritenuto di grande importanza: era considerato di buon auspicio e portatore di pace, indicando la primavera, il risveglio degli stati d’animo positivi, la possibilità di rigenerazione e le forze buone contenute nella terra.
Ma arriviamo alla terza ipotesi, quella che considera infine il piano astronomico, al quale Leonardo prestò sempre una grande attenzione. In Età rinascimentale i fenomeni celesti erano tenuti in grande considerazione; sappiamo che lo stesso duca Ludovico il Moro li temeva, al punto da riferirsi ad Ambrogio Varese da Rosate, suo medico e astrologo, per programmare incontri e affari politici. Dipingendo gli apostoli nell’Ultima Cena con indosso una pietra preziosa relativa a un pianeta del sistema, Leonardo svelava qualcosa di molto più grande. Ti è venuta la curiosità di conoscere la Verità nascosta nel Cenacolo di Leonardo e il significato delle pietre preziose dipinte dal Maestro?
Testo tratto dal libro “Leonardo e le dodici pietre del paradiso” cura di Elisabetta Sangalli, artista monzese che a San Marino ha realizzato il dipinto della parete dietro l’altare della Chiesa di San Pietro a Falciano, in collaborazione con Tiziano Radice Editore dell’opera.
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