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San Marino Patrimonio Unesco dal 2008 grazie alla sua storia

San Marino è Patrimonio Unesco da nove anni

All’ingresso della Porta di San Francesco una targa affissa più in basso di quelle settecentesche testimonia un riconoscimento molto importante per la Repubblica di San Marino, di cui oggi ricorre l’anniversario: l’ingresso nel Patrimonio Unesco.

Il 7 luglio 2008 il Comitato del Patrimonio Mondiale dell’Unesco riunito in Quebec (Canada), nel corso della sua 32a sessione deliberò l’iscrizione del Centro Storico di San Marino e Borgo Maggiore e del Monte Titano nella Lista del Patrimonio dell’Umanità.

E’ la Commissione stessa a motivare le ragioni che hanno reso possibile questo ingresso, individuandone i motivi principali nello stato di conservazione del Centro storico e nelle peculiari caratteristiche della sua storia, in cui il concetto di Libertas ha sempre avuto un peso e significato preponderante nei rapporti interni e con l’esterno.

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Le ragioni dell’ingresso

Per l’UNESCO San Marino e il Monte Titano costituiscono una testimonianza eccezionale dell’istituzione di una democrazia rappresentativa fondata sull’autonomia civica e l’autogoverno avendo esercitato con una continuità unica e senza interruzione il ruolo di capitale di una Repubblica indipendente dal XIII secolo. 

La leggenda di San Marino

Marino, fondatore della nostra Repubblica, all’inizio del Trecento lasciò la natia Arbe, un’isola della Dalmazia per approdare sulle coste adriatiche a Rimini, qui passò gli anni della maturità praticando lavori manuali.

Giunto a tarda età per meglio servire il suo dio preferì spostarsi sul monte Titano, dove con le sue mani costruì una piccola chiesa, concluse la sua vita alternando il lavoro alla preghiera.

Questo deduciamo da un testo agiografico, la “Vita Sancti Marini”, il cui manoscritto più antico, da collocarsi nella prima metà del X° secolo, è stato pubblicato dallo storico svizzero P. Aebischer.

Fatto saliente della vita di Marino è la donazione del Monte da parte di donna Felicita, una nobildonna riminese, in ringraziamento al Santo per avergli guarito da malattia il figlio Verissimo.

Marino avrebbe poi fatto una donazione del monte alla prima comunità cristiana che attorno alla chiesa si era raccolta. Questo il punto di partenza di ciò che viene definito “il mito della libertà perpetua” di San Marino, mito che trova un riscontro anche nella pubblicistica ufficiale.

Questo è il prodotto di un percorso che parte dalla donazione riportata nel testo agiografico, trova poi significativo appoggio nella questione relativa al Placito Feretrano, e molto più tardi in quella difesa che intrapresero i rappresentanti del Comune sammarinese nel 1296 davanti a Ranieri, abate di Valle Sant’Anastasio, incaricato d’inquisirli perché avevano rifiutato di pagare il salario al Podestà feretrano.

Quid est libertas?

Il nemini teneri, il non essere obbligati a nessuno che poggiava sulla donazione del Santo e su un’esperienza di vita sociale di lunga tradizione, è la risposta all’interrogativo posto dall’abate: “Quid est libertas?”.

I sammarinesi rifiutarono il pagamento di balzelli, facendo risalire la loro libertà ab antiquo, in particolare basandosi su tale donazione.

Dalla piccola comunità cristiana raccolta attorno alla chiesa collocata in cima al monte Titano si passò poi ad una comunità più ampia composta da pastori ed agricoltori abitanti alle falde e nei dintorni del monte, come si deduce dal Placito Feretrano (885), in breve ambito territoriale, di proprietà prima del del Monastero, in seguito della Pieve, i quali nell’Abate prima e nel Pievano poi, ebbero non solo la guida spirituale, ma anche il rappresentante più autorevole della vita sociale. Già da prima del Mille la Pieve sammarinese si trovò inserita nella diocesi feretrana ed ebbe nel vescovo di san Leo il rappresentante della Chiesa di Roma, il superiore in spiritualibus e in temporalibus.

Solo verso la metà del XIII secolo si potrà parlare di una prima forma di autonomia sammarinese col nascere di quella istituzione tutta laica che fu il Comune.

Il Carducci, nel celebre discorso “La libertà perpetua di San Marino” , proferito il 30 settembre 1894 in occasione delle celebrazioni per l’inaugurazione del Palazzo Pubblico, accetta la leggenda così com’ è, anzi ne fa una ricostruzione letterariamente felice, narrativamente commossa.

Lo storico P. Aebischer invece invita a distinguere ciò che è veritiero da ciò che appartiene alla letteratura agiografica.

Anzi afferma esplicitamente che la leggenda non è documento storico, ma dimostrazione che nella tarda epoca della sua composizione (sec. X) si venerava sul Monte Titano la memoria di un santo anacoreta di nome Marino.

Un dato è certo, tale leggenda costituì sempre un forte legame per la comunità sammarinese, che la pose e la continua a porre a fondamento della sua coscienza autonomistica.

Chiara Macina

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