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Il pugilato a mani nude ai tempi del razzismo britannico

Scriveva, oltre due secoli fa, il giornalista inglese Pierce Egan: “Non sarà dimenticato, se la giustizia avrà un suo corso, che fu solo il colore della pelle a privare Molineaux della vittoria di quel combattimento!”.
L’incontro in questione era quello tra l’ex schiavo di colore Tom Molineaux e l’idolo di casa, Tom Cribb. Ebbe luogo ad Hailsham, nel Sussex, in Inghilterra. Non lontano da dove ora sorge l’aeroporto internazionale di Gatwick.
Cribb, scaricatore di porto di Bristol dal fisico erculeo, era considerato un gigante, dall’alto del suo metro e ottanta, misura classificata ben oltre la media dell’epoca.
Tom Molineaux veniva dalla Virginia, dove era stato schiavo figlio di schiavi, aveva conquistato la libertà facendo guadagnare ottimi soldi al proprio padrone con incontri tra africani delle piantagioni; si era dato al professionismo e si era imbarcato per l’Inghilterra, dove i pugili a mani nude erano ben pagati.
Ad ottobre del 1810 gli venne concessa l’opportunità di contendere il titolo dei massimi a Cribb, al tempo considerato invincibile.
Le regole erano quelle del London Prizefighting, per cui un numero massimo di round non era contemplato; i pugili avrebbero dovuto combattere all’infinito finché ad uno dei due non fosse risultato impossibile riguadagnare il centro del ring, chiamato ‘scratch’, al principio della ripresa successiva. Le riprese non avevano durata, ma terminavano solo con l’andare al tappeto di uno dei contendenti.
I pugni erano nudi, non fasciati, non si poteva calciare, usare i gomiti, infilare i pollici negli occhi, spingere o legare sotto la vita dell’avversario.
I primi round furono dominati dal campione, che contava su gran pubblico a favore, esperienza ed arte da mestierante.
Il pubblico britannico, che all’inizio applaudiva sportivamente lo sfidante di colore, col passare dei round cominciò a veder pericolosamente vacillare il portabandiera del proprio orgoglio nazionale, di pari passo con la crescente efficacia dei pugni di Molineaux; serpeggiava, inoltre, la paura di dover assistere al trionfo di un uomo appartenente ad una razza considerata inferiore.
Al diciannovesimo round, Cribb era in balìa dell’avversario e si trascinava sul fondo sabbioso ormai completamente arrossato dal sangue, quello sì dello stesso colore, dei due pugili. Cribb crollò al tappeto apparentemente privo di sensi e Molineaux, appoggiatosi ad una balaustra che delimitava il terreno di combattimento, venne bloccato da decine di tifosi inferociti che gli si avventarono contro spezzandogli due dita di una mano ed uno dell’altra.
Nessuno intervenne in sua difesa. Nel frattempo, Cribb si era ripreso ed aveva riguadagnato la posizione di guardia.
Il match prese, quindi, un’altra piega, e Cribb cominciò a martellare un Molineaux senza difese.
Pur non avendo più mani, con la mascella rotta e diverse costole spezzate, il pugile africano rispondeva sempre al richiamo d’inizio round, facendosi sempre trovare coi piedi nello ‘scratch’.
Al trentanovesimo round Tom Molineaux, provatissimo, dichiarò la resa a mezzo del proprio inglese di ragazzo d’Africa: “Me can fight no more”. Non posso più combattere.
Fu una pagina realmente triste per i sudditi della Corona d’Inghilterra i quali, ancor oggi, ricordano con vergogna quell’autentico scempio compiuto dal pubblico presente all’incontro.

Molineaux, troppo temuto dopo quello straordinario match entrato nella storia, non ebbe più avversari disposti a sfidarlo e cadde in assoluta povertà.
Ritiratosi dal pugilato, vittima di un severo alcolismo, provò la prigionia per i debitori insolventi, visse di espedienti e morì nel 1818, in un dormitorio irlandese, per il cedimento delle funzioni epatiche, a soli 34 anni.
Senza le gravi ingiustizie subite durante quell’epico incontro, la sua vita sarebbe potuta essere ben diversa.
Tutto questo, secondo gli scritti arrivati ai nostri giorni, era ciò che accadeva duecento anni or sono.

Marco Nicolini

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