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L’abito fa il monaco. Perbacco!

L’abito fa o non fa il monaco?

Certo che lo fa! Eccome, ma non è cosi semplice.

Bisogna sapersi vestire.

Ma cosa vuol dire? Mah.

Di giorno ci si veste in un certo modo, di sera, di notte, in un altro.

Ad una cerimonia, ad una cena, ad un incontro di lavoro, in un campo, in un’escursione, a fare una passeggiata, con il clima freddo, con il clima caldo, ad una laurea, ad un battesimo in tanti e diversi modi.

“Com’è quel locale in centro?”

“Bello, c’è gente giusta”.

Quante volte si sentono discorsi di questo tipo.

“Bella gente”, “Vestiti giusti”.

Prendiamo ad esempio il famoso Studio 54 (sulla 54th Strada e Broadway), di come per entrare dovevi essere scelto all’entrata, tra decine e decine di persone. Piu’ eri bello/a o particolare, più le tue possibilità di vivere una serata in uno dei posti più discussi del globo aumentavano.

Si beh, lo Studio 54 era anche il luogo per celebrare la bellezza, in maniera eccessiva ed eccentrica, attraverso modalità piuttosto discutibili.

Studio-54

Si dice, che, << ogni sera la selezione alla porta doveva rispettare quella che il gestore Steve Rubell, definiva come “salad”, un’insalata di personalità, non necessariamente celebri o ricche, ma che rendeva variegata la scena all’interno. Si riporta infatti di una sera in cui proprio Rubell, come spesso accadeva, era fuori a selezionare personalmente le persone da far entrare nel locale. Pare puntò un ragazzo dicendogli che non gli piaceva la maglietta che indossava. Il ragazzo chiese se sarebbe potuto entrare se l’avesse levata. Rubell accettò e il ragazzo, mezzo nudo, entrò nel locale quella sera >> .

Le persone si disperavano per far parte della “salad”.

Selezioni, più o meno come quelle di oggi al Cocoricò, si infatti.

Ma perché? Perché non ci si veste sempre nello stesso modo? Con gli stessi abiti?

Per comodità? Per costume? Per necessità? Per le condizioni climatiche? Per farsi notare? Per piacere?

Forse la risposta è racchiusa nel cocktail di tutti questi fattori.

Direi per COMUNICARE.

Si, per comunicare qualcosa a qualcuno.

Noi siamo comunicazione costante e in movimento.

Ciò che diciamo, come ciò che facciamo, come lo facciamo, ma anche ciò che indossiamo e soprattutto come lo indossiamo.

Andreste vestiti da escursionisti ad un matrimonio?

Forse no, perché? Perché il costume e la società ci insegnano che non è cosa giusta. 😉

Ma potrebbe esserci qualcuno disposto a farlo e quello sarebbe il suo modo per comunicare un suo messaggio.

Non possiamo esimerci dal comunicare. Anche la NON COMUNICAZIONE è COMUNICAZIONE.

Il “gioco” è molto complesso.

Ecco. La necessità di esprimere qualcosa attraverso ciò che indossiamo oltre a ciò che siamo e facciamo è una delle nostre primarie schiavitù.

Pensare a tutti i meccanismi e significati che si sprigionano attraverso questa consapevolezza è davvero interessante e assolutamente non banale.

Wow. Allora nascono le occasioni d’uso, gli abbinamenti, le mode, le anti-mode, le tendenze, lo street-style, tutto e il contrario di tutto.

Che bello, quindi possiamo metterci qualsiasi cosa? Più o meno, consapevoli delle conseguenze di ciò che stiamo comunicando alla società.

Naturalmente il vestirsi comunica quanto lo svestirsi.

La nudità è a sua volta una precisa comunicazione.

L’uso che si fa del corpo fà la differenza.

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Direi ovvio.

Questa apparente banalità per raccontare che quella che noi chiamiamo in maniera frequentemente “leggera” MODA, o tutto ciò che ne è sinonimo, è un codice di linguaggio molto complesso, che passa attraverso “citazioni”, studi di vario tipo, suggestioni, riferimenti ecc

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I più grandi stilisti dello stivale, per citare il nostro ammirato Made in Italy, ce lo dimostrano stagione dopo stagione, nelle loro sfilate ad esempio, divertendosi a creare un messaggio, un filo conduttore, una favola, una storia, un perché, che ci porta attraverso un mondo di RIFERIMENTI che insieme ci  raccontano ciò che stiamo vedendo.

Pertanto, l’abito fa il monaco, (per usare una citazione), perché qualsiasi scelta noi facciamo, in questo caso, nell’abbigliamento, scatena un puzzle di messaggi e codici che arriveranno dritto al nostro “interlocutore”.

Sicuramente, dando uno sguardo alle tendenze odierne, alla trasformazione che i look e la moda hanno subito negli ultimi decenni, è quantomeno interessante evidenziare che la decodifica appare sempre più complessa.

Oggi, infatti, la lettura appare più difficile perché mescolata a consuetudini e regole in molti casi rovesciate, rispetto ad anni precedenti.

Esempi banalissimi:

Sneakers abbinate ad abiti sartoriali, abiti taglio uomo sulla donna, fantasie e colori prettamente femminili indossati da uomini.

Provocazioni, confusione nell’identità sessuale, tradizionalismi, quanti messaggi diversi?

E siamo solo sull’analisi dell’abbigliamento, pensate al tatuaggio, ad esempio.

Pensiamo al ruolo della Pop Art in tutto questo.

“Comunicazione di massa e produzione di immagini ad essa correlata”. Wow. Da parlarne pagine e pagine.

Sappiamo anche, che la Pop Art, per via del periodo in cui è nata, da un punto di vista sociale, culturale e artistico porta con sé, una sete di sbandierare e immortalare messaggi legati al consumo e a tutto ciò che era “basso” inteso come di massa e alla portata di tutti.

Moschino, nella moda si diverte molto sulla scia di queste suggestioni.

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Sostanzialmente per quanto possiamo sforzarci non possiamo esimerci dal mostrare ogni giorno una parte di noi alla società e di conseguenza esporci ad un giudizio.

Non troppo lontani dal concetto: “Uno, nessuno, centomila” di Pirandello.

Uno: perchè una è la personalità che l’uomo pensa di avere; Centomila: perchè l’uomo nasconde dietro la maschera tante personalità quante sono le persone che lo giudicano; Nessuno: perché, in realtà, l’uomo non ne possiede nessuna.

Quanta verità in queste righe.

Pertanto non ci rimane che divertirci con tutti quegli strumenti che abbiamo a disposizione  mettere in scena il nostro “Giuoco delle parti” .  😉

Giulia Castellani

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