Voglio provarci. Sarà dura, ma ci proverò, nonostante tutto, anche se sembrerò una femminuccia, anche se mi prenderanno in giro a vita. Era il tuo consiglio, ricordi? Sfogati, mi dicevi, butta fuori tutto quello che tieni dentro. So che non dovrei ascoltare i tuoi consigli, ma mi è passato per la testa come un lampo a ciel sereno: forse a volte anche le ragazze possono aver ragione, forse alla fin fine non siamo così diversi. Vedi, che bravo? Dovresti assaggiare tutte queste mie perle di saggezza, invece che lasciare un ragazzo affascinante e dolce come me. Ed eccomi qui a scrivere, cosa che ho sempre odiato di fare, soprattutto nei temi a scuola, quando la professoressa di italiano mi guarda male e inizia a blaterare sui miei errori di ortografia. Oppure divago troppo, vado fuori tema. Insomma, ho sempre avuto l’impressione che quello che facevo io non andasse mai bene. Mica come te, che adori leggere e scrivere. Ti chiamavo sempre secchiona perché adoravo vederti imbronciata e prendermi a pugni con quelle manine che non farebbero male nemmeno ad una piuma. Adesso ho in mano questo coso verde accesso, con la copertina in pelle, ancora lindo, pulito, perfetto, e chissà, é stato toccato da te e magari mi invierai un po’ di ispirazione. Mi dici cosa ti ho fatto di male? Perché mi hai lasciato così, su due piedi? Credimi, non l’ho capito ancora. Lo so, lo so, siamo molto diversi, ma sai che ci bilanciavamo, e anche molto bene. Tu non capirai il punto di vista di un maschio come me, dai capelli perennemente arruffati, gli occhi verde mare e l’altezza da spilungone. Ma non voglio ricominciare a divagare. Non voglio farla lunga, e nemmeno rovinarti la giornata, voglio soltanto dirti che anche noi abbiamo dei sentimenti. Sì, lo so, li teniamo rinchiusi nel più profondo del nostro cuore, siamo orgogliosi, e tanto. E quella volta ti ho mentito. Eravamo al mare, a giocare come possono fare solo dei ragazzi di quindici anni, ancora bambini nel cuore, e ci rincorrevamo, ignari dei commenti acidi dei nostri genitori. Erano delle così belle giornate, così piene di sole, di caldo. Adoravamo quel teporino che si diffondeva come una melodia lungo tutta la giornata. Mi avevi chiesto chi era la tipa con cui parlavo, quella ragazza morettina, piccolina e sorridente. E io ti avevo detto che era un’amica di infanzia. Che cavolate dicevo. Sai, era un’amica di scuola che mi aveva appena detto che le piacevo. E non sapevo veramente come fare, così, colto alla sprovvista, mi misi a tergiversare, come uno che continua a non saper voltare pagina del libro, fino a che le dissi tutto. Lo sai, che in fondo sono un timidone. Tu sei una delle poche in questo pianeta che mi conosce veramente. Ho la ragazza, così risuonò quella frase, penso, perché veramente non sapevo più niente. Ma figurarsi. Non sapevamo affrontarne una, di ragazza, a quindici anni. Il fatto è che sì, facciamo un po’ i ciechi, ma ci vediamo. Vi vediamo cambiare, in tutto e per tutto, dentro e fuori, davanti e dietro, e noi nonostante tutto siamo ancora dei pivelli. Come possiamo affrontare tutto quello che ci circonda? Insomma, non è facile per noi che non possiamo nemmeno scrivere in un diario, non possiamo confidarci a cuore aperto con i genitori, con i migliori amici. I genitori. Non sono mai riuscito a prendere in mano la situazione, quando stavano per separarsi, e parlargli, raccontando tutte le cose che borbottavo da piccolo, quando loro mi guardavano sorridenti anche se non capivano niente dei miei discorsi. Avrei voluto dirgli quanto gli volevo bene, quanto avevo bisogno di loro, ma non l’ho mai fatto, e me ne pento ancora. Di quante cose bisogna continuare a pentirsi nella vita, ed andare avanti, nonostante tutto, continuando a chiudere le porte del nostro passato, quando vorremmo solo buttarci sul letto, sotto le calde coperte, e non pensare a niente. Ma è impossibile non pensare. E tu continuavi a dirmi di buttare fuori. E come?, ti domandavo io. Io non sono come te, io non posso farlo, però ora non ho più niente da perdere, no? Mi sarebbe piaciuto tante volte essere te. E tu continuavi imperterrita a dirmi che eri piena di difetti, e sì, forse lo sapevo anch’io, ma eri il massimo anche così. Riuscivo solo ad ascoltare musica, canticchiare rap, in qualunque posto mi capitasse a tiro. Era il nostro interesse in comune, la musica, l’unico, perché tu eri l’antisportiva per eccellenza, mentre io ero senza pace. Sei ancora così? Bisogna ancor mettersi in ginocchio per portarti a fare una corsetta? Io l’ho sempre pensato, nel profondo del mio cuore. Voi siete più intelligenti, più brillanti, in una parola sola. E non sai quanto mi costa confessare questo, anche se solo ad un diario, tremo al solo pensiero che lo possano sapere i miei amici. Ma tu mi hai dato anche una chiave. Perché il mondo è così pieno di chiavi? Chiavi, sempre e comunque. Servono le chiavi anche per aprire i cuori ormai. E niente, lo sapevo che dopo la partita di calcio oggi sarei passato di fronte a casa tua, e pensavo che sarebbe stato carino, invece di “EX” (parola odiosa) farti un saluto, per dirti che hai saputo farmi ridere, odiare, amare, piangere, soffrire, gioire, riflettere come nessun altro. Non ti dimenticherò.
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