Niente albero
di Davide Pezzi
Non aveva fatto l’albero quell’anno ma ora se ne stava pentendo.
Certo, la casa era stata addobbata: le luci, i rami di vischio e di agrifoglio, mille piccoli ninnoli di ceramica, di legno, di plastica, acquistati qua e là nel corso degli anni, occhieggiavano da ogni mensola della casa, ricordando che quel momento stava arrivando. Che lo si volesse o no, il Natale si sarebbe infilato nelle fessure tra le finestre e avrebbe permeato di sé ogni angolo della casa, e ogni angolo del cuore. Ripensò, come si fa sempre e come facciamo ahimè tutti – anche se a volte ci fa male – ai Natali della sua infanzia, all’attesa del miracolo che lo prendeva appena sua madre portava su dalla cantina lo scatolone con le palline, i fili argentati e le luci per decorare l’albero e la casa. E in quei giorni, in quelle settimane, anche il freddo diventava dolce, anzi: diventava uno dei protagonisti del Natale, un elemento essenziale. Un freddo che paradossalmente scaldava i cuori. E lo vedeva per le strade, dove tutti sembravano meglio disposti verso il prossimo, i saluti più calorosi e sinceri, e le vetrine… Oh! Le vetrine illuminate e addobbate spandevano una luca calda, una debole anticipazione di quella piccola luce che sarebbe nata la notte di Natale, che nasceva ogni Natale e che sarebbe nata per sempre. Per tutti gli uomini, anche per quelli a cui sembrava non importare.
Guardò fuori dalla finestra. Oltre il fiume le vecchie case in pietra del paese splendevano di luci. Dietro ogni finestra si indovinava un albero addobbato, si indovinava una famiglia raccolta intorno al caminetto, si indovinavano sogni, speranze e promesse che sarebbero state rinnovate ancora una volta. Del resto, chissà? Magari questa sarà la volta buona che riuscirò a mantenere i buoni propositi…
Non c’era neve, purtroppo. Caspita, quella sì che avrebbe aggiunto vera magia al paesaggio. Ma c’era tuttavia un sottile strato di gelo sull’erba dei giardini e sulle tegole dei tetti che, con un vago biancore, poteva passare per un surrogato di neve. Anche le pozzanghere erano ghiacciate e riflettevano le luci delle case e delle luminarie che addobbavano quel piccolo paesino.
Un brivido lo percorse lungo la schiena, si avvicinò al caminetto la cui fiamma cominciava a languire e aggiunse un paio di ciocchi di legno. La fiamma si ravvivò subito. Non aveva fatto l’albero, mannaggia! Chissà perché poi? Aveva a che fare probabilmente con il litigio che aveva avuto col suo compagno il giorno prima. Che peccato però, litigare proprio a Natale… Del resto avrebbe dovuto capire che certi lavori se ne fregano del Natale, di Pasqua o delle altre feste, anzi: sono maggiormente richiesti. E fare il parrucchiere significava proprio quello, essere impegnati quando tutti invece sono in giro a fare le ultime compere, a riempirsi le mani di pacchetti infiocchettati, o a giocare coi figli nel tepore delle case o a cucinare per tutti i parenti che arriveranno il giorno dopo.
Poi, dopo – sempre dopo purtroppo – se ne era pentito, ma le parole grosse e dure pesano e ci mettono sempre del tempo a disgregarsi nell’acqua del tempo che passa. Si diede dello stupido… Ogni anno, Cristo santo, ogni anno le stesse discussioni per lo stesso motivo! Aggiunse anche quel proposito tra le cose da migliorare: non arrabbiarsi più se la vigilia di Natale lui doveva lavorare. Ok sì, stavolta assolutamente avrebbe dato corso al proposito, a quella solenne promessa che stava facendo al se stesso riflesso nella finestra, a quell’immagine che sembrava attraversata dalle luci colorate che splendevano a intermittenza nelle strade. Tanto poi lo sapeva che l’anno prossimo avrebbe come al solito infranto la promessa, accidenti a lui! Però chissà? Magari la magia di quel periodo poteva per una volta fare il piccolo miracolo di migliorare il suo carattere.
Così l’aveva visto uscire dalla porta di malumore, giusto un breve bacio e un arrivederci a più tardi, salire sull’auto e infilarsi nella nebbiolina del mattino lasciandolo solo coi suoi pensieri e i suoi rimpianti. Ma stava arrivando Natale, non doveva esserci posto per i rimpianti. Però il posto per l’albero c’era, tra il grosso camino in pietra e la porta finestra che dava sul giardino, ma ora era tardi, e decise che l’avrebbe fatto con lui la mattina dopo, in pigiama, con una tazza di tè fumante sul tavolino e il gatto che ancora dormiva sul divano, e avrebbero dimenticato le parole del giorno prima. Come si dimenticano sempre, grazie a Dio, o la vita diventerebbe insopportabile.
Ascoltò il suo cuore, prese il telefono e gli mandò un messaggio pieno di cuori di ogni forma e colore – quando era al lavoro era meglio non disturbarlo con telefonate – e aggiunse immagini di bicchieri da brindisi, alberi di Natale e coriandoli. Peggio di un’adolescente pensò. Una ragazzina di 12 anni, ecco quello che sei, altro che un cinquantenne barbuto con un pigiama di flanella che certo non ti dà un’aria molto sexy, pensò sorridendo. Fuori dalla finestra la notte invernale era scesa come al solito troppo presto, ma l’aria fredda era così tersa e pulita che le stelle in cielo sembravano un addobbo natalizio speciale, insuperabile per quante lampadine avresti potuto accendere. Uscì un attimo sulla porta e restò a contemplare quello spettacolo. Quando viveva in città se la sognava una meraviglia così. Trasferirsi in quel piccolo paesino era stata una decisione che non tutti i suoi amici avevano capito. 3.000 abitanti, due pub, due chiese, un fiume e qualche negozietto… Ma siamo matti? Quando a Londra puoi avere tutto a qualunque ora vai a nasconderti in un buco di campagna? Ma lui non si stava nascondendo, anzi: semmai lì stava cominciando a ritrovarsi, e soprattutto a essere ritrovato da tutte quelle emozioni, quelle sensazioni, quelle piccole magie che lo avevano abbandonato. E quella antica casa in pietra, proprio davanti al fiume, era diventato il castello che nei suoi giochi da bambino immaginava di conquistare, per salvare la principessa rapita da un re cattivo. Solo che la principessa nei suoi sogni era un principe… ma guai a confidarlo agli amici o ai compagni di scuola! I tempi erano decisamente diversi. Dopotutto, pensò, non è poi tutto peggiorato col passare degli anni. Il giorno dopo finalmente avrebbe anche rivisto sua madre, dopo tanto troppo tempo in cui solo qualche telefonata era stato il loro legame.
Ascoltò il suo cuore. Gli sussurrò le canzoncine che lei gli cantava quando aveva paura dei tuoni, gli ricordò le parole dolci quando era triste e scoraggiato, miele che gli scendeva nel cuore sciogliendo angosce e paure. Una lacrima furtivamente cercò di farsi strada, ma l’asciugò con la manica del pigiama. Quella non era la notte dei pianti o dei rimpianti. Era la notte dell’attesa, della magia, dei sorrisi, delle canzoni, della festa, delle candele accese e perché no? della preghiera. Al diavolo se fra qualche settimana sarebbe tutto tornato come prima! Domani il vero autentico puro spirito del Natale avrebbe mosso le sue labbra e i suoi gesti, e tutti avrebbero notato che uomo migliore era diventato.
Decise di non fare troppo tardi. Non voleva rischiare di sorprendere Babbo Natale intento a scrutare dalla finestra se in quella casa c’erano dei bimbi buoni. Stasera forse no, ma domani ci sarebbe stato. Avrebbe indossato il suo cuore da bambino e avrebbe voluto bene a tutti. Ma questa era la notte in cui bisognava lasciare spazio alla magia per cui spense il camino – e se Babbo Natale fosse sceso davvero? – e salì le scale in legno. Il gatto lo seguì strofinandosi sulle sue caviglie, finalmente il suo umano si era deciso ad andare a dormire! La camera era in penombra, solo la luce giallastra di una lampada da tavolo sullo scrittoio e le luci del paese illuminato oltre il fiume. Guardò dalla finestra e una dolcezza indescrivibile lo inondò… Ma quanto era diventato sentimentale invecchiando? Non sapeva se ridere o preoccuparsi in effetti, ma in realtà si compiaceva della sua sensibilità, e ora finalmente non se ne doveva più vergognare, non doveva più colorare di una errata idea di mascolinità quella che era la sua natura.
Il letto era soffice, le lenzuola un po’ fredde ma ci avrebbe pensato il gatto a contribuire a scaldarlo. Fuori le stelle avevano iniziato una lenta danza al suono del miracolo che stava per avvenire. Tutto adesso era silenzioso, non il silenzio della paura o dell’assenza ma il silenzio dell’attesa e della presenza invisibile.
Chiuse gli occhi.
Ascoltò il suo cuore, ma solo per pochi minuti ancora.
Poi la musica nel suo petto si spense.
George Michael è morto la mattina di Natale del 2016, all’età di 53 anni. Il compagno di Michael, Fawaz, lo ha trovato morto nella sua casa nella sua casa di Goring-on-Thames, un villaggio nel sud dell’Oxfordshire. Un’autopsia ha poi rivelato che la pop star era morta per cause naturali legate a una malattia cardiaca ed epatica.
Davide Pezzi