CONSIDERAZIONI SEMISERIE SULLA MIA DEMENZA SENILE
Una stimata famiglia di negazionisti
Provengo da una stimata famiglia che non ha mai accettato l’invecchiamento.
Mia madre a novant’anni si definiva “giovincella matura”.
Mio padre, che aveva avuto una gioventù da calciatore con i sogni spezzati dalla guerra, ci mostrava con orgoglio una sua fotografia appesa in casa della nonna in pantaloncini e maglietta con il piede appoggiato sul pallone. Ogni volta, ci faceva notare quanto avesse le gambe belle (da calciatore). Anche quando, poverino, ormai malato, scheletrico, era prigioniero in un letto di ospedale, sosteneva che le infermiere apprezzassero le sue gambe. “Sono uno sportivo, io!” ribadiva, alludendo al fatto che fosse un fanatico appassionato tifoso di calcio.
Io, negata per la ginnastica di scuola, invece, cadevo dall’asse di equilibrio e somigliavo parecchio a un elefante negli esercizi con i cerchi (una ridicola moda dei tempi). Ma non solo! Durante le orribili partite di pallavolo con le compagne di classe, quando la palla arrivava dalle mie parti, scappavo in direzione opposta per paura di esserne colpita. Nessuno mi voleva in squadra. Insomma, sono stata la massima disillusione di mio padre che si aspettava prodezze atletiche dai figli.
Forse, se avesse atteso un po’ a morire, si sarebbe ricreduto perché io, seppur poco dotata e totalmente indifferente agli sport, ho continuato insistentemente negli anni a frequentare palestre e piscine in qualità di signora volonterosa per mantenermi in buona salute. Nonostante il mio disinteresse per le attività fisiche, sono sempre stata consapevole che senza il corpo l’anima non resterà di sicuro su questo Pianeta. Eppure, in fondo, noi siamo i nostri genitori anche quando li abbiamo avversati e contestati per conseguire l’indipendenza e l’unicità della nostra persona.
Così, se i miei genitori poco comprendevano il fatale deterioramento della vecchiaia, anzi lo negavano ciecamente, io sono un po’ come loro.
Però, visto che le generazioni progrediscono, io sono passata alla fase due: combatto duramente a spada tratta sentendomi erede e parte attiva della “stimata famiglia” di negazionisti!
Da alcuni anni, infatti, avendo riscontrato dei problemi di memoria, frequento l’ambulatorio del reparto di neurologia dell’Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure.
In realtà, mi ero accorta di avere poca memoria esattamente in quinta elementare. La mia amica Patrizia mi confidava di aver letto una sola volta la lezione di storia. Eppure, nell’interrogazione era andata benissimo. Io non potevo fare come lei perché avrei preso un brutto voto. Per tutto il mio corso di studi, ho dovuto sempre impegnarmi seriamente e, se ho riscosso successo e gratificazioni, non è stato certo per la memoria! Ho amato molto la scuola da alunna e pure da insegnante. È stata la mia casa felice e, nei momenti più tragici della mia vita, sapevo che tra quelle mura avrei trovato tregua al dolore.
Comunque, anche nella quotidianità non brillo per i ricordi. Qualche anno fa, mia figlia maggiore ha immaginato una scenetta dove fingeva di venire a trovare i genitori dopo qualche anno. Allora, io non avrei riconosciuto le figlie e avrei pure chiesto a mio marito chi fossero le due persone che suonavano alla porta!
Ultimamente, però, mi pare che la situazione sia peggiorata. Mi capita spesso di non ricordare il nome di un oggetto comune o di una persona che incontro sempre. Mi mancano le parole, insomma.
Così mi sono rivolta a qualcuno che mi potesse aiutare.
La settimana scorsa ho rivisto lo psicologo che a ogni incontro, circa due all’anno, controlla come vada la mia mente. Mi ha fatto un po’ di domande. Siamo partiti dal giorno, mese, anno, stagione in cui ci troviamo, poi tre parole da ricordare (pane gatto casa) dopo aver fatto un altro esercizio, i pentagoni che si intersecano da copiare, i calcoli in cui si toglie parecchie volte sette partendo da novanta, frasi da scrivere e così via. Infine, ha cercato di cogliermi in fallo chiedendomi del mio libro su Catullo. La volta precedente, infatti, gli avevo detto che stavo scrivendo un romanzo su Tiberio ambientato a Capri, dove effettivamente l’imperatore si era ritirato per parecchi anni. Non dimenticherò facilmente Tiberio che mi è costato tanto studio sugli usi del tempo e persino sulle piante esistenti a Capri in quel periodo!
Dunque, ho risposto bene alle varie domande ma ho valutato che quelle richieste fossero troppo semplici per me.
Mi guardo nello specchio: perché non mi sono accontentata? In fondo, avrei potuto essere soddisfatta per la mia età.
Mi chiedo cosa esattamente io stia cercando. È la paura della morte, del disfacimento, che non mi dà pace? Voglio dimostrare, come i miei genitori, che non sono invecchiata ma che sono sempre giovane?
“Quanti sono alla sua età che hanno scritto un libro?- aveva concluso lo psicologo durante la visita per ribadire che le mie prestazioni fossero buone.
Però, io non ho scritto un libro improvvisamente a questa età, io ho creato negli anni decine e decine di racconti, centinaia di articoli di giornale, ho sempre studiato e insegnato. Anche oggi, ogni giorno, cerco di imparare e di migliorare per fare meglio, ascolto lezioni di scrittura creativa, leggo i lavori degli altri. Tutto questo è la mia vita, oltre, naturalmente, alla ginnastica e a tutto quanto necessario per la famiglia o per i miei impegni civili e sociali.
La mente è importante per me. Come diceva qualcuno, anch’io voglio “andare al massimo” cioé pensare, scrivere, comunicare, fino all’ultimo giorno della mia esistenza.
Voglio sentirmi viva perché il mio corpo funziona e il mio cervello lavora.
Non mi importa di “sopravvivere”, voglio fare quello che amo e parlare di me.
Voglio sorridere ancora e ancora al futuro perché sto bene e sono felice!
IL FATIDICO GIORNO DEI TEST
Dunque, non essendomi accontentata del parere che mi era stato dato, avevo ribadito al medico neurologo che quelle domande erano troppo facili.
Quindi, erano stati programmati per me dei test più approfonditi e, infine, era arrivato il fatidico venerdì nel quale avrei dovuto presentarmi presso l’Ospedale di Santa Corona a Pietra Ligure.
Ovviamente, ero arrivata in largo anticipo perché questo comportamento è nella mia natura: se mi presentassi all’ultimo momento, sarei divorata dall’ansia.
Purtroppo o per fortuna, io sono molto ansiosa ed emotiva (non sono un’indifferente come tanti che conosco).
L’unica eccezione alla mia agitazione erano stati un tempo gli esami scolastici. Forse, avvertivo la paura prima di sedermi davanti agli esaminatori ma poi, durante qualsiasi interrogazione o lavoro scritto, ero stata sempre presente a me stessa e avevo dato sempre il massimo. Anche quando, molto raramente, ero poco preparata ma dovevo fare assolutamente l’esame per non perdere il presalario universitario, me l’ero cavata ogni volta rimanendo fredda e consapevole.
Seduta nello studio dello psicologo, anch’esso fatidico come il venerdì, dunque, ragionavo su di me. Sarà così anche questa volta, pensavo, il cuore e il cervello faranno il loro dovere. -Partiremo da esercizi più facili e via via più difficili. – mi aveva avvertita il mio carnefice al quale, malauguratamente, ero andata ad affidarmi da sola! Ecco qualche esempio degli esercizi: parole che cominciano per f, per p, per l, oppure supporto con mattoncini da toccare nello stesso ordine, o ancora disegnare un cubo copiandolo, un parallelepipedo, due pentagoni incrociati. Dopo avevo dovuto copiare come potevo una figura complessa con quadrati, triangoli, linee, più una faccina. Completato un altro esercizio, mi era stato chiesto di rifarla senza vederla. Infine, lo psicologo mi aveva raccontato una storia nella quale si diceva di qualcosa successo il 6 dicembre forse a 20 km da Torino, fiume straripato, acqua e fango, pure una persona morta. L’errore mio, dato che c’erano dei numeri, era stato di concentrarmi su quelli e non sulla storia. Così non l’avevo saputa ripetere decorosamente. Non credo di aver sbagliato nulla di quello su cui si dovesse ragionare ma l’elenco di parole da ripetere era stato tremendo: infine, mi sembrava di avere il cervello completamente vuoto e di non ricordarne più neppure una, nonostante scrivendo sia abituata a usare molti vocaboli diversi.
In passato, avevo creduto di avere una memoria uditiva ma quel giorno non mi sembrava fosse così! Visiva, invece, ero sicura di averla sempre avuta debole dato che non riconoscevo mai le persone che invece si ricordavano perfettamente di me. Qualche volta, qualcuno (per me mai visto in vita mia) mi chiamava addirittura per nome: “Ciao Renata”, mi apostrofava. Mi mettevo un sorrisino sulla bocca per non sembrare una demente all’ultimo stadio e speravo che quella persona andasse a farsi friggere: “Ma non ha niente altro da fare se non pensare a me???” mi dicevo. Spesso quella persona insisteva facendo riferimento a fatti dei quali io non sapevo nulla ma, evidentemente, avevamo vissuto insieme. Cercavo di rispondere stringatamente qualche frase fatta sperando che fosse sufficiente e che lo scocciatore/trice andasse a ricordare altrove.
Peggio era quando mio marito mi diceva: – Ti ricordi? – Gli avevo spiegato chiaramente che non doveva MAI più rivolgersi a me in quel modo. Ma anche se non pronunciava la frase proibita, magari parlava di qualcosa che avevamo discusso o deciso insieme un paio di giorni prima e non cambiava molto. Io cercavo di far finta di aver capito nella speranza che aggiungesse qualche altro particolare che mi
mettesse sulla buona strada oppure, in extremis, per non ripetere il solito: – Non ho capito! -, dicevo di sì. Il mio assenso comportava che poi lui avrebbe fatto riferimento a quello e io successivamente avrei negato fino alla morte di aver assentito perché non avevo mai saputo a cosa. Per fortuna, mio marito è pacifista e non se la prende più di tanto di fronte ai miei stravaganti cambiamenti di opinioni. Avevo sempre odiato dover, come si diceva un tempo, “mandare a mente”! Quando mi facevano studiare le poesie a memoria, cercavo di non studiarle ma, dato che ci tenevo molto ad avere dei bei voti, dovevo trovare un sistema per imbrogliare la professoressa. C’era stato un periodo nelle medie che l’insegnante ci divideva in gruppi e ognuno era interrogato da una compagna del gruppo. Io non sapevo la poesia in questione ma le compagne mi assegnavano un sette o sette e mezzo (dietro mio suggerimento, senza esagerare). A quel tempo, l’onestà non era uno dei miei requisiti e, comunque, le compagne non erano da me minacciate né ricattate per tacere sulla mia ignoranza. Non ero una leader, ruolo che non fa per me, ma semplicemente loro mi volevano bene anche perché in caso di bisogno (verifiche di matematica, versioni di latino, temi in classe ecc.) sapevano che avrei fatto di tutto per loro.
Tornando alla poesia, credo che in Italia non la si ami per l’ uso di renderla odiosa con lo studio a pappagallo. Come insegnante, io non l’ho mai fatto, non ho assegnato mai poesie da imparare a memoria perché amo tantissimo la poesia e ho cercato di trasmettere ai giovani soprattutto delle forti emozioni. La memoria si può esercitare in diversi altri modi senza devastare l’enorme patrimonio artistico letterario di cui possiamo solo essere orgogliosi.
In conclusione, comunque, i test dello psicologo erano stati secondo me un disastro.
Avevo provato un forte senso di umiliazione e frustrazione che era durato parecchi giorni.
Poi, per fortuna, non avendo memoria, me ne sono dimenticata e ho ricominciato a vivere come prima.
Renata Rusca Zargar
Chi è Renata Rusca Zargar
Savonese, impegnata in ambito sociale, studiosa di cultura islamica e indiana, insegnante in quiescenza di Letteratura e Storia nelle Scuole Superiori, abilitata in Filosofia, ha pubblicato diversi saggi e romanzi anche con il marito Zahoor Ahmad Zargar.
Si definisce “donna che scrive storie di donne” perché la maggioranza dei suoi racconti, ambientati sia in occidente che in oriente, mette in evidenza la violenza contro le protagoniste e la mancanza di rispetto della pari dignità di tutti gli esseri umani.
Cura il blog: https://www.senzafine.info/
UN Libro::
CHE TE NE FAI DI UN’ALTRA FEMMINA?
Per capire e sconfiggere la violenza sulle donne ma anche la quotidiana sopraffazione e gli stereotipi che tormentano le donne.
La donna è soggetta a qualsiasi capriccio del maschio e spesso è la donna stessa a perpetuare questa mentalità.
Perché si possa cambiare, deve cambiare prima di tutto la donna.
Deve educare maschi e femmine allo stesso modo, non deve più sentirsi padrona del mondo solo se ha partorito un essere con il pene.
Ognuno ha le sue particolarità.
È bello nascere maschio ed è meraviglioso nascere femmina: essere accogliente e poter dare la vita.
Come deve essere ugualmente magnifica qualsiasi identità sessuale, quando si possa liberamente vivere la propria natura.
Questi racconti trattano di donne che hanno amato molto, in Occidente o in Oriente, ma hanno incontrato il dolore della rinuncia o della crudeltà del maschio e della società.
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