Mia piccola Thérèse
di Walter Serra
Marsiglia, 14 febbraio 1981
Ti sarai chiesta, mia piccola Thérèse, che fine abbia fatto, del perché di punto in bianco sono sparito dalla tua vita, nonostante tutte le parole d’amore, le notti ardenti e le promesse per il futuro, dal piccolo appartamento sulla Senna dove eravamo così felici.
Né avrei voluto mandarti notizie cattive in questa giornata che tante volte abbiamo festeggiato fin da ragazzi. In questi mesi di silenzio più volte mi sono tormentato se era giusto lasciarti nel dubbio, nell’inganno, senza una parola a chiarimento. Dapprima ero così intenzionato, meglio il silenzio a due righe d’addio e di dolore. Perché di dolore comunque si tratta, dolore causato a te e ad altri, dolore che ho sopportato sulla mia pelle nel pensiero dei tuoi occhi bagnati di pianto.
Mia piccola Thérèse, ho deciso di dirti la verità, per l’amore profondo che ho sempre nutrito per te, per rispetto a tua madre, che m’ha accolto come un figlio. Oh, mi vergogno a dirlo così, con la stessa bocca con la quale ti dicevo Ti amo!, ma ho una bocca sola e da questa posso ancora parlarti.
Sono rinchiuso nel carcere di Marsiglia, condannato a morte per avere ucciso un uomo durante quello che è stata considerata un tentativo di rapina, un uomo che voleva invece uccidere me, ma non sono stato creduto. I miei avvocati più volte hanno richiesto di riaprire il processo, senza esito purtroppo. Non ci è restato che inoltrare istanza di grazia al Presidente Giscard d’Estaing, in virtù di altre persone che sono state graziate a loro volta, negli ultimi anni.
Ma se anche fosse, con che occhi leggerai questa lettera e quelle che forse ti invierò, se ricevessi risposta? Un omicida, l’uomo che amavi e che ancora ti ama disperatamente. Un carcerato, io che avevo fatto della libertà lo scopo della nostra vita. Ecco, mi presento a te perlomeno per chiederti perdono per questo lungo silenzio, da una città lontana e che credevo mi avrebbe restituito la dignità di uomo con un lavoro e che invece mi ha aperto le porte dell’inferno.
Il tribunale non mi ha creduto innocente, e io qui lo grido, lo grido a te in nome dell’amore che un tempo ci legava tanto forte da non farci sopportare a lungo la lontananza, un amore che io provo ancora profondamente e che spero non si sia spento dentro di te.
Ecco, ho detto tutto, attendo con ansia una tua risposta, quella che vuoi, quella che deve essere. Non mi faccio troppe illusioni, mi sono comportato male con te non avendoti subito avvisata. La vergogna, la paura e lo sconforto mi hanno fatto chiudere in me stesso. Oggi mi sento finalmente libero, libero qualsiasi cosa accada e voglio essere me stesso, fino alla fine.
Affido questa mia al cappellano della prigione, cercherà di recapitartela nel giorno di San Valentino.
Scrivimi, tuo Pascal.
Prigione di Baumettes
239 Chem. de Morgiou
13009 Marseille, Francia
Parigi, 14 febbraio 1981
Ho letto e riletto più volte la tua lettera, felice di avere finalmente notizie sulla tua sorte, ma sconvolta dai motivi del tuo silenzio. Ho compreso la tua ritrosia a informarmi sull’accaduto, ma avrei preferito essere al tuo fianco, unire la mia voce alla tua mentre urlavi la tua innocenza, mentre chiedevi giustizia.
Ti abbiamo cercato presso ogni ospedale e Prefettura, ma di Parigi, non mi avevi detto che il tuo lavoro di rappresentante di preziosi ti avrebbe portato così lontano da casa. Ora abito a casa di mia madre, non sono potuta rimanere da sola all’appartamento sulla Senna, non potevo permettermelo. Né ho potuto lavorare.
Mi hai lasciata con un figlio in arrivo, Pascal, e a momenti nemmeno avresti saputo di diventare padre a breve. Mesi lunghi, mesi pesanti, di angoscia e di domande senza risposta. Non ho mai dubitato di te, del tuo amore, della tua lealtà, ma scomparire senza alcuna voce è stato tremendo da accettare. Ama un’altra? Si è stancato di me? Oppure gli è accaduto qualcosa di brutto che gli impedisce il ritorno? Ecco, ogni giorno, ogni momento questi sono stati i miei pensieri, spiare un volto fra la folla, sobbalzare al suonare del campanello, rincorrere il postino per chiedere se aveva una lettera per me, invano. Fino a oggi.
Oggi tu finalmente mi dici, mi racconti, mi parli. Un po’ è come rinascere, sentire un calore buono che ti riscalda la pancia, un po’ è come ricevere un calcio allo stomaco, e non si tratta del movimento del bambino che cerca una posizione comoda per il momento della nascita.
Ma ho tralasciato la cosa più importante, quella a cui tieni più della tua vita, se la tua piccola Thérèse ti ama ancora oppure no. Immagino che starai divorando le righe, spazzando con gli occhi il foglio per arrivare al dunque, alla rivelazione che da troppi mesi ti attende. Ecco, un po’ ho voluto fare come te: rimandare, tergiversare, attendere. Ho voluto, in questi pochi attimi di attesa, farti pesare i sette mesi di silenzio, farti provare cosa si sente nell’anima, quel gelo che blocca il respiro, la vertigine che ti sbatte a terra.
Sì, Pascal, la tua piccola Thérèse ti ama ancora, non ti ha dimenticato e aspetta con ansia e con amore la nascita di nostro figlio, che un giorno conoscerai.
Io non so che esito avrà la tua vicenda, già col parroco abbiamo scritto a nostra volta l’istanza di grazia al Presidente, spiegando la mia condizione, il nostro amore, il bisogno di perdono e di amare la vita che ogni uomo e donna porta con sé fin dalla nascita.
Scrivimi, Pascal, tutti i giorni, e io conterò i minuti che mi separeranno dal nostro incontro, che dovrò comunque rimandare a qualche mese dopo la nascita
del bambino. Primavera verrà, Pascal, poi ci riuniremo fiduciosi che tutto verrà chiarito, Io e mia madre lo vogliamo sperare con tutto il cuore.
Anche se questa lettera ti giungerà qualche giorno dopo San Valentino, essa manterrà calde e vibranti le mie parole, la mia promessa d’amore che non è venuta a meno, conoscendo profondamente te, il mio uomo, il mio unico amore.
A presto.
La tua piccola Thérèse.
Opera di Annamaria Scocozza
“Attenta ti si vede il cuore!”