Dodici rintocchi
di Renata Rusca Zargar
Il mio corpo si muove sciolto e flessuoso trasportato dal ritmo veloce della musica. Chiudo gli occhi: voglio eliminare da me tutto ciò che non sia libertà pura. Così, posso abbandonarmi al sogno, mentre la musica entra nel mio sangue, goccia dopo goccia, e mi trascina in alto. Ecco, infine, due braccia che mi stringono, fino a sprofondare perduta nell’infinito…
Amo tanto ballare da sola sulla pista della discoteca: esprimere me stessa, giocare come se il corpo fosse un fiore che si apre, senza più limiti!
Infine, è ora per me di rientrare a casa, domani mattina devo alzarmi presto.
Esco e mi avvio alla mia auto. Ho abbandonato le tensioni, il dolore, il malessere, l’angoscia esistenziale, sulla pista. Ora sto bene.
Gli altri sono restati nel locale, la loro notte continua fino all’alba, quando andranno insieme a prendere il cappuccino con la focaccia calda in un bar che sarà già aperto.
Ma per me è abbastanza, sono stanca e vado a dormire.
Il tempo della vita non voglio solo vederlo passare, devo esserne protagonista: devo imprimere la mia orma su questa terra. Il divertimento è solo una piccola parte dell’esistenza, è ciò che aiuta a svincolare nuove energie. Poi, c’è tutto il resto.
Il parcheggio è zeppo di macchine e silenzioso. Anche l’amica con la quale sono venuta è rimasta a ballare. Qualche lampione alto sparge la sua luce sullo sfondo blu del cielo.
Entro in auto e accendo subito la radio. Si effonde a tutto volume il ritmo di una canzone famosa:
“Spiriti Potenti, Vi invochiamo Vegliate su Noi che stanotte balliamo Volti alla luna, Alta la fronte Danzano le streghe di Gabry Ponte Quando è notte il lupo grida all’ombra della luna La danza delle streghe non porta mai fortuna Fuochi e Spiriti ballate dentro al cerchio della luce Tramontate stelle… anime sorelle Dodici rintocchi squarciano la notte scura La danza delle streghe signore di paura Dalle tenebre sorgete lento il fuoco nero brucia Spettri nel castello fate il vostro ballo Volti alla luna, Alta la fronte Danzano le streghe di Gabry Ponte”
La sera dopo, Tonina è di nuovo là, in discoteca. La gente arriva in piccoli gruppi o anche in solitudine, specialmente gli uomini. All’inizio la musica è solo nella prima sala, ancora quasi tutta vuota. I clienti si attardano al bar, si guardano intorno, per ora sono ben poche le persone che ballano. Verso la mezzanotte, la musica si accende anche nella seconda sala, e molti iniziano a dimenarsi. Questo locale è “over trenta”, frequentato cioè da persone adulte e non dai soliti bamboccioni. Molti sono single che sperano di trovare compagnia, magari temporaneamente, altri fanno parte di una comitiva che consuma così il sabato e la domenica sera. Tra i tanti anonimi, spicca un tipo con i pantaloni blu che punta il dito in alto o basso, secondo la musica, un revival mal riuscito di Travolta.
Un altro, con la sua bella pancetta, salta qua e là, come pure uno spilungone coi baffi dall’aria poco intelligente. Si agitano, all’intorno, numerose donne dal corpo floscio e dagli abiti pretenziosi simili ad adolescenti di cattivo gusto. Persino la dj di mezza età, pure ella in sovrappeso, urla sopra la musica del disco: “Alzino le mani i single” e il popolo dei felici alza le mani.
Non sono giovani, dunque, ma si scatenano come ragazzini, è la loro palestra settimanale. Due biondissime con chiodo e stivaloni neri, borchie e bracciali dappertutto, si strusciano al palo guardandosi intorno con movimenti che vorrebbero essere provocanti: sono madre e figlia. Poi, un uomo porge il lato b a una donna che mima un atto sessuale e molti ripetono, senza freni inibitori. Forse hanno bevuto troppo o, forse, no, con le loro minigonne, calze a rete, stivali, nella musica battente cercano una gioia che li sfugge per tutta la settimana. Hanno lasciato a casa l’abbandono, il fallimento, la paura della vecchiaia e della morte, i loro corpi sfatti sembrano appagati.
E le anime?
Tonina non cerca nulla in quel misero consesso se non il ballo: ama la musica forte, il ritmo, deve trovare il punto d’unione del corpo con l’universo, dare e prendere forza, energia, benessere…
Per questo non guarda neppure verso quei compagni: non le piacciono, non vuole condividere la loro triste vita.
Dodici rintocchi squarciano la notte scura La danza delle streghe signore di paura Dalle tenebre sorgete lento il fuoco nero brucia Spettri nel castello fate il vostro ballo…
É passata la mezzanotte, ma non sono le streghe a ballare, le streghe sono, comunque, vincenti, hanno potere, qui c’è solo il popolo dei perdenti.
———————————————————————————————————————-
Correva l’anno 1594.
La bambina con i suoi zoccoletti procede nel buio della campagna. Un tondo di luna sorride nell’alto del cielo ma le ombre alte degli alberi, che sembrano allungarsi alla tenue luce, la spaventano. Ella torna a casa, dopo un lungo periodo a servizio, perché la madre malata l’ha mandata a chiamare. La sua dimora, un misero tugurio, si trova proprio vicino al porto, dove c’è anche il trogolo delle lavandaie. Lei, invece, era a servizio a Legino, un quartiere un po’ fuori della città, dove si trovano alcune ville padronali. La distanza non è molta ma, dovendo sempre lavorare, non riusciva mai a venire a trovare la mamma che offriva, invece, i suoi servizi alle famiglie nelle belle case a schiera del centro. Ecco, là sopra, il Priamar, Pia-ma, pietra del mare, o pietra del male, come credevano molti, la terribile fortezza eretta dai genovesi che comandavano in Savona, con le sue mura possenti e spaventose. Così, nella notte, metteva paura. Proprio sotto, c’erano il porto e le povere abitazioni…
Dodici rintocchi si allargavano nella notte dalla Cattedrale.
La madre era sdraiata su un giaciglio di paglia, tossiva, la sua fronte scottava. Come curarla? Le poche monete che aveva raggranellato non facevano neppure un mezzo scudo d’argento. Dopo, non sarebbe rimasto nulla per mangiare, visto che la madre non poteva lavorare e lei aveva lasciato il servizio.
-Maria, dovrai andare alla casa gialla sopra il porto, c’è la biancheria da prendere, deve essere lavata…- la mamma faticava a parlare, le mancava il respiro – altrimenti perderemo questo lavoro…
-Hai delle monete da parte, mamma?
-No, non ho più nulla, sono già tanti giorni che non lavoro, – intanto, tossiva scuotendosi tutta e diventando rossa- non pensare a me, vai alla casa gialla. –
La donna era ricaduta esanime sul cuscino.
Che fare? Maria aveva undici anni ma la vita le aveva già insegnato molto. A Legino, sentiva sempre la cuoca dei padroni che parlava di erbe per questo, per quello… Se non poteva pagare un medico, né comprare delle medicine, doveva trovare quelle erbe.
La mattina dopo, si era recata di buon mattino a prendere tutto ciò che c’era da lavare nell’elegante palazzo indicato dalla madre ma, prima di mettersi al lavoro, era andata a fare un giro nelle zone erbose che circondavano l’abitato e si era rifornita di quanto le serviva. A casa, aveva preparato un decotto per la madre e poi si era avviata ai lavatoi con le altre lavandaie della città. Cantavano e sbattevano i panni sul piano del trogolo, si facevano coraggio l’una con l’altra, con le mani rosse e gonfie dalla fatica e dal freddo. Molte erano ragazzine come lei.
Era così trascorso qualche giorno, la madre stava meglio, anche se era molto debole, e lei continuava a darsi da fare.
Nella casupola a fianco la loro, viveva una famiglia molto numerosa: madre, padre e dodici figli. Maria, qualche volta, parlava con loro, specialmente con uno dei figli che, forse, aveva più o meno la sua età. Egli era apprendista fabbro e, quando tornava sfinito la sera, si fermava qualche minuto con lei, prima di entrare in casa, mangiare e andare a dormire.
Così, le chiedeva come stesse la madre.
-Meglio, molto meglio.- sorrideva Maria che cominciava a vedere i primi risultati delle sue cure.
-Beata te, che avevi i soldi per andare dal medico. Io non guadagno quasi nulla, eppure fatico tutto il giorno, il padrone mi picchia, mi ha anche frustato diverse volte! Ma, forse, le donne a servizio guadagnano bene, dobbiamo mandare mia sorella che ormai ha l’età, così anche noi staremo meglio.- Giuseppe pensava a voce alta.
-No, no, io non avevo abbastanza denaro per il medico. Ho curato mia madre con le erbe, come avevo imparato a Legino. Poi, con i miei pochi risparmi, le ho dato di più da mangiare e le ho comprato persino un pezzo di carne. Non ho potuto fare altro, ma lei ora sta meglio.
-Con le erbe?
-Sì, con le erbe si può curare tutto, dicono.-
Un po’ di tempo era passato, Maria non era tornata a servizio a Legino ed era rimasta con la madre che, piano piano, si stava rimettendo, anche se non era in grado di fare il lavoro pesante di prima. Ora andava solo a prendere i panni e li riportava, poi, puliti. Maria, invece, lavava tutto il giorno, perché la madre aveva trovato anche un’altra famiglia ricca che le affidava la roba sporca, ma era contenta.
Un giorno, Giuseppe era venuto a cercarla al trogolo.
-Senti, Maria, mia madre sta male, molto male. Sono venute delle donne a curarla ma non è cambiato niente! Perché non ci pensi tu?
-Ma Giuseppe, io non so se potrei guarirla…
-Prova, almeno!-
Maria era andata. La madre di Giuseppe era sfinita dal lavoro e dai figli. Era tutta pelle e ossa, aveva ormai anche un’età in cui molte donne, nelle sue stesse condizioni, morivano per le tante gravidanze, la mancanza di cibo sostanzioso, cure e riposo.
Maria aveva capito tutto questo e, oltre alle erbe ricostituenti, aveva raccomandato a Giuseppe di far riposare la madre, di nutrirla meglio, di impedire che, come al solito, si privasse di tutto per lasciare i bocconi migliori al marito.
Giuseppe, i fratelli e le sorelle, si erano dati da fare e la donna, lentamente, si era ripresa.
Giuseppe, ormai, guardava Maria con ammirazione. Qualche volta, nel pochissimo tempo libero, avevano anche passeggiato insieme, verso la campagna, e si erano dati la mano. Tutte le sere, lei aspettava sulla porta di casa per vederlo arrivare e si salutavano, con un sorriso negli occhi, prima di entrare ognuno nella sua miserabile stamberga e cadere in un sonno di piombo.
Erano passati, così, diversi mesi. Maria aveva preso l’abitudine di andare, ogni tanto, per erbe, da sola: non c’era nessuno da guarire ma le erbe erano molto utili, quindi, aveva continuato a usarle.
Tra i cespugli si sentiva bene, poteva lasciar scorrere i pensieri, forse, sognare. Ormai era primavera, sua madre diceva che lei era nata in quella stagione, quindi, aveva circa dodici anni e il suo seno iniziava appena ad arrotondare.
Un giorno, si era trovata accanto il padre di Giuseppe, Stefano, detto Ste.
-Ciao, Maria. Sempre sola, eh?
-Sì.- Maria era in imbarazzo, mentre lui si faceva sempre più vicino.
-Perché non ci sediamo un po’ qui, all’ombra?-
Maria non era riuscita a dire di no, quell’uomo forse voleva parlarle, chissà, forse voleva dirle di Giuseppe… Il cuore le batteva forte. Forse, chissà, cercava una moglie per Giuseppe… Strano che non ne discutesse con sua madre, ma, probabilmente, voleva sapere se lei fosse d’accordo. Sì, certo, lei sarebbe stata d’accordo, le piaceva la dolcezza di Giuseppe, il modo con cui la guardava, i bei momenti trascorsi a passeggiare, a chiacchierare, a pensare al domani…
Si erano seduti all’ombra di un grande pino. L’uomo la guardava in modo strano, senza parlare, aveva il respiro ansante, era arrossato. Poi, all’improvviso, le aveva infilato una mano sotto la gonna. -Stai buona, non ti succederà nulla. E non ti servirà urlare, tanto qui nessuno ti sente.-
Maria aveva cercato di alzarsi per fuggire ma lui la teneva stretta. L’aveva sdraiata e le si era messo sopra. Freneticamente le accarezzava il piccolo seno da bimba, le cosce lunghe e magre. In pochi minuti, aveva approfittato di lei, poi si era risistemato e, nell’andarsene, le aveva bofonchiato: -Non credevo di essere il primo. Ti vedevo con mio figlio. Sei così bella! Ma non dirai nulla a nessuno, altrimenti ti accuserò di avermi provocato, dirò che è stata colpa tua, tua madre ti scaccerà e anche mio figlio non ti vorrà più vedere. Sai cosa succede alle donnacce che si danno da fare con gli uomini.-
Ridacchiando soddisfatto, se ne era andato.
Maria aveva pianto silenziosamente. Sapeva che queste cose accadevano spesso, ne aveva sentito parlare dalle altre donne al trogolo. Chi non aveva padre o fratelli o un marito, era una facile preda. E, spesso, anche le donne che avevano familiari maschi ricevevano lo stesso trattamento, specialmente perché erano povere. Sapeva ormai che i suoi sogni erano finiti, mai più avrebbe dato speranze a Giuseppe, si vergognava troppo. Non voleva più vederlo.
Così, non si era confidata con nessuno, aveva evitato qualsiasi incontro con Giuseppe e, quando lui era andato al trogolo per chiederle il motivo del suo comportamento scostante, gli aveva risposto in malo modo. Giuseppe non aveva insistito.
Maria non era neppure più andata in campagna a cercare le erbe, non si faceva trovare mai da sola, stava sempre con la madre o con altre donne. Ma Ste, approfittando di una momentanea assenza della madre, era persino entrato in casa e l’aveva buttata sul letto, con il pericolo di essere visti da tutti. Maria era terrorizzata, proprio come se fosse stata lei la colpevole. Poi, le aveva intimato di andare in campagna ogni volta che lui glielo avesse chiesto. –Mi piaci troppo, non voglio rinunciare a te, mia moglie non mi dà più nulla, ho bisogno del tuo corpo fresco.-
Maria era diventata triste, mangiava pochissimo, eppure doveva resistere, sua madre aveva bisogno di lei, che poteva fare? Così, piano piano, si era adattata: quando lui le faceva segno, andava per erbe e lui la prendeva dietro a un cespuglio. In fondo, faceva presto, bisognava sopportare, come subivano tante altre donne.
Dopo qualche mese di quella vita, era successo anche che, per la prima volta, le venissero le sue cose. Sapeva che da ora in poi avrebbe corso dei pericoli e l’aveva detto, a lui, di stare attento. Ma lui non aveva voglia di stare attento, non voleva pensare a qualcosa che non fosse il suo piacere. Intanto, il suo corpo diventava quello di una donna, con le curve arrotondate, le cosce e i fianchi torniti, il seno fecondo. Ste la cercava sempre più spesso, lasciava il lavoro di nascosto, la casa di notte o di mattina prima dell’alba, e lei lo seguiva impotente, sempre più atterrita dalle imprudenze di lui che aveva perso la testa. Là, nel bosco, egli le diceva persino che avrebbero potuto fuggire insieme, lasciare la città, andare a vivere lontano, liberi. Maria, con l’anima annientata, non rispondeva. Poi, tornava a casa, sporca, fuori e dentro, così le sembrava, e inventava scuse per la madre che le domandava perché andasse per erbe in orari tanto strani.
Pertanto, quando Maria aveva circa tredici anni, era rimasta incinta. –Arrangiati,- le aveva risposto lui- conosci le erbe, usale per eliminare questo ingombro.-
Maria aveva provato vari intrugli, mangiato e bevuto infuso di prezzemolo in gran quantità, ma l’ingombro non era andato via e la pancia, invece, cresceva.
A volte, guardava verso il Priamar come in un brutto presentimento: il sole batteva sulle pietre disuguali che formavano le solide pareti del palazzo.
Il suo corpo, nello spazio di pochi mesi, si era ingrossato. La sua mente, solo un anno prima, nonostante la vita di sacrificio, le faceva desiderare giochi e corse tra i sentieri che portavano fuori dalla città, magari insieme a un ragazzo come lei, con l’esistenza ancora davanti. Invece, ora, si tormentava al pensiero di cosa fare.
Lui, intanto, non la cercava più, e almeno questo era un fatto positivo. Ma la mamma si era accorta che lei aspettava un bambino e si era disperata tanto. Poi, alla fine, non riuscendo a farsi dire chi fosse il padre, anch’ella si era rassegnata. Sarebbero andate avanti lo stesso, pure con una nuova creatura.
Infine, il bambino era nato, un bel maschietto robusto. Maria e la madre se ne prendevano cura e rispondevano alle domande dei curiosi sostenendo che il padre era un soldato e che era dovuto partire improvvisamente per la guerra ma che presto sarebbe tornato.
Forse, non ci credeva nessuno, ma bastava per mettere a tacere gli interrogatori.
In quel tempo, lui era tornato alla carica. Nel bosco, dopo essersi soddisfatto, le aveva intimato:
-Devi dar via questo bambino, è troppo scomodo. Quando ti sposerai avrai altri figli, questo devi abbandonarlo.-
Maria era annichilita. Non avrebbe mai ripudiato il suo bambino che amava! Che cosa voleva lui?
-Non ti chiedo nulla, lo alleverò da sola, perché dovrei abbandonarlo?
-Siamo vicini di casa, non lo voglio vedere, non voglio che lo vedano i miei figli, potrebbe somigliare a me… Te ne devi liberare, anzi, avresti dovuto farlo prima, come ti avevo detto.-
Maria doveva trovare una soluzione, ma quale? Se fosse andata a servizio, avrebbe dovuto lasciare il bambino alla madre e aveva paura che lui gli facesse del male. Se rimaneva lì, lui avrebbe avuto il bambino sempre davanti agli occhi e avrebbe potuto lo stesso fargli del male.
Doveva andarsene da Savona, lasciare la sua città e trovare un altro luogo dove vivere. Chissà, forse a Genova, avrebbe potuto trovare lavoro…
Giuseppe, intanto, era rimasto stordito dal fatto che Maria avesse avuto addirittura un figlio.
Come era possibile? Maria gli era sembrata attratta da lui, spesso avevano chiacchierato di un futuro insieme, gli occhi di lei gli avevano sorriso tante volte! Non poteva essersi sbagliato tanto!
Inoltre, la vedeva sempre sola, non aveva ragazzi intorno… Perciò, aveva immaginato che qualcuno si fosse approfittato di lei, della sua inesperienza e giovinezza.
Avevano ricominciato di nuovo a parlare, anche se Maria si vergognava tanto e non riusciva ad alzare lo sguardo verso il suo viso. Infine, però, gli aveva confidato che voleva lasciare la città, rifarsi una vita altrove.
A volte, Maria doveva andare nel bosco con Ste e poi, più tardi, doveva incontrare Giuseppe: si sentiva macchiata, come se fosse stata tutta colpa sua. Se Giuseppe avesse saputo, non l’avrebbe mai più guardata in faccia, non l’avrebbe aiutata! Maria sperava di poter salvare suo figlio, per questo Giuseppe non doveva sapere nulla ed ella chiedeva a Dio di perdonare tante menzogne.
-Ho sentito, dal mio padrone, – le aveva confidato Giuseppe una sera -che a Genova i fabbri trovano facilmente lavoro, sono molto ricercati. Sto prendendo contatti e tra pochi giorni andremo via di qui, tutti noi insieme, io, te, il bambino e tua madre. Non ci troveranno mai.-
A Maria sembrava di volare. Tutto quell’orrore sarebbe finito, avrebbe ricominciato una nuova vita lontano da lì, con Giuseppe e il bambino! Col tempo, avrebbe dimenticato tutto!
Dio aveva ascoltato le sue suppliche perché Dio perdona tutti i peccatori, come diceva sempre il prete la domenica.
Due giorni dopo, Giuseppe le aveva detto di tenersi pronta che sarebbero andati via, la mattina seguente, ognuno per proprio conto, senza farsi notare. Lei avrebbe preso il bambino e, con la madre, sarebbe andata in campagna. Lui avrebbe finto di andare al lavoro. Fino a sera nessuno si sarebbe accorto di nulla e a quell’ora sarebbero stati ormai lontani.
Nella tarda sera, però, erano venuti i soldati ad arrestarla. Le avevano legato le mani e l’avevano trascinata via, verso la fortezza. Il bimbo era rimasto con la nonna.
Maria era stata gettata in un’angusta cella senza nulla per coprirsi.
Da una grata poteva scorgere la luna piena che spuntava quasi rossa sopra gli archi e le mura: una lama di luce si diffondeva in una fetta di mare blu immobile, quasi a trattenere il respiro. Intorno, solo buio. Si sentiva un cane che latrava nella notte.
Dodici rintocchi si erano sparsi, puliti, dalla Cattedrale. Che stava succedendo? Perché si trovava lì? Non lo sapeva!
La mattina dopo, la porta si era aperta e le guardie avevano fatto entrare qualcuno che le sembrava un monaco.
-Allora, che cosa ci dici?
-Su che cosa?
-Non fingere di non sapere!
-Ma non so perché sono stata imprigionata qui…-
Maria tremava di freddo e di paura. Aveva appena compiuto quattordici anni.
-Non scherzare, donna! La magia è un crimine!
-Io non so nulla di magia.
-Sei stata denunciata per aver usato erbe e per aver avuto un figlio dal diavolo, con cui ti sei unita.
-Erbe? Sì, mia madre è guarita con i decotti di erbe e anche la mia vicina, ma cosa c’è di male in questo?
-Il diavolo, nei suoi amplessi con te, ti ha dato quelle erbe. E ti è nato anche un figlio…-
Maria era ammutolita, cosa poteva dire?
-Dunque, è vero! Il figlio è del diavolo.
-No, io non conosco il diavolo!
-Allora di chi è tuo figlio?-
Maria non poteva parlare. In ogni caso sarebbe stata accusata e nessuno le avrebbe creduto. Chi l’aveva denunciata con tanta falsità e crudeltà?
Il monaco era uscito dalla cella e aveva dato ordine perché fosse trasferita a Genova, dove sarebbe stata interrogata. Così, in un carro coperto, Maria era arrivata a Genova, dove l’avevano tradotta in un’altra cella.
Infine, era comparsa davanti ai giudici.
-Devi dirci tutto, se vuoi salvarti l’anima.
-Ma io non ho fatto niente!
-Vedremo.-
Mentre uno dei giudici ricordava che le streghe si incontravano e si accoppiavano con il diavolo in campagna, che potevano volare, uccidere, rubare il sangue dei bambini innocenti, Maria veniva trascinata per terra tenendola per le braccia.
-Allora, sei pronta a confessare?
-Non ho fatto nulla!
-Il tuo vicino, persona attendibile, un brav’uomo, padre di molti figli, ti accusa di stregoneria. Tuo figlio, dice, è figlio del diavolo e il diavolo in persona ti ha dato delle pozioni che hai somministrato a sua moglie e ad altre persone. Ti ha vista andare spesso in campagna, anche di notte, dove, evidentemente, ti accoppiavi col diavolo. –
Un altro aggiungeva: -Papa Innocenzo VIII, nel 1484, ha promulgato la Bolla Summis desiderantes che recitava, tra l’altro: “È in effetti pervenuto di recente alle nostre orecchie che in certe regioni della Germania superiore e nelle diocesi di Magonza, Colonia, Treviri, Salisburgo e Brema parecchie persone di entrambi i sessi, dimentiche della loro stessa salvezza e deviando dalla fede cattolica, si sono date ai demoni incubi e succubi; per mezzo d’incantesimi, fatture, scongiuri e altre superstiziose infamie ed eccessi magici fanno deperire ed estinguersi la progenie delle donne, i piccoli degli animali, le messi della terra, i grappoli delle vigne, i frutti degli alberi.”-
-I Domenicani – spiegava ancora un altro giudice – ne “il Martello delle streghe” affermavano: “Esse scatenano grandinate, venti dannosi con fulmini, procurano sterilità negli uomini e negli animali, i bambini che non divorano li offrono ai diavoli o li uccidono in altro modo.” Molti eminenti studiosi hanno analizzato in vari importanti trattati se si tratti di potere del demonio sulle streghe, vittime forse
degli effetti allucinogeni degli unguenti utilizzati nelle pratiche magiche, o se esse siano dotate di effettivi poteri. Io credo che esse, unendosi al diavolo, ne acquisiscano dei poteri che usano per distruggere la società cristiana. Dobbiamo combatterle! Persino nel Levitico è scritto: “L’uomo o la donna che ha lo spirito pitonico o di divinazione sian messi a morte, sian lapidati”. Lo spirito pitonico, che si riconduce alla Pizia, una sacerdotessa-oracolo del tempio pagano di Apollo e che persiste nelle malefiche streghe, deve essere soppresso! –
Maria neppure al lavatoio aveva mai sentito parlare di queste cose, non capiva che cosa dicessero quegli uomini che, intanto, l’avevano infilata in una gabbia detta altalena e l’avevano buttata nell’acqua di un’enorme vasca. Ogni volta, che tornava all’aria, senza respiro, le chiedevano di confessare. Ma lei non aveva nulla da confessare. Poi, uno di loro aveva fatto portare un ferro rovente e con quello aveva premuto sulla povera mano di Maria, che era svenuta. L’avevano subito rianimata, affermando che era il diavolo che voleva salvarla, lo svenimento era una prova certa. Infine, le avevano tagliato un orecchio.
A quel punto, Maria aveva confessato tutto quanto volevano sapere.
Allora l’avevano ficcata in una di quelle prigioni ambulanti, gabbie in assi di legno e ferro battuto, e trasportata in giro per la città per far vedere alla gente come venissero punite le streghe, amiche del demonio, pericolose per la società cristiana.
I curiosi, nelle strade, nei mercati, si affacciavano dall’apertura e scrutavano una giovane fanciulla insanguinata, sofferente. Godevano perché il Maligno era stato sconfitto. Qualcuno rideva, poi si faceva il segno della croce: giustizia era completa. Infine, Maria era sta sgozzata, come tutti quelli che avevano confessato, prima di essere arsa.
Dodici rintocchi squarciano la notte scura…
In quel tempo, si era conclusa la breve vita di Maria.
Il procedimento, però, non ancora era terminato. Le guardie si erano recate, quindi, da sua madre a Savona. Avevano requisito i pochi risparmi che c’erano in casa per pagare le spese delle torture, del processo e della condanna. Avevano buttato in mare il bambino che non meritava neppure una sepoltura, in quanto figlio del demonio.
La folla savonese, saputo che la loro concittadina era stata complice del diavolo, si era accalcata urlante davanti al tugurio: -Fuori dalla città, non vogliamo la madre di una strega! Se non te ne vai, farai la stessa fine di tua figlia!- Avevano iniziato, intanto, a lanciare pietre contro le fragili mura.
La madre di Maria, terrificata, si era avviata piangendo verso la campagna, dove era morta poche ore dopo di freddo e di crepacuore.
La giustizia era stata, pertanto, veramente compiuta.
———————————————————————————————————————–
È la notte di Halloween. Non è una ricorrenza della tradizione cristiana e, in fondo, la maggior parte delle persone neppure si pone il problema. Si fa festa e, dopo Halloween, da sempre, si celebrano i Santi e poi i Morti, in una sequenza che, in ogni caso, avvicina all’aldilà: l’atavica paura della morte da esorcizzare. Sono ben pochi quelli che sono davvero convinti che Halloween sia la festa più importante dell’anno per i seguaci di Satana, o che il 31 ottobre sia l’inizio del nuovo anno, secondo il calendario delle streghe, che il paganesimo, l’occulto, la stregoneria, il satanismo, siano i veri protagonisti. Ma alcuni avvertono che un influsso occulto si dirami nella vita delle persone…
Il popolo dei felici, però, brama solo divertimento, senza pensieri, e si avvia alla solita discoteca, magari in costume, con trucchi vistosi che ricordano le streghe, la morte, il buio…
Tonina indossa uno di quei cappelli a larga tesa, con fibbia intorno, alti, a punta, e l’ha scelto rosso, anche se non è proprio il colore tradizionale (le piace di più). Su internet ha letto che il 31 ottobre le streghe sono protagoniste e che realizzare un costume da strega è molto semplice: basta un abito nero e un trucco vistoso, oltre al cappello nero e appuntito. Sul cappello, poi, a piacere, si possono inserire decorazioni di stelline adesive, nastri, oppure ragnetti, ragnatele, zucche…
Così, Tonina ha sparso sulla casacca nera che indossa e sul cappello, molte stelline e qualche ragnetto adesivi, comprati in cartolibreria. Ha accentuato il trucco rendendolo più vistoso e scuro, specialmente intorno agli occhi.
All’arrivo nel parcheggio, c’è il solito extracomunitario che questa sera non tenta di vendere le abituali rose ma si è attrezzato con cappelli, adesivi e zucche con il lumino dentro.
Tutti comprano qualcosa per animare ancora di più la serata. Tonina prende un adesivo che raffigura la streghina classica a cavallo della scopa (somiglia tanto alla Befana ma è più giovane) che si staglia sullo sfondo di una luna tonda e bianca nel blu del cielo. L’attacca sul vetro anteriore della sua auto, poi entra con la sua amica nel locale.
C’è già la musica e subito inizia a ballare.
Dodici rintocchi squarciano la notte scura La danza delle streghe signore di paura Dalle tenebre sorgete lento il fuoco nero brucia Spettri nel castello fate il vostro ballo Tonina ama la vita che c’è nella musica, che le pervade ogni parte del corpo, che allontana i pensieri e i problemi quotidiani. Sì, è una strega, è donna, ha potere, può vincere il dolore, il buio e persino la paura. Si sente forte, finalmente, non è schiava di nessuno, nessuno può usarla come un oggetto, nessuno può più manipolare i suoi pensieri.
È libera, finalmente, dopo secoli di oppressione.
Ormai sono le due di notte, è l’ora in cui Tonina lascia il ballo. Molti, invece, entrano proprio a quell’ora. Come sempre, la sua amica rimane lì, con gli altri della compagnia. La serata, o nottata, andrà fino alle 5 o alle 6 del mattino.
Tonina esce da sola nel parcheggio.
Questa notte il cielo è coperto, minaccia pioggia, non c’è il magnifico blu stellato ma un plumbeo grigio scuro. Persino il lampione vicino alla sua auto è spento, forse si è bruciata la lampadina o forse qualcuno le ha tirato un sasso e l’ha rotta. Che gente c’è in giro! Quasi dall’ombra escono due individui. Saranno due che arrivano ora e vanno in disco. Tonina tira fuori dalla piccola borsetta di paillette la chiave dell’auto e apre la porta. I due individui le si affiancano senza parlare, uno da una parte e uno dall’altra. Il più alto le mette un coltello alla gola: -Stai zitta, troia, sennò ti ammazzo come un cane.
-Ma non ho soldi… Prendete pure quello che volete, ho solo 5 euro…
-Prendiamo quello che vogliamo!-
L’altro la getta sul sedile posteriore, le strappa i pantaloni e le mutande mentre il compagno, dal sedile davanti continua a tenerle il coltello alla gola, premendolo fino a graffiarle la pelle.
-Dai, puttana, vedrai che ti piacerà…-
L’uomo si sbottona i pantaloni e si dibatte ferocemente su di lei per pochi minuti. Poi, si alza e si sposta nella parte davanti dell’abitacolo, con il coltello.
Forse, passerà qualcuno, pensa Tonina, forse qualcuno la vedrà e la salverà. Trema di dolore e di umiliazione, il corpo di una donna può essere preso e usato quando e come si vuole…
Non è cambiato niente da allora.
Il secondo uomo si butta su di lei ed è la stessa scena.
-Allora ti è piaciuto? Voi donne fate sempre le sdegnose ma è questo che volete… troie!
-Andiamo Ste, prima che arrivi qualcuno.
-Davvero la bastarda ha solo 5 euro, non vuole farsi fregare in discoteca!- e le molla un ceffone.
-Prendile l’anello e il bracciale e filiamocela.
-E ricordati che se parli, torniamo, sappiamo dove abiti. Bocca chiusa, ricordati, altrimenti la prossima volta non saremo così gentili. E ringraziaci che non ti tagliamo la gola!- e le assesta un ultimo calcio.
Tonina rimane sola nel parcheggio.
Quando è notte il lupo grida all’ombra della luna La danza delle streghe non porta mai fortuna
L’unico testimone di tanto orrore è la streghina adesiva sul vetro dell’auto. O, forse, neppure lei ha visto, impegnata a volare in cielo libera, verso la luce della luna, sulla sua scopa immaginaria.
Renata Rusca Zargar è autrice del libro “Pietre e piante: portafortuna, talismani e benefici effetti curativi per ogni SEGNO ZODIACALE”
Lo sapevate che l’uso di lenzuola color rosso vivo fosse un sistema semplice e sicuro per mantenersi giovani?
E che bruciare una candela verde favorisse gli affari?
Portare una collana di angelite, ad esempio, ci avvicina alla pace e alla serenità, mentre un anello di corniola allontana il malocchio e i piccoli teschi di osso tibetano portano fortuna. Oppure, sapevate che il quarzo rutilato, abbinato alla labradorite, aumentasse il fascino personale e l’autostima? O che un rametto di acacia appeso dietro la porta tenesse lontano chi non ci vuole bene?
Il testo è, dunque, un manuale di curiosità pratiche sui benefici effetti delle pietre secondo i SEGNI ZODIACALI o secondo l’attrazione personale. Illustra i vantaggi che ci offrono alcune piante, spiega la terapia dei colori e, infine, insegna a fare per sé il profumo che ci renderà ancora più affascinanti e felici.
Chi è Renata Rusca Zargar
Savonese, impegnata in ambito sociale, studiosa di cultura islamica e indiana, insegnante in quiescenza, ha pubblicato diversi saggi e romanzi anche con il marito Zahoor Ahmad Zargar.
Tra gli ultimi nati c’è una raccolta di lavori delle signore anziane che hanno seguito i suoi corsi gratuiti di Lettura e Scrittura Creativa: “Leggere e scrivere …per divertimento, raccolta di racconti, poesie, disegni, calligrammi dei Corsi di Lettura e Scrittura Creativa”, pubblicato da Amazon.
Si occupa della Biblioteca di volontariato Libromondo e, prima del Covid, portava i libri in prestito nelle Scuole. Cura un blog di cultura, ecologia e società Senzafine: Arte, Cultura e Società di Renata Rusca Zargar link