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“Caro Sindaco di Veneriano…” di Renata Rusca Zargar

CARO SINDACO DI VENERIANO

Questo racconto è stato scritto nel 2003, anche se è perfettamente attuale. È stato, in quel tempo, scelto dallo scrittore Giulio Mozzi per essere inserito nel Volume “Il lavoro appeso a un filo”, 2004 Arci Nuova Associazione – Padova – (arcipadova.org)

 

Lo spot denominato “Grazie” sta andando sullo schermo. L’omino consumatore acquista qualcosa e tutti per strada lo ringraziano perché mette in moto l’economia. Le multinazionali Nestlé, Coca Cola, Dal Monte, Shell, De Beers e tante altre, sorridono dai loro enormi palazzi con condiscendente amore.

Salvatore spegne il televisore: anch’egli ha tante cose da comprare e sua figlia minore lo tormenta con richieste continue: il telefonino, i Cd, le audiocassette, gli occhiali firmati (e mica come quelli comprati per tre euro dai marocchini che ha lui!)…

L’altra figlia, invece, fresca di diploma, cerca lavoro ma non le è capitato ancora nulla di buono, se non fare la stagione negli stabilimenti balneari o andare a raccogliere, in qualche grande azienda della provincia, i pomodori e la frutta.

Per fortuna lui il lavoro ce l’ha da vent’anni e, anche se non è uno di quegli impieghi da maniche bianche, lui ne è contento, il padrone lo stima e lui, in tanti anni, è mancato solo quella volta che si è rotto la gamba, salvo andarci pochi giorni dopo, con il gesso.

-Giuseppe non può fare a meno di me.- aveva risposto allora alla moglie che gli raccomandava di stare a casa a riposarsi –Io sono il capoturno, io solo so tutti i segreti del lavoro e cosa fare se qualche macchina si inceppa.-

Così, la famiglia, tre anni prima, aveva deciso di “accendere un mutuo”, come si dice in banca, andarsene dai bassi di Napoli, dove non si respira proprio e dove non voleva più che vivessero le sue figlie, e comprare una piccola casupola in un villaggio a pochi chilometri da Napoli, Veneriano, un po’ fuori dal traffico cittadino, immerso nel verde.

Ogni mattina egli percorre in motorino i pochi chilometri per andare in fabbrica ed è bello tornare, poi, la sera, e scivolare improvvisamente nella quiete della campagna. La casetta di quattro stanze, con un orticello intorno, non è costata molto perché era piuttosto vecchia e la banca gli ha concesso, appunto, un mutuo ventennale per pagarla.

–Vedrai, ce la faremo.- egli aveva rassicurato la moglie, timorosa del passo che andavano a compiere- tu potrai tenere un po’ di verdura nell’orto, allevare galline e conigli, vendere qualcosa… Nostra figlia più grande troverà pure un lavoro stabile prima o poi, e intanto potrà darti una mano. Certo, faremo un po’ di economia, ma vale bene la pena di essere padroni della propria casa e, quando andrò in pensione e saremo soli perché le nostre figlie saranno sposate, sarà bello stare qui, insieme, sedere nel giardino a prendere il fresco, mangiare i frutti della nostra terra… Quando poi verranno i nipotini a trovarci, potranno giocare nel nostro piccolo giardino, respirare aria buona, liberi, lontani dai pericoli delle macchine… Chi sarà più felice di noi?-

È ovvio che, in questa situazione, le richieste della figlia minore non possono essere soddisfatte completamente, ma è molto meglio così, considera sempre Salvatore, bisogna pensare al futuro, non vivere scioccamente alla giornata! In ogni caso, un suo amico gli ha regalato un telefonino che non usa più ed egli l’ha dato subito a Marina, sua figlia. Lei ha sbuffato un po’ perché lo voleva nuovo, ma poi l’ha preso e ha iniziato a usarlo. Anche lei deve capire che la casa un domani sarà sua e di sua sorella e che, nel frattempo, possono vivere in modo un po’ più umano!

Intanto, la domenica e ogni momento libero, Salvatore si è dato da fare a sistemare le stanze, cambiare i tubi dell’acqua, tinteggiare, aggiustare. E la casetta è diventata sempre più carina e piacevole, anche se modesta. Napoli con il suo rumore, la puzza, la confusione è ormai lontana.

Tempo prima, Salvatore aveva letto la storia di una signora sfortunata. L’aveva trovata in un trafiletto su di un giornale del nord che qualcuno gli aveva dato per fasciare le uova delle galline che sua moglie alleva dietro la casa e porta al mercato a Napoli. Pare che facesse la segretaria da venti anni presso una scuola di musica di Savona e che la scuola si fosse accorpata con un’altra, sempre di Savona. Allora le avevano chiesto, per motivi forse fiscali non meglio chiariti, di essere inquadrata con un contratto annuale, e non più a tempo indeterminato, nella nuova amministrazione. La signora, naturalmente, si era fidata, sicura anche del legame di amicizia che la legava da tanti anni agli insegnanti e al resto del personale. Ma, trascorso l’anno, era stata licenziata! Le avevano addotto, come scusa, che non era esperta nelle nuove tecnologie, che ci voleva qualcuno più moderno e adatto a una grande scuola, Polo musicale l’avevano chiamato, che aveva progetti di divenire addirittura Conservatorio! Piangendo, scriveva sempre l’articolista, la signora aveva risposto che, se gliel’avessero chiesto, avrebbe fatto un corso di computer e avrebbe imparato. Ormai, a quarantanove anni, dove avrebbe trovato un altro lavoro? E, anche se suo marito fortunatamente portava uno stipendio a casa, ella aveva una persona anziana da assistere e quei soldi le servivano proprio! Ma non c’era stato nulla da fare: la scuola, legalmente, era perfettamente in regola.

“Che strane cose succedono anche al nord!- aveva concluso Salvatore tra sé e sé- Credevo che solo qui al sud esistessero problemi di lavoro e, invece, tutto il mondo è paese. Meno male che io sono tranquillo, ho il mio posto e il padrone non mi lascerebbe mai a casa!”

-Senti Salvatore,- gli aveva detto un giorno Giuseppe, detto Pino, il padrone –tu sei un brav’uomo, ci conosciamo da tanti anni e io ti rispetto. Però, non mi ci sento più in questo paese. Da quando io e mia moglie ci siamo separati, i miei figli non mi guardano neanche più in faccia…

-Non devi prendertela, vedrai che poi tutto si aggiusterà, loro capiranno che stanno sbagliando…- aveva interrotto subito Salvatore.

-Sì, ma intanto io sto qui come un papero, mia moglie non mi vuole vedere e i figli neanche. Eppure non so cosa ho fatto di male! Ho sempre lavorato, portato i soldi a casa… Va bene, ormai è andata così. Ma io non mi ci vedo più qui e allora ho deciso di andarmene.

-Come andartene? E dove?

-Mi ha detto Shri, il nostro nuovo operaio, che, nel suo paese, la manodopera costa molto meno, che se qui paghi duemila euro, tra stipendio e contributi, per un operaio, là ne paghi, al massimo, due o trecento e, quindi, avrei deciso di trasferirmi là.

-In India? Ma poi là che te ne fai delle chiusure per valigie che produciamo? A loro servono?

-Ma naturalmente le spedisco ai soliti nostri acquirenti. La spesa della spedizione sarà, ovviamente, molto inferiore alla differenza di salario che risparmierò! Anzi, potrò sicuramente essere più concorrenziale e ampliare il mio mercato.

-E qui? Chi rimarrà qui?

-Chiuderò la fabbrica, venderò il capannone, i macchinari, e ne acquisterò di nuovi, tanto c’era bisogno di un rimodernamento. Insomma, cambierò tutto.

-Hai già deciso!

-Sì, è già un po’ che ci penso, e non è stata una decisione facile.

-Andare a vivere in un paese così lontano! Così diverso!

-Oggi non è più come una volta, il mondo è piccolo. Shri mi ha detto che lui mi aiuterà ad ambientarmi, che là sarò accolto come un principe, il paese sarà una nuova famiglia per me… e poi viaggerò, verrò ogni tanto

a vedere cosa fanno i miei figli, se gli sarà passata la rabbia, e, un domani, anche per loro sarà meglio, potrò lasciargli qualcosa di più.

-E… io cosa farò?

-Questo è appunto uno dei motivi per cui ho pensato molto a questa decisione. Il pensiero di lasciarti a casa, dopo tanti anni, mi sembrava brutto. Ma poi mi sono detto che tu sei così bravo, preciso, puntuale, volonteroso, un altro lavoro lo trovi subito. Non ti propongo neppure di venire laggiù, tu la famiglia ce l’hai, una brava moglie, due brave figlie… e poi ve ne state bene, nella vostra casetta…-

Salvatore era rimasto di stucco e non gli era venuto in mente niente altro da obiettare. E poi era stato già tutto deciso, che farci?

Nel giro di un paio di mesi, la fabbrica avrebbe chiuso e già stava riducendo il lavoro per trasferire i macchinari che Pino aveva venduto e per preparare il trasloco di ciò che rimaneva.

La sera, non aveva ancora parlato con nessuno, stava incartando le uova in un vecchio giornale, come il solito, e un titolo l’aveva colpito: “Ho ucciso per i miei bambini”. Senza farsi notare, quasi dovesse nascondere anch’egli un delitto, aveva letto l’articolo.

“Si è risolto con la confessione dell’assassino, il giallo dell’omicidio di Francesca Borgo, la donna trovata strangolata il 30 novembre scorso nella campagna dei dintorni di Torino. Il corpo della vittima, trentacinque anni, benestante, madre di tre bimbi di nove, sette e quattro anni, era stato ritrovato nudo in un campo e il ritrovamento aveva dato origine a mille illazioni e sospetti. L’altra notte l’arresto dell’omicida, un operaio di quarantacinque anni, che ha spiegato agli investigatori di aver ammazzato la donna per un grande bisogno di soldi. ‘Quella mattina- ha detto l’uomo che si chiama Alfio Buzone, lavora a Torino in una fabbrica di sacchetti di plastica ed è incensurato – ho deciso di fare una rapina. Il mio stipendio, infatti, non basta a far fronte a tutte le spese, ho tre figlie di quindici, tredici e dodici anni, mia moglie è casalinga e, nonostante le nostre economie, non ce la facciamo proprio. Così sono uscito di casa e mi sono recato al parcheggio del centro commerciale. Mi sono messo a cercare l’auto giusta, quella che rivelasse buone condizioni economiche del proprietario. E l’ho trovata: una BMW station wagon. Quando la proprietaria ha fatto ritorno alla vettura, l’ho minacciata e l’ho costretta a entrare in macchina insieme a me. L’auto ha preso la via della campagna e pensavo che avrei legato e abbandonato la donna, dopo averle portato via tutto quello che aveva con sé. Purtroppo, però, mi sono accorto che quella era la madre di una compagna di scuola di una delle mie figlie, quella di tredici anni. Ho pensato, quindi, che mi avrebbe accusato e riconosciuto.’ Così l’operaio, sempre secondo la sua testimonianza, è stato costretto a strangolare la donna. Dopo averle preso il portafoglio con carta di credito e bancomat, l’orologio Rolex, il cellulare, l’ha spogliata per inscenare un delitto passionale. Gli inquirenti sono arrivati all’operaio di Torino perché aveva poi tentato di prelevare del denaro con la tessera bancomat, come è risultato dalla telecamera della Banca. Pare che la famiglia Buzone avesse da poco comprato un appartamentino in un grande condominio e che avesse acceso un mutuo per pagarlo. La vittima, invece, lavorava in una grande casa editrice di Milano e si trovava a Torino per assistere la madre, convalescente per un’operazione agli occhi.”

Gocce di sudore scendono dal viso di Salvatore.

–Cos’hai, non ti senti bene?- gli domanda la moglie.

–No, no, sto benissimo.- risponde lui e frettolosamente straccia la pagina del giornale e la getta nel fuoco.

 

Nel villaggio di Rampur, non molto lontano da Delhi, è festa grande: sta per arrivare un uomo, dall’Italia addirittura, un benefattore! La maggior parte degli abitanti di Rampur non è mai uscita dal villaggio, un semplice agglomerato di piccole costruzioni in pietra affacciate su di una strada polverosa, e quindi non ha mai visto uno straniero ed è molto curiosa di osservare come sia. Così, oggi, sono tutti lì, sulla strada arida. Hanno lasciato il lavoro nei campi, con il Sirpanch, una specie di sindaco, in prima fila con la sua bella collana di fiori al collo. Egli ha in mano altre due collane: una per lo straniero e una per Shri, il loro concittadino che lo porta lì. Lo straniero viene per impiantare una fabbrica, per dar lavoro a molti di loro! A Rampur lavoro non ce n’è, tanti vanno a cercare fortuna a Delhi e spesso finiscono a vivere, con il loro giaciglio di stracci, per terra, perché anche a Delhi non è facile trovare una qualsiasi occupazione. Shri è emigrato in Francia tanti anni fa, poi si è trasferito in Italia e ora torna con un ricco europeo (tutti gli europei sono ricchi) per dirigere la sua fabbrica.

Uomini che hanno sistemato al meglio il loro longhi, la gonnellina di cotone annodata in vita, per fare bella figura, donne nei loro sari colorati un po’ consunti, bambini quasi nudi di tutte le età, si metteranno in fila davanti a lui per essere assunti. Prima ci vorranno dei muratori per costruire il capannone (le donne e i bambini dai cinque o sei anni in su potranno fare i manovali), poi serviranno gli operai (e Shri ha già scritto nella lettera in cui annunciava questa enorme fortuna che verrà loro insegnato cosa dovranno fare) e, infine, sarà necessario chi porterà il prodotto della fabbrica a Delhi, per essere inviato in Europa.

Insomma, la vita misera di questo villaggio cambierà. Fino ad ora, ogni famiglia ha potuto solo coltivare poca verdura e frutta a forza di braccia e di mani e il monsone, qualche volta, ha distrutto le coltivazioni, costringendo la gente alla fame, alle malattie, alla morte. Qui non c’è neppure una scuola, né un ospedale, e il medico viene nel villaggio vicino solo una volta la settimana…

Ora tutto questo finirà: il benessere crescerà i bimbi che stanno nascendo, la strada, fangosa e allagata con le piogge del monsone e polverosa durante la siccità, sarà asfaltata come a Delhi e gli uomini non saranno più costretti a emigrare.

E tutto per merito di Shri, il loro cittadino onorario!

 

Caro Sindaco di Veneriano

ti scrivo perché non so piu a chi altro rivolgermi.

Abito da pochi anni nella tua città in quella casetta un pò fuori che io ho dipinto tutta di rosa ho fatto il mutuo per pagarla ma ormai non ho piu lavoro e la banca si prenderà la nostra casa.

Lavoravo in una piccola fabbrica che produceva chiusure per valige a Napoli ma il padrone se né andato in India perché ha detto che la gli operai gli costano meno.

Che vuoi che faccia faccio parte di tutti quelli che sono sfortunati non so neppure andare a rubare e se rubo io che sono un poveraccio non avrò tanti grandi avvocati a difendermi né i privilegi delle alte cariche dello Stato…

Ora mi incateno davanti al comune con la lettera in bocca come un cane, tale e quale io mi sento anzi no tanti cani fanno una vita da pascià con le loro scatolette ed i loro cappottini. Io sono un cane randagio che nessuno nemmeno il canile vuole più. Ho cercato un altro lavoro ma ho quarantacinque anni e non mi prendono, non ho un mestiere in mano e come apprendista prendono solo ragazzi e li pagano quasi niente. Sono andato a raccogliere le arance e mi hanno dato 500 euro per un mese di lavoro come si può vivere? In estate sono andato a fare le pulizie ed il guardiano in uno stabilimento balneare e poi in autunno sono rimasto di nuovo a casa. Che posso fare?

Mia figlia fa la terza superiore e non potra piu andare a scuola avete dato i buoni scuola a chi manda i figli alla scuola privata e forse non ne ha tanto bisogno se sceglie di pagare una bella rata mensile. Perché non lo date a tutti il buono? Questa sarebbe davvero una conquista di libertà tutti quelli che studiano abbiano il buono e se lo spendano dove vogliono!

Un’altra pubblicità alla tivu diceva, non sono sicuro di ricordarlo bene le tre “i” inglese, informatica, la terza non me la ricordo più, forse era impresa… Ma chi ce l’ha l’impresa?

Ho cercato anche di vendere un rene ma forse non ho trovato le persone giuste Se nemmeno tu sindaco mi ascolterai il prossimo passo sarà il suicidio non voglio fare come quell’uomo che ha ucciso una donna per rubarle i soldi quelli sono dei mostri io non voglio fare male a nessuno

Scusami gli errori di questa lettera ma sono andato poco a scuola e tanto tempo fa e sono già passati tanti anni da quando ho aiutato le mie figlie a imparare a leggere e scrivere. Ora le figlie sono grandi e i loro studi io non li capisco più Ho iniziato a lavorare a quindici anni con mio padre che faceva il manovale poi a venticinque ho trovato quel lavoro che mi ha dato tante soddisfazioni e adesso?

Dimmi tu Sindaco cosa devo fare

Ambrosio Salvatore

 

Renata Rusca Zargar è autrice del libro “Pietre e piante: portafortuna, talismani e benefici effetti curativi per ogni SEGNO ZODIACALE”

 

Lo sapevate che l’uso di lenzuola color rosso vivo fosse un sistema semplice e sicuro per mantenersi giovani?

E che bruciare una candela verde favorisse gli affari?

Portare una collana di angelite, ad esempio, ci avvicina alla pace e alla serenità, mentre un anello di corniola allontana il malocchio e i piccoli teschi di osso tibetano portano fortuna. Oppure, sapevate che il quarzo rutilato, abbinato alla labradorite, aumentasse il fascino personale e l’autostima? O che un rametto di acacia appeso dietro la porta tenesse lontano chi non ci vuole bene?

Il testo è, dunque, un manuale di curiosità pratiche sui benefici effetti delle pietre secondo i SEGNI ZODIACALI o secondo l’attrazione personale. Illustra i vantaggi che ci offrono alcune piante, spiega la terapia dei colori e, infine, insegna a fare per sé il profumo che ci renderà ancora più affascinanti e felici.

Chi è Renata Rusca Zargar

Savonese, impegnata in ambito sociale, studiosa di cultura islamica e indiana, insegnante in quiescenza, ha pubblicato diversi saggi e romanzi anche con il marito Zahoor Ahmad Zargar.

Tra gli ultimi nati c’è una raccolta di lavori delle signore anziane che hanno seguito i suoi corsi gratuiti di Lettura e Scrittura Creativa: “Leggere e scrivere …per divertimento, raccolta di racconti, poesie, disegni, calligrammi dei Corsi di Lettura e Scrittura Creativa”, pubblicato da Amazon.

Si occupa della Biblioteca di volontariato Libromondo e, prima del Covid, portava i libri in prestito nelle Scuole. Cura un blog di cultura, ecologia e società Senzafine: Arte, Cultura e Società di Renata Rusca Zargar  link

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