La baita
di Renata Rusca Zargar
La baita marrone scuro dal tetto obliquo, con i gerani rossi alle finestre, si affacciava un po’ fuori del villaggio di Wengen, proprio dove transitava la nuova ferrovia che arrivava fino al ghiacciaio dell’Eiger. Dietro si stendevano i prati e, ancora dopo, gli abeti alti e le cime perennemente innevate del ghiacciaio. Oltre l’Eiger, invece, fervevano ancora i lavori per completare la ferrovia stessa che avrebbe dovuto, in seguito, raggiungere lo Jungfraujoch, a 3454 m. di altitudine. Era il 1898 e tutto quell’ultimo quarto di secolo aveva segnato la “febbre della ferrovia”, con diversi progetti che riguardavano la cima della Jungfrau. Adolf Guyer-Zeller, uno dei pionieri della tecnologia, aveva finalmente vinto la concessione e ora il suo trenino a cremagliera trasportava viaggiatori su e giù per quelle cime.
Ingrid non ne sapeva molto di tutto questo: accompagnava da sempre ogni mattina le sue mucche al pascolo e non era stata troppo colpita dal recente “mostro” che avanzava rapidamente su binari di ferro invece di procedere a piedi o a cavallo. Ella preferiva tuttora perdersi nel verde a varie sfumature e intensità del paesaggio, mentre l’aria si manteneva fredda e sottile anche d’estate.
Solo, aveva notato che uno dei macchinisti del nuovo mezzo, passando con la locomotiva, fermava sempre più spesso lo sguardo su di lei.
Ella, infatti, usava sedersi, con il suo vestitino colorato avviluppato intorno alle gambe, su di un frammento di roccia che spuntava da tutto quel manto verde e restava là, assorta, per ore, mentre la sua mente vagava… Le mucche pezzate bianche e marroni, intanto, si arrampicavano senza paura per i crinali alla ricerca d’erba profumata.
A scuola, Ingrid aveva imparato a malapena a leggere e scrivere eppure, mentre osservava quelle vette alte, poderose, imponenti, sentiva dentro di sé una voglia di sapere, una curiosità che non riusciva a comprendere.
Ella abitava alla baita con due anziani coniugi: essi non erano i suoi veri genitori ma l’avevano accolta da quando la madre l’aveva abbandonata per andare a vivere in città. Da allora, ella li considerava madre e padre e si occupava di loro, proprio come una vera figlia.
Dopo aver portato le mucche al pascolo, nel pomeriggio, lavorava in casa: rassettava, cucinava, stendeva i panni nel cortile antistante…
La notte scendeva poi gelida sulla semplice casetta dove il fuoco, però, ardeva rosso nel camino.
Allora, immaginava qualcuno che le volesse bene, che la tenesse stretta tra le braccia nel buio: le sembrava che sarebbe giunto insieme a una vita diversa, migliore, e che avrebbe risposto a tutte le domande che le urgevano dentro.
Era sicura che lui sarebbe arrivato, prima o poi.
Forse, sarebbe venuto dal mare, qualcosa di cui aveva sentito solo parlare: sarebbe stato bello come la profondità dell’acqua e forte come la tempesta. L’avrebbe riconosciuto subito perché sarebbe stato lui: l’uomo che aveva visto molte volte nei sogni.
Una domenica mattina, il giovane macchinista che la guardava sempre si era presentato alla porta della baita. Aveva domandato alla fanciulla dove fosse il padre e, senza perdere tempo, l’aveva chiesta in moglie.
–Ingrid, figlia mia,- le aveva detto allora l’anziano genitore – Joannes ha un lavoro sicuro e noi stiamo invecchiando rapidamente. Alla mamma e anche a me piacerebbe vederti sistemata prima di morire. Non possiamo pensare di lasciarti qui da sola. Se tu credi che lui vada bene per te, io vorrei dare il mio consenso a queste nozze. –
Ingrid aspettava ancora l’uomo del sogno, il principe dei suoi pensieri e del suo cuore, ma il tempo passava e il padre aveva ragione. Sarebbe rimasta sola là, tra quelle montagne, se lui non fosse arrivato mai.
Così, aveva accettato.
– Sì, padre mio, sono d’accordo.- aveva risposto con gli occhi bassi e le guance rosse.
Chissà che con Joannes, così si chiamava il futuro marito, la sua vita non sarebbe davvero cambiata! I suoi sogni segreti, la sua insoddisfazione, forse, sarebbero spariti come in un soffio di vento.
–Dalla prima volta che ti ho vista, -le aveva detto lui, poco dopo,- lassù, tra i mille colori dei fiori, ho pensato che saresti stata mia moglie. Dopo sposati, rimarremo a vivere qui, non lasceremo i tuoi genitori e tu non dovrai perdere tutto ciò che ami.-
Ingrid, allora, si era sentita soddisfatta. Avrebbe continuato la sua solita vita ma non sarebbe stata mai sola.
Da quando era stata costruita la ferrovia che si arrampicava così in alto, la gente accorreva sempre più numerosa ad ammirare il paesaggio, ad assaporare il profumo dei fiori, del fieno, dell’erba bagnata dalla pioggia, a meravigliarsi davanti alle distese di neve che Ingrid, invece, conosceva così bene!
Joannes era, dunque, molto impegnato con il lavoro ed ella, a volte, seguendo le mucche, saliva su, al limitare della vegetazione, tra macchie scure rocciose punteggiate da nevi eterne in estate e completamente candide in inverno che occupavano anche parte di un cielo dove spesso nuvole spumose e gonfie si affacciavano e avanzavano scherzosamente. Amava tanto quel panorama freddo e caldo di colori, differente a seconda delle stagioni, eppure, una volta, osservando l’illustrazione di un libro che raffigurava il mare, aveva provato come un tuffo al cuore. Là c’era lui, il suo uomo, viveva tra quelle onde e sarebbe arrivato da lei, un giorno.
Persino quando, raramente, scendeva a Interlaken, rimaneva ammaliata dai due grandi laghi che costeggiavano il paese e una strana sensazione si impossessava di lei. Un giorno avrebbe vissuto là, vicino all’acqua, lo sentiva, qualcosa sarebbe ancora cambiato… L’odore umido di una quantità d’acqua grande, il colore ora azzurro ora verde, le facevano immaginare una vita animata e un pensiero le veniva sempre alla mente, non ricordava dove l’avesse già sentito: “Se le nuvole nere, che si muovono, addensano, spaventano, sono fuori e non dentro di noi, ci si può illudere che il mondo sia racchiuso in una piccola area felice dove tutto è sereno e non esiste il dolore. Un’oasi di pace, insomma, dove vivere è una perfetta gioia da consumare insieme.” Sì, avrebbe avuto la sua area di felicità e le nuvole nere della tempesta non le avrebbero fatto mai paura.
Quando aveva sposato Joannes, dunque, aveva creduto che l’avrebbe amato un giorno, con la consuetudine della vita in comune. Ma il miracolo non era avvenuto.
Ella continuava a sognare l’uomo che sarebbe venuto dal mare.
Gli anziani genitori se n’erano andati, quasi insieme, il tempo era passato e lei e Joannes erano rimasti soli alla baita. Figli, purtroppo, non ne erano venuti, ma l’esistenza era tranquilla.
La ferrovia dell’Jungfraujoch era stata completata, il percorso di risalita era, quindi, più lungo e i viaggiatori ancora innumerevoli.
Sempre più spesso, però, durante la notte, Ingrid sognava immense distese d’acqua dove qualcuno, che ella non riusciva a distinguere, diceva sempre: -Chissà, forse, anche noi siamo la reincarnazione di un re o saremo, un domani, a nostra volta re o regine…- Allora si svegliava sudata e con il cuore a pezzi: ecco, non c’era dubbio, amava quella voce e quella creatura del sogno! Aspettava da tutta la vita quell’uomo ma nessuno era ancora mai giunto.
Vicino a lei, invece, Joannes dormiva tranquillo e l’alba di un nuovo giorno giungeva splendida sui monti.
Poi, malauguratamente, anche Joannes se n’era andato, stroncato da una brevissima malattia.
Ingrid l’aveva assistito fino alla fine, con affetto, e Joannes aveva stretto la sua mano e fissato lo sguardo nel suo al momento di lasciare la terra e la donna che aveva amato tanto: – Non ti ho mai detto nulla, ma so che non ti è bastata l’esistenza accanto a me. Mi sono accorto che ti svegliavi sempre più spesso la notte invocando qualcosa o qualcuno che faceva brillare i tuoi occhi, come non hanno mai brillato per me… Ma sei stata una buona moglie, e io sono stato felice… Ancora ti rivedo come la prima volta, le tue trecce bionde ai riflessi del sole, i tuoi occhi persi tra i fiori di campo, incurante del rumore, della confusione e della gente. Ho sperato allora di entrare in quei sogni che riempivano di colori il tuo viso e la tua anima. Non ci sono riuscito, ma non avrei potuto vivere senza di te… Porto con me l’immagine del tuo viso, per sempre… Addio. –
Altri anni erano trascorsi: la baita era sempre là, proprio vicino alla ferrovia, anche se Ingrid non andava più al pascolo con le mucche. Era diventata vecchia e l’unica compagnia erano rimasti i cani eschimesi che vivevano sul ghiacciaio. Stephen, il loro allevatore, infatti, li usava per trainare le slitte durante le gite sul ghiacciaio e, d’inverno, per trasportare la posta e i generi alimentari da Wengen all’Eigergletscher. Così, quando passava con la muta vicino alla baita, fermava i cani e si sedeva su di un tronco.
-Buon giorno, come va?- chiedeva alla signora Ingrid.
A lui ella raccontava le storie che aveva imparato da Joannes: molteplici e curiosi episodi degli anni trascorsi da suo marito a guidare quel trenino che si allungava su per la montagna così come faceva Stephen con la sua slitta.
Ma, soprattutto, dipanava la matassa dei suoi sogni: un mondo di pace oscillante al ritmo dei movimenti delle masse d’acqua, pesci multicolori che gironzolavano agitando le code a scatti, da soli o in gruppo, fuggivano o giocavano tra la vegetazione… Insomma, situazioni che ella non aveva mai visto né imparato a scuola ma che, chissà perché, conservava nella memoria. L’uomo ascoltava rapito: anch’egli non conosceva nulla al di fuori della vita delle catene innevate e dei cani nordici.
E un giorno, l’ultimo, addirittura una leggenda finlandese, che nessuno aveva mai sentito sulle Alpi svizzere, le era venuta alle labbra: -Una volta, sulla terra e negli oceani, nessuno sapeva parlare. Gli animali non lanciavano i loro caratteristici versi, gli uccelli non gorgheggiavano dondolandosi sui rami degli alberi dai fiori profumati, persino il vento, quando soffiava tremendo e vorticoso, non emetteva alcun rumore. L’acqua dei ruscelli, che scendeva vivacemente tra i prati, le onde del mare, che si scrollavano incessantemente, tutti non avevano voce. E così pure l’uomo e ogni altra creatura, compresi i pesci. Un giorno, però, Vainamoinen, il Signore del canto, si mise a suonare l’arpa. A quelle dolci e strabilianti melodie, ogni cosa vivente si mise in ascolto. Allora Vainamoinen ordinò a ciascuno di scegliere il suo linguaggio. Il vento preferì lo strepito che facevano gli stivali di Vainamoinen quando camminava e così pure il tuono cosicché, volta per volta, proprio come ognuno può sentire, essi spargono nell’atmosfera il baccano e il rimbombo. Il fiume predilesse il fluttuare vorticoso del mantello, gli alberi, che avevano le foglie per labbra, optarono per il fruscio delle maniche, gli uccelli ripeterono le deliziose melodie dell’arpa. Insomma, tutti gli abitanti di campi, boschi, deserti e giungle, ascoltando Vainamoinen, scoprirono il modo più adatto di sibilare, ronzare, abbaiare, ruggire. I pesci, invece, prigionieri dei fondi marini, non poterono ascoltare il Signore del canto. Videro e compresero che tutti aprivano e chiudevano la bocca, ma non sentirono nulla e non riuscirono a parlare. Comunque, decisero di comportarsi come gli altri e di aprire e chiudere la bocca, proprio come avevano visto fare, senza, però, poter produrre alcun suono. –
Concluso il racconto, tranquillamente, Ingrid aveva chiuso gli occhi e si era addormentata per tornare al cielo da cui era venuta.
Molto lontano, proprio vicino alle grandi distese d’acqua, un uomo stava anche lui per concludere la sua esistenza.
Da sempre, aveva sentito il richiamo di una fanciulla bionda che viveva tra le montagne. Da sempre, i suoi sogni erano stati agitati da quegli occhi verdi. Da sempre, aveva sentito che doveva raggiungerla, che lei era il suo unico destino. Eterno.
Ma non l’aveva mai fatto.
Nella presente incarnazione, egli era solo un povero pescatore: ogni notte usciva con la sua piccola barchetta per pescare e ogni mattina vendeva il suo pesce al mercato.
Non sapeva dove fossero quei monti innevati che aveva visto solo nella sua fantasia, né come si potesse arrivare fin là. Neppure ricordava di aver avuto altre vite precedenti insieme a quella fanciulla.
Così non era mai partito.
Ora, però, lei era venuta da lui e l’aveva preso per mano.
Insieme, si erano diretti verso i luoghi dell’amore e della felicità per non lasciarsi mai più.
Renata Rusca Zargar è autrice del libro “Pietre e piante: portafortuna, talismani e benefici effetti curativi per ogni SEGNO ZODIACALE”
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Chi è Renata Rusca Zargar
Savonese, impegnata in ambito sociale, studiosa di cultura islamica e indiana, insegnante in quiescenza, ha pubblicato diversi saggi e romanzi anche con il marito Zahoor Ahmad Zargar.
Tra gli ultimi nati c’è una raccolta di lavori delle signore anziane che hanno seguito i suoi corsi gratuiti di Lettura e Scrittura Creativa: “Leggere e scrivere …per divertimento, raccolta di racconti, poesie, disegni, calligrammi dei Corsi di Lettura e Scrittura Creativa”, pubblicato da Amazon.
Si occupa della Biblioteca di volontariato Libromondo e, prima del Covid, portava i libri in prestito nelle Scuole. Cura un blog di cultura, ecologia e società Senzafine: Arte, Cultura e Società di Renata Rusca Zargar link