venerdì , Novembre 22 2024

“Storie della vita e del mondo” di Renata Rusca Zargar

Storie della vita e del mondo

Le margheritine gialle

di Renata Rusca Zargar

Tempo fa, sulle nuvole, abitavano migliaia e migliaia di margheritine gialle.

La vita per loro era serena e tranquilla ma, giorno dopo giorno, qualcuna scendeva sulla terra e spuntava nei prati verdi e profumati dalla primavera.

Ogni margheritina incominciava così una nuova esistenza e non ricordava più nulla di quella precedente.

Dimenticava anche tutte le compagne che aveva lasciato lassù, ma loro, invece, potevano vederla e desideravano, così, intensamente, di raggiungerla.

Tra quei fiori, arrampicati in cielo, in mezzo a fiocchi di nubi bianche e rosa, ve ne erano quattro che giocavano sempre insieme, sulle ali del vento.

Un giorno, però, la più adulta, animata da un grande spirito di avventura e curiosa di conoscere il nuovo mondo, decise di scendere sulla terra.

Nacque, dunque, nel terreno al limitare di un grande e folto bosco.

La seconda, che l’amava tanto, la seguì in poco tempo, mentre le due più piccole rimasero ancora lassù, a giocare e aspettare.

Le due margherite sulla terra si trovavano molto bene: il terreno era umido e nutriente, intorno c’era la compagnia di mille e mille fiori di campo sensibili e odorosi, e, quando cadeva la pioggia, le fresche gocce battevano sulle corolle in modo abbastanza gentile.

 

A sera, poi, si addormentavano poggiando insieme il capino su una grande foglia, lucida e morbida come un cuscino.

Proprio al loro fianco, viveva un grande pino verde di nome Verpì che, nelle sere di luna piena, raccontava, alle mille orecchie in ascolto, storie della vita e del mondo.

Il suo tronco possente e i suoi rami nodosi si allungavano intorno come a proteggere le numerosissime piccole creature viventi, i suoi aghi lunghi e appuntiti non si rivolgevano minacciosamente verso nessuno ma, uniti in mazzettini nitidi e ordinati, oscillavano lentamente al vento tenue della sera, quasi a rinfrescare l’aria.

Verpì era là da moltissimo tempo: le stagioni si erano susseguite belle e brutte dal lontanissimo giorno in cui un bambino era andato nel bosco a piantarlo nella terra fertile insieme a molti altri compagni.

I pini, prima giovani e deboli e poi sempre più forti e robusti, erano cresciuti baciati dal sole e avevano allungato le loro radici sempre più a fondo nella terra, rendendola solida e sicura. Si facevano tanta buona compagnia, scherzavano e ridevano, qualche volta piangevano, come tutti i piccoli del mondo.

Avevano imparato molto, anno per anno, avevano fatto i loro frutti, le pigne, e i loro semi, i pinoli, si erano sparsi all’intorno. Così altre piante erano nate, cresciute, avevano allargato i rami verso il cielo e allungato le radici nella terra.

Ma su tutti loro, svettava Verpì, il più alto, folto, verde, ma, soprattutto, ormai, il più vecchio.

Molti suoi compagni di quel giorno lontano in cui una classe di studenti era uscita da scuola per andare nel bosco a interrare tanti alberelli non c’erano più.

Qualcuno era stato abbattuto dai fulmini che saettavano a volte nel cielo in tempesta, qualche altro era stato tagliato dall’uomo al quale serviva la legna, qualcuno si era ammalato…

Allora erano ritornati lassù, sulle nuvole, in attesa di nascere un’altra volta ancora sulla terra ad abbellire la campagna, a profumare l’aria, a rendere il terreno compatto…

Ma Verpì era sempre lì, forte e antico, possente e delicato, tenero e affettuoso, come un anziano nonno che dona sapienza ed esperienza a chi deve ancora crescere.

L’albero annoso e saggio, infatti, ormai sapeva quasi tutto della terra e del cielo, osservava le creature del bosco e del prato, le proteggeva, accompagnandole nel cammino lungo o breve della loro esistenza, spiegava loro i misteri della vita e dei cambiamenti di stato.

Infine, veniva la sera: il vento soffiava dolce sui prati verdi, i fili d’erba a tratti si chinavano radenti il suolo, poi si rialzavano verso il cielo finché un nuovo soffio tiepido faceva loro baciare la terra.

Qualche volta, invece, lontano, dal mare, arrivavano dense nuvole scure. Il sole si avviava allora dietro i monti lentamente, mentre qualche nube a forma di fiore nascondeva il suo cammino.

All’alba, poi, tutto riprendeva: tornava la luce con il calore mentre mille e mille cuoricini di fiori e mille e mille steli di piante aprivano i loro occhi addormentati.

 

Verpì, osservando le minuscole margheritine gialle, aveva capito, intanto, che ai due fiorellini, seppur sereni e amorosi, mancava qualcosa. E fu così che consigliò loro di chiamare la terza margheritina.

Ciò avvenne: un bel mattino, quando il sole brillava già alto nell’intenso azzurro del cielo, si accorsero che essa era spuntata e si offriva alla brezza di primavera con i piccoli petali vellutati e morbidi.

Da quel giorno, la vita fu felice: i tre fiori stavano sempre insieme e giocavano, senza saperlo, così come avevano fatto nel passato. Ogni tanto, però, quando scendeva la sera e il sole si coricava dietro i monti, incendiando il celeste del cielo di riflessi arancio e rossi, la più piccola, prima di chiudere la corolla e addormentarsi, interrogava il pino:

-Dov’ero io prima di nascere?

-Cara Margy, – così si chiamava il fiorellino- eri lassù, in cielo, a giocare con i fiocchi di nuvole che si spostano spinti dalle gote del vento.- rispondeva il pino, aggiustandosi i lunghi aghi verdi.

-E la mia mamma e il mio papà, dov’erano?

-Anch’essi, prima di nascere, erano lassù, poi vennero sulla terra, qui nel prato, e pensarono tanto a te che pure tu giungesti qui.

-Ah, va bene! Sono stata desiderata da mamma e papà, li ho resi felici con la mia venuta. – concludeva il fiorellino e, sorridendo beato, posava la corolla sullo stelo e si addormentava.

Purtroppo, però, lassù, in cielo, l’ultima delle quattro margherite, Margina, era rimasta sola e piangeva:

-Perché non fate venire anche me con voi? Perché mi avete abbandonata? –

Ma nessuno poteva udirla e anche il pino sapiente si era dimenticato di lei perché, in questo mondo, non si può proprio sapere tutto!

I giorni trascorrevano, dunque, veloci; i fiori del prato crescevano e imparavano sempre più cose dell’esistenza. Ora capivano anche che, in seguito, avrebbero fatto ritorno al luogo dal quale erano venute e avrebbero giocato beate per tutta l’eternità. In questo modo vivevano tranquillamente il loro tempo.

Solo Margy, qualche volta, sentiva dentro di sé come un richiamo, l’eco di una voce lontana che non si rassegnava e aveva fretta di incominciare una nuova vita tanto desiderabile.

Per questo desiderio nascosto, finalmente, anche Margina trovò la forza di raggiungere le compagne e spuntò una mattina vicino vicino alla sorellina.

Ormai, la famiglia sembrava perfetta, riunita ai piedi del saggio Verpì che, alla sera, novellava ancora favole sull’esistenza e sul mondo.

 

Renata Rusca Zargar è autrice del libro “I numeri del destino e dell’amore”

 

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Chi è Renata Rusca Zargar

 

 

 

 

Savonese, impegnata in ambito sociale, studiosa di cultura islamica e indiana, insegnante in quiescenza, ha pubblicato diversi saggi e romanzi anche con il marito Zahoor Ahmad Zargar.

Tra gli ultimi nati c’è una raccolta di lavori delle signore anziane che hanno seguito i suoi corsi gratuiti di Lettura e Scrittura Creativa: “Leggere e scrivere …per divertimento, raccolta di racconti, poesie, disegni, calligrammi dei Corsi di Lettura e Scrittura Creativa”, pubblicato da Amazon.

Si occupa della Biblioteca di volontariato Libromondo e, prima del Covid, portava i libri in prestito nelle Scuole. Cura un blog di cultura, ecologia e società Senzafine: Arte, Cultura e Società di Renata Rusca Zargar  link

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