A quattro mani
di Renata Rusca Zargar
Nella casa quasi di fronte a quella dove siamo noi, un po’ più avanti sulla strada, c’è una fanciulla che gioca sempre nel suo giardino. Là ci sono anche delle grandi piante di fico zeppe di frutti in via di maturazione. Quella ragazza ha delle belle bamboline, mi sembrano con i capelli neri neri a trecce, e tanti altri oggetti per divertirsi. Ma anch’io mi diverto, qui si sta bene, la padrona è gentile e ha permesso alla mamma che lavora per lei di tenermi con sé. Nell’orto, ci sono tanti piccoli sassolini e io passo il tempo a contarli, poi, quando la mamma viene a raccogliere la verdura, la seguo con la cesta e l’aiuto.
Ieri ho visto quella bimba che salutava un uomo grande che usciva da casa sua tutto elegante nella toga bianca. Forse è suo padre…
Nella casa che si trova dall’altra parte della strada, poco distante dalla mia villa, c’è una bambina che avrà più o meno la mia età, forse qualche anno di meno. La vedo che ogni tanto guarda da questa parte e che vorrebbe, forse, parlarmi, ma sembra non ne abbia il coraggio. Così ho chiesto alla mamma chi sia ed ella mi ha risposto che è la figlia di una liberta che lavora per Tertilla Octavia, la signora che viene da Roma a passare qualche tempo di riposo nella sua casa qui a Ercolano, proprio come facciamo noi.
Dato che io mi annoio qui, lontana dalle mie amiche di Roma, voglio giocare con lei, anche se non è di una nobile famiglia come la mia.
La giovinetta del giardino di fronte è venuta qui e mi ha chiesto se voglio giocare con lei. Io le ho detto di sì. Si chiama Cornelia ma tutti la chiamano Secunda, suo padre è Gneus Cornelius Nasica, un uomo molto importante! È molto bella, ben vestita, e porta alcuni gioielli come orecchini pendenti con le perle e una bella collana girocollo in oro. Ella mi ha fatto vedere le sue bamboline, vengono dall’Egitto, non ne avevo mai viste! I loro capelli neri neri sono agghindati in treccioline piccole piccole e portano al collo un ciondolo a forma di scarabeo. Qualcuno degli amici di molto valore di suo padre gliele ha regalate e lei me le ha fatte persino toccare! Ha poi tante altre cose per passare il tempo e mi ha detto che a Roma, dove vive in una casa meravigliosa, ne ha molte di più. Là ha anche un maestro che le insegna a leggere e scrivere. Ora è in vacanza, deve solo riposarsi e divertirsi.
Sono andata dalla bambina che vedevo sempre. Si chiama Primilla. È simpatica, anche se parla poco e arrossisce spesso. Ha otto anni, qualche anno meno di me, ma sembra più grande. Le ho mostrato i miei giochi e raccontato della mia vita a Roma. È rimasta incantata perché lei e sua mamma sono poveri. Suo padre, che era un liberto, è morto da diversi anni e sua madre lavora presso Tertilla Octavia: è una cameriera molto fidata e anche una buona cuoca. Quest’anno Tertilla le ha permesso di condurre con sé la figlia perché la nonna che la teneva è morta anche lei. Primilla èrimasta molto stupita del fatto che sapessi leggere e scrivere. Le ho spiegato che quest’anno, quando sarò di nuovo a casa, a Roma, mi prenderanno un precettore per imparare ancora di più: la letteratura latina e greca, la retorica e il diritto. A dir la verità, io non ne ho tanta voglia, ma mio padre dice sempre che le ragazze di buona famiglia devono conoscere almeno alcuni elementi di queste materie così potranno conversare con il marito e i loro amici della buona società. Invece, Primilla mi guardava con due occhi! Si capiva che le sarebbe tanto piaciuto studiare tutte queste materie… Io farei cambio volentieri: lascerei lei a studiare e io andrei a gironzolare per le strade, le terme, le palestre!
Mi ha parlato della sua casa, delle stanze con dipinti alle pareti… In uno, mi ha detto, ci sono dipinti uva, mele, nespole, in un vaso trasparente su di un tavolo. A fianco, c’è una piccola anfora che si appoggia a un altro vaso di terracotta colmo anch’esso di frutta… Tutto è talmente bello da sembrare in rilievo!
Io le ho spiegato, invece, che stavo con la nonna che abitava in un’insula, le stanze erano annerite dal fumo, c’era sempre rumore, la gente andava e veniva nel palazzo e faceva tanto chiasso.
Ora la nonna non c’è più e la mamma mi ha ripresa con sé. La padrona le permette di tenermi a patto che io aiuti un po’ in casa a sbrigare alcune faccende. A me piace aiutare la mamma o le altre donne che lavorano per Tertilla Octavia. Certo, preferirei leggere quei fogli che si srotolano, sapere cosa c’è sopra. Invece, quando vado per la strada e vedo le insegne o le scritte sui muri, non le capisco, non so cosa vogliano dire! È brutto vedere quei segni e non sapere cosa dicano, osservarli e non poterli riconoscere, è come avere mal di pancia e non sapere perché, si sta a disagio. Ho provato molte volte a fissarli, quei segni, per vedere se riuscivo a scoprire il loro segreto, ci sarà pure un segreto! Ma non l’ho capito!
Oggi Primilla mi ha chiesto se potevo leggerle qualcosa. Allora ho preso dalla nostra biblioteca un volumen1 che mio padre ha comprato da poco in una libreria a Roma dove va di solito e incontra i suoi amici letterati. Ella mi guardava con gli occhi sgranati mentre svolgevo il rotolo di papiro e leggevo le varie colonne, osservava la pergamena con il titolo e l’autore e la sovraccoperta di pergamena colorata con la porpora. Certamente, dove è stata fino ad oggi, come mi ha spiegato, con sua nonna, in un’insula molto affollata, non c’erano libri di sorta! A dire la verità, sono passata spesso nelle strade dove ci sono le abitazioni dei poveri, ma non vi sono mai entrata, non ho mai salito le scale che portano ai piani superiori. Ho visto le botteghe del pianterreno, i venditori di garum2, di pane o altro. Primilla mi ha raccontato che,
salendo molte scale strette e buie si arrivava all’appartamento della nonna, due misere e anguste stanze illuminate da una finestra rettangolare. Negli altri ambienti del palazzo, vivevano tantissime persone, andavano, venivano, gridavano, piangevano, litigavano, facevano tanto rumore quasi a tutte le ore del giorno. Non c’era mai pace. Per prendere l’acqua si doveva andare fino in fondo alla via, d’inverno faceva abbastanza freddo, specialmente in certe giornate gelide, sembrava che dai muri e dall’unica finestra, seppur chiusa dallo sportello di legno, entrasse una corrente gelida. Allora lei e la nonna si stringevano l’una all’altra vicino alla stufa per scaldarsi un poco. Per lei stare ora nell’elegante casa di Tertilla Octavia è come un bel sogno!
La mamma mi ha annunciato che Octavia, quando saremo a Roma, farà imparare anche a me a leggere e a scrivere, c’è uno schiavo in casa che può insegnarmi. Sarebbe davvero fantastico! E tutto succede per merito anche della mia nuova amica, perché io ho ripetuto alla mamma tutte le straordinarie cose che mi ha detto e che sarebbe tanto piaciuto anche a me istruirmi. Ho raccontato alla mamma la meravigliosa storia che era scritta su uno di quei suoi rotoli. C’era uno volta, tanto tempo fa, un re che si chiamava Crono. Dato che gli avevano detto che sarebbe stato mandato via dal trono da uno dei suoi figli, egli li ingoiava appena nascevano. Così, quando Rea, sua moglie, fu incinta dell’ultimo figlio, andò a partorirlo di nascosto a Creta. Poi, diede a Crono da mangiare, invece del figlio, le fasce con una pietra dentro. Il bambino, che si chiamava Zeus, quando fu cresciuto, costrinse Crono a vomitare i fratelli. Infine, divise tutto il governo dell’Universo con i fratelli: a Zeus toccò il cielo, ad Ade il regno sotterraneo e a Poseidone le acque. Zeus, in realtà, è il Dio Giove che tutti noi preghiamo. Octavia Tertilla ha sentito quello che spiegavo alla mamma e mi ha fatto tanto felice, promettendomi che mi farà insegnare a leggere. Così ora la mamma mi trattiene più spesso in casa a rassettare le stanze o ad aiutare in cucina a pulire il pesce, la verdura e a fare tanti altri servizi. In qualche modo, dobbiamo ricompensare la gentilezza della padrona. Certo, ho meno tempo per giocare e un po’ mi dispiace, proprio adesso che ho questa nuova amica, ma qualche volta ci vediamo lo stesso, lei di solito viene qui nel giardino e ci sediamo sotto un albero a chiacchierare, oppure corriamo un po’, o giochiamo con le sue bamboline. Immaginiamo di essere due signore grandi, con i loro figli. Lei è una signora molto ricca e io sono la sua prima cameriera. Ma soprattutto mi ha promesso che mi racconterà altre storie affascinanti come quella di Crono.
Oggi Cornelia mi ha portato in casa sua. Attraverso l’atrio, siamo entrate nel giardino rettangolare, delimitato dal peristilio3. L’atrio della casa di Cornelia è assai
luminoso perché l’edificio è molto ben disposto e la luce penetra da un’ampia apertura sul soffitto, sotto alla quale c’è la vasca che raccoglie l’acqua piovana. Proprio lì, c’è il tempietto con le divinità del focolare: i Lari e i Penati4. Poi ci sono tre stanze da pranzo, che vengono usate a seconda degli ospiti. Ci sono dei tavoli bellissimi, tutti lavorati e dei divani molto spaziosi e comodi. I pavimenti sono a mosaico con bellissimi disegni, così come gli affreschi alle pareti. Persino i vetri delle finestre sono colorati. È una casa ancora più bella di quella di Octavia e Cornelia mi ha spiegato che non è nulla confronto a quella in cui vive a Roma: là ci sono molte più stanze e molti più oggetti e decori. Poi, siamo andate nel suo cubiculum5, tra le sue cose personali! Ha uno specchio in argento con decorazione a cerchi incisi e forellini lungo il bordo, dei balsamari in vetro colorato dove conserva gli unguenti per il corpo e persino un cofanetto con borchie e serratura dove tiene i suoi cosmetici! Le pareti sono decorate con bellissimi motivi in rosso, giallo e nero e sul suo tavolino c’è una statuetta in bronzo raffigurante la dea Venere. Il suo letto è in legno con guarnizioni in argento e altri abbellimenti in tartaruga. Poi mi ha dato da bere dell’acqua che ha versato da una brocca di bronzo fatta a testa di donna. Anche Tertilla ha una brocca decorata da una danzatrice, ma questa era ancora più fantastica! In questa stanza così accogliente, ella mi ha svelato l’origine delle donne. Prometeo aveva rubato una scintilla di fuoco a Zeus per darla agli uomini mortali che ne avevano tanto bisogno. Allora Zeus, che si era molto arrabbiato, ordinò a Efesto di creare la prima donna. Ella somigliava alle Dee e aveva la voce umana (anche Cornelia mi sembra somigli a una Dea!); Atena le insegnò a tessere la tela, Afrodite le infuse la grazia, Ermes le ispirò un’indole scaltra, infine, Atena l’adornò. Ella si chiamò Pandora, pan vuol dire tutto e doron regalo, perché fu mandata in dono al fratello di Prometeo, Epimeteo. Egli l’accettò. In questo modo, Zeus mandò un male che sarebbe stato circondato d’amore. A quel tempo, infatti, gli uomini vivevano sulla terra lontano dall’aspra fatica, da malattie dolorose che portano la morte e al riparo da qualunque sofferenza. Pandora aprì un orcio nel quale erano racchiusi tutti questi mali ed essi dilagarono sulla terra. Ero felice che Cornelia mi raccontasse una storia, ma poi ci sono rimasta male a pensare che le donne hanno portato tanti guai all’uomo. Io non vorrei essere, da grande, qualcuna che porta del dolore agli altri. Vorrei fare felici gli altri, vederli sorridere… Domani torniamo a Roma, la vacanza è terminata. Octavia riprenderà la vita cittadina e io rimarrò nella sua casa. Da una parte sono contenta perché imparerò a leggere e a scrivere (non vedo l’ora!), dall’altra mi dispiace lasciare Ercolano e Cornelia.
Ormai sono nella casa di Tertilla da cinque anni. Lavoro per lei insieme a mia madre. Ho imparato a leggere e a scrivere ma non ho molto tempo per leggere perché c’è sempre qualcosa da fare. Ogni momento, qualcuno mi chiama: – Primilla, vai a comprare il garum, ne siamo senza.- Poi, dopo poco: -Primilla, vai a prendere un po’ di pane, è finito.- Oppure: -Porta un messaggio ai parenti della signora, domani verranno a cena.- e ancora:-Corri siamo rimasti senza vino; si sono rotti i calcei; chiama l’amica della signora che venga perché Octavia le deve parlare…-
E tanti altri ordini e ordini, richieste, capricci della padrona: -Primilla, qui, Primilla, là, voglio questo, voglio quello…- A me chi ci pensa? Sono esausta, sfinita, mi sembra che la mia vita sia solo correre per gli altri. Ma chi sta correndo per me? Non ce la faccio più! E poi sono stanca di non poter avere tutto ciò che hanno gli altri! Perché io non posso avere un precettore per imparare, non posso frequentare le terme e le palestre quanto le altre ragazze che conosco? Perché devo sempre lavorare e lavorare? Tertilla Octavia mi tratta bene, sì, ma non mi lascia certo riposare! Non mi manda alle feste, alle gare, ai giochi… Solo mi permette di andare al tempio a pregare. La mia vecchia amica di Ercolano, Cornelia, ad esempio, so che passa tutte le sue giornate piacevolmente, si veste elegantemente, esce, passeggia, chiacchiera con altre ragazze come lei. Ogni tanto la intravedo in giro per la città, sempre distinta, sempre curata, sempre briosamente impegnata in simpatiche conversazioni con le amiche. E io? Da tutto questo io sono esclusa. Sono affranta da questa vita, anch’io voglio essere elegante, avere gioielli… Perché sono nata da questa madre che può solo lavorare, lavorare, lavorare? Perché non sono una Cornelia anch’io?
L’altro giorno ero un po’ scoraggiata, ero stanca per aver fatto tanti lavoretti e non vedevo nulla di desiderabile nel futuro. Ma oggi è una giornata bellissima, ho saputo che presto avrò la mia casa e la mia famiglia! Tertilla Octavia ha trovato un giovane adatto a me, ma più grande, con lui dividerò la vita. La mamma mi ha detto anche che presto verrà celebrata la confarreatio, il rituale che mi farà diventare sposa di un uomo. Io e lui divideremo una focaccia di frumento e Giove Farreus sarà garante del nostro impegno. Quello stesso Giove la cui nascita mi aveva tanto colpita da bambina, sarà testimone di questo cambiamento che attendo con ansia. Sono certa che Tertilla ha scelto bene e che sarò felice.
Tra qualche giorno mi faranno anche incontrare il mio futuro sposo. Sono già molto emozionata!
L’ho visto! È bellissimo! si è presentato a casa di Tertilla elegante, in una toga bianca, molto ampia, con delle pieghe molto spesse e ordinate sulla spalla sinistra, morbidamente cascante sul davanti con tante altre piccole pieghe a formare delle tasche. Chissà cosa tiene in quelle tasche? Un giorno, quando sarò sua moglie, potrò
frugare là dentro e scoprire i suoi tesori! Sopra aveva la paenula6 di un bel colore marrone caldo come i frutti morbidi dell’autunno. Sembrava un membro del Senato, a giudicare dalla sua eleganza e dal suo comportamento! I suoi occhi neri brillavano come stelle, i riccioli neri anch’essi gli si attorcigliavano fin sul collo, le mani sono grandi e forti… Forse anch’io gli sono piaciuta perché mi guardava in un certo modo! Tertilla l’ha invitato a cena ed è stato preparato per lui un vero banchetto! C’erano anche altri amici di Tertilla, alcuni commercianti e artigiani, così lui non poteva sentirsi isolato. Tertilla l’aveva fatto accomodare sul letto imus7 ed egli sembrava su di un trono. Davanti, sul muro, c’è uno splendido affresco che raffigura del fine vasellame in argento e altrettanto è stato usato per la cena: coppe, bicchieri, piccole anfore… Sono stati serviti come gustatio8, lattuga, porro a filetti con tonno guarnito d’uova su foglie di ruta, cacio affumicato e olive. Poi sono arrivate conchiglie, pesci vari, uccelli di palude, il tutto accompagnato da vino della villa rustica di Ercolano. La conversazione era molto piacevole. Io osservavo da fuori della stanza insieme a mia madre, eravamo molto emozionate tutt’e due. Infine, dopo alcune ore, egli si è alzato ed è venuto a cercarmi. Siamo usciti in giardino a passeggiare e lui, a un certo punto, mentre mi parlava, mi ha preso per il gomito…
È stato emozionante! Si chiama Decimus. È stato il giorno più bello della mia vita. Tertilla ha trovato per me uno sposo perfetto. Non vedo l’ora di andare via con lui, devo confessare che vorrei vederlo presto nella tunica talare9, magari di seta, lunga fino ai piedi… Ma Tertilla ha detto che dobbiamo ancora aspettare qualche mese perché egli deve concludere prima alcuni affari che gli permetteranno di comprare una bella casa per noi (persino con un piccolo orto!). Non andrò a vivere in un’insula! Cercherò di far passare in fretta questi mesi. Intanto, penserò a quello che
voglio far dipingere nella mia nuova casa: sicuramente ci sarà un bel cesto di noci, nocciole, datteri e anche fichi, che mi ricordano Ercolano. Il pavimento sarà poi decorato con mosaici rappresentanti amorini su cavalli marini che galopperanno nel regno dell’amore per sempre. Le pareti saranno meravigliosamente affrescate, chiamerò il dealbator che imbiancherà tutto e stenderà il colore di fondo, un bell’azzurro, o giallo… Quindi, il parietarius farà le decorazioni dei riquadri con delle cornici decorate con motivi floreali (voglio tanti fiori: rose, gigli e anche fiori di loto che mi ricordino l’Egitto). Infine, mi farò consigliare da Tertilla un bravo pittore imaginarius10, che sappia rendere qualche storia affascinante, forse quella di Crono e Zeus oppure un’altra, voglio anche una statuetta in bronzo della Dea Iside che porta fortuna: ne ho vista proprio una molto graziosa nell’officina di un fabbro da cui Tertilla ha comprato molti oggetti tra cui vari candelabri e una statuetta di Bacco. Se avrò delle figlie, procurerò loro le bamboline egizie, che mi piacevano tanto, magari sarà proprio Decimus a farle arrivare per nave dall’Egitto. Insomma, non vedo l’ora di iniziare la mia nuova vita!
L’altro giorno ho incontrato Primilla che stava andando a comprare del pane. Mi ha detto che presto andrà sposa a un giovane mercante e che è stata Octavia ad occuparsi di tutto. È molto soddisfatta, perché avrà una vita abbastanza agiata e il futuro sposo è un bel giovane. Ho subito pensato che potremmo andare tutti insieme a vedere le corse dei carri al Circo Massimo. Così ci conosceremo.
Sono molto felice. L’altro giorno, dopo tanto tempo, ho incontrato Secunda Cornelia. Io non ero tanto di corsa come il solito ed ella era sola. Così ho potuto fermarmi a parlare e le ho raccontato di me. Anch’ella sta per andare sposa con un romano della gens Claudia. Ella desidera che andiamo tutti insieme alle corse dei carri, così ci conosceremo. Io non avrei voluto, mi sembrava che il suo nobile uomo forse non avrebbe desiderato stare in compagnia con una serva e un mercante… Ma ella ha tanto insistito! Non ho voluto deluderla, è stata così gentile! Mi ha raccontato che andrà a vivere in una villa ancora più bella di quella dove sta ora, perché la famiglia del suo sposo è ancora più ricca della sua. Avrà una vita felice, come è sempre stata la sua, lontana dalle difficoltà. Sono contenta per lei. Ma anch’io avrò una bella vita con Decimus.
Siamo andati al Circo Massimo ma il futuro marito di Cornelia non c’era. Aveva un impegno politico, ella ci ha detto. Cornelia ha scherzato tutto il tempo con Decimus, sembrava che loro due si conoscessero da sempre. Decimus era bellissimo, nella sua toga bianca, come la prima volta che l’ho visto. Anche Cornelia era elegantissima: indossava una stola azzurra con molte pieghe e sopra una palla11 rossa come il fuoco. Anche i calcei12 erano rossi ma adornati da pietre azzurre e i capelli erano
acconciati in morbidi riccioli neri sulla fronte e lungo il collo, fermati sul capo con uno spillone in argento terminante a colombella. Aveva al collo una collana lunga in oro e smeraldi con un ciondolo che rappresenta la luna crescente e un anello con un grande zaffiro al dito, so che si trattava di queste pietre perché anche Octavia ha molti gioielli simili. Era perfetta, profumata; e poi sa parlare in modo intelligente, si vede che è una donna di mondo. Per me non è così facile come per lei, che è istruita, ricca, può fare tutto ciò che vuole! Io ho solo potuto imparare a leggere e scrivere, nient’altro, ed è stato già tanto. Beata lei che sa essere spiritosa, simpatica, ha un’affascinante conversazione! Io sono solo figlia di una liberta al servizio di una signora, lei è una signora. Ma anche Decimus le ha tenuto testa con abilità, anche lui sa parlare con proprietà, sa conversare piacevolmente. Questo, naturalmente, mi fa piacere perché così insegnerà ai nostri figli, che sappiano parlare bene, che possano avere un destino migliore del nostro. Anche se mi sono sentita esclusa dai loro discorsi, dal loro svago. Mentre i carri trainati da tre o quattro cavalli si lanciavano a rotta di collo per i sette giri di pista, essi cercavano di prevedere chi avrebbe vinto, o si litigavano perché uno teneva per un colore e l’altro per un colore differente. Ma poi i loro sguardi si incrociavano e scoppiavano a ridere come vecchi amici. Intanto, tutti gli spettatori, migliaia e migliaia, urlavano, si divertivano tanto. Io non ero mai stata alle corse dei carri e non avevo mai visto tanta confusione! Invece, sia lei che lui erano esperti. Insomma, mi sentivo molto a disagio tra loro, per fortuna che non dovremo vederci altre volte. Concluso lo spettacolo, ci siamo salutati, lei è andata via da sola e Decimus mi ha riaccompagnata a casa. Cornelia non ci ha chiesto di incontrarci ancora ed è bene che sia così. Ognuno al suo posto.
Ieri Octavia è caduta in giardino e ha battuto la gamba destra sulla vasca della fontana che adorna piacevolmente il giardino. Si è fatta molto male ed è stata trasportata a letto dove deve rimanere immobile. Purtroppo, ad ogni minimo movimento, le sue urla di dolore invadono tutta la casa. Si capisce che soffre molto. La mamma l’assiste, ma ho sentito che non vuole mangiare né permette ad alcuno di toccarla. Decimus è venuto a vedere cosa fosse successo, ma poi è scappato via subito perché aveva qualcosa di urgente da fare.
Sono passati già alcuni giorni dall’incidente di Octavia. Ella mi ha chiamato e sono stata ammessa alla sua presenza. Non la riconoscevo quasi, è dimagrita, invecchiata improvvisamente, respira con difficoltà. Mi ha preso la mano e mi ha detto che sono stata per lei come una figlia, che non mi ha dimenticata nel suo testamento, che anch’io avrò qualcosa. Ma non mi importa, io vorrei solo che guarisse e tornasse ad essere l’Octavia di sempre. Era così affaticata che dopo poco ha chiuso gli occhi. Il suo segretario mi ha dato una lettera che ella ha scritto per me.
Tornata nel mio cubiculum ho aperto il foglio di papiro e ho letto: “Mia cara Primilla, so che è giunto il momento per me di lasciare questo mondo, seppur con tanto dispiacere. Per questo voglio lasciarti qualche parola perché tu continui ciò che è stato iniziato e segui la via dell’onestà, della bontà, dell’amore. Avrei tanto
voluto vederti nella tua nuova vita di sposa, ma non era quello il Fato assegnatomi dagli Dei. Avrei voluto vedere i tuoi figli, ma non è nel mio tempo. Tu sei stata per me come la figlia che non ho mai avuto, perciò ti ho fatto imparare a leggere, a scrivere, ti ho cercato un marito che possa garantirti una vita agiata. Anche tua madre avrà così una serena vecchiaia e non finirà in una miserabile insula come quella dove tu sei cresciuta quando eri con la nonna. Sii felice, Primilla mia, ricordati che è diritto dell’uomo e della donna perseguire la felicità, vedere al mattino sorgere il sole e pensare che la vita è bella, vale la pena di essere vissuta compiutamente. Io sarò con te in ogni momento, a consigliarti, assisterti, indicarti la strada giusta. Non avere paura. Quando incontrerai qualche difficoltà (ce ne sono sempre nella vita) ricordati che non devi abbandonare mai i tuoi sogni, i tuoi progetti, devi continuare e non lasciarti mai scoraggiare. Le persone raggiungono gli obiettivi quando li perseguono con sicurezza e stabilità. Non perdere mai la strada, perché io veglierò sempre su di te.”
Le lacrime scorrevano come fiumi in piena sul mio viso.
Quanto affetto ha avuto per me Octavia! E io che mi sono lamentata tante volte di lei, ero stanca di servirla, di lavorare, avrei voluto essere una donna di nobile famiglia. Ma che voglio di più? Ella mi ha amata come una figlia, nel momento del dolore ha pensato a me. Sono stata un’ingrata! Ma perché gli Dei hanno voluto questo? Perché far soffrire Octavia così tanto? Che cosa ha fatto di male? Ah, crudeli Dei! Ho pianto tanto, ma a che serve? Non si può tornare indietro, Octavia non tornerà quella di prima.
In questi giorni Decimus si è fatto vedere poco: qualche volta è venuto con la sua semplice tunica da lavoro, sempre indaffarato, ha mandato i suoi saluti a Octavia dal servo che si occupa di lei ed è scappato via. Altre volte è venuto con la sua bella toga bianca ma ugualmente di premura, aveva ancora degli appuntamenti importanti per concludere degli affari. Non so, mi sembra sfuggente, i suoi occhi non mi guardano come prima, in quel modo che mi faceva venire i brividi… Anche lui sarà sconvolto dalla disgrazia di Octavia. Per un motivo o per l’altro, non riesce mai ad essere ammesso alla sua presenza.
Octavia sta sempre peggio, i dolori la tormentano, non mangia più nulla, è diventata così magra da non aver la forza di alzare una mano!
Ieri Octavia è morta. Ho riletto e riletto la sua lettera fino a quasi consumarla: era un testamento d’amore, ella sapeva che se ne sarebbe andata in poco tempo. Le sue frasi mi attraversano la mente: “tu sei stata per me come la figlia che non ho mai avuto… ricordati che è diritto dell’uomo e della donna perseguire la felicità, vedere al mattino sorgere il sole e pensare che la vita è bella”.
Oggi non mi sembra che la vita sia bella! Perché Octavia se n’è andata così presto?
Non riesco a frenare le lacrime e anche mia madre è disperata. In più mia madre pensa che perderà il lavoro, gli eredi di Octavia forse non la terranno in questa casa, avranno i loro servi e schiavi, cambieranno senz’altro molte cose…
Il futuro è incerto, meno male che presto sposerò Decimus e insieme troveremo una soluzione anche per mia madre.
Al funerale di Octavia c’erano molte persone: ella era conosciuta e amata da tanta gente. C’era anche Cornelia, ma è rimasta in disparte e non si è avvicinata a me e a Decimus. Ci ha appena salutati da lontano. È normale, non voleva farsi vedere da tutti a dare troppa confidenza a persone del popolo. Decimus mi ha detto che dobbiamo rinviare il matrimonio per non festeggiare quando è appena morta una persona alla quale siamo molto legati. Lo capisco, ha ragione, ma ci sono rimasta male. Non aveva un altro momento per dirmelo? I suoi occhi mi sembravano ancora sfuggenti, poco dopo è andato via di fretta.
Oggi mi hanno detto che Octavia mi ha lasciato la sua casa di Ercolano, che è mia e che ne posso fare ciò che voglio. Non posso credere! La bella casa di Ercolano! Mia! Octavia è stata davvero troppo buona con me! Ne ho parlato con Decimus e mi ha detto che la venderemo al più presto, che troverà subito qualche compratore. Sono rimasta male, perché non pensavo di vendere quella casa, immaginavo che saremmo andati ogni tanto con i nostri figli, che avremmo raccontato di Octavia, di tutto ciò che ha fatto per me…
Ma certo non è per noi avere una casa fuori Roma, sono i ricchi che passano del tempo in villa, nell’otium13, noi dobbiamo lavorare. Ma un giorno i nostri figli leggeranno, penseranno, discuteranno, saranno diversi da noi… Avrebbero potuto avere la signorile casa di Octavia… Pazienza, se ne costruiranno una ancora più bella.
Decimus, comunque, non mi ha lasciato molto tempo per discutere, è andato via di corsa, ha detto che aveva alcuni affari urgenti ed era tutto ben vestito. Al collo aveva un ciondolo in oro con raffigurato Pegaso, il cavallo alato. Non glielo avevo mai visto prima. Mi ha detto che glielo ha regalato un amico, per alcuni favori che gli ha fatto. Mi ricordo che Cornelia mi aveva raccontato la storia di Pegaso: uno splendido cavallo alato, nato dalla testa di Medusa. Atena riuscì a domarlo e gli mise il morso, poi lo regalò a Bellerofonte che uccise la Chimera standogli in groppa mentre si librava nell’aria. Il mio Decimus non è un cavallo alato, non sta per volare via, sta per essere il compagno della mia vita. Chi gli ha fatto questo regalo non lo conosce bene.
Eppure, non so da quanto tempo non mi stringe la mano o mi guarda negli occhi. Forse, anche lui è sconvolto per la morte di Octavia. Ma quando saremo insieme, nella nostra casa, tutto sarà diverso.
Oggi, mentre andavo a comprare del pane, ho incontrato casualmente Cornelia. Ella aveva molta fretta e non mi ha quasi neppure salutato. Io le ho chiesto come stava e lei mi ha risposto che doveva incontrare il suo futuro sposo e che era in ritardo. Ho notato che al collo aveva un ciondolo in oro raffigurante Atena, signora che ama i clamori, le guerre, le battaglie. Il ciondolo aveva nel bordo in oro lo stesso motivo a torciglione del ciondolo di Decimus. Si vede, ho creduto in quel momento, che in questo periodo sono di moda i ciondoli di un artigiano che lavora in quel modo. Dato che avevo tempo, ho pensato: perché non vado a trovare Decimus alla sua bottega? So che è arrivata della nuova merce dall’Egitto, per nave. Forse saranno oggetti, gioielli, non so, ma sono curiosa di vederli. E poi, forse, a lui non dispiacerà di incontrarmi. Ormai mancano pochi giorni alla nostra unione.
Già, a lui non sarebbe dispiaciuto vedermi! Quando sono arrivata alla bottega e sono entrata, l’ho scorto nel retro che abbracciava Cornelia. Sì, proprio lei! La mia amica! Essi ridevano, scherzavano, si abbracciavano, dimostravano grande intimità, paghi l’uno dell’altra. Non si sono neppure accorti della mia presenza. Sono fuggita disperata. A chi chiedere aiuto? Nessuno può capirmi, tutti mi diranno di dimenticare tutto e sposare Decimus. Cornelia non sposerebbe mai un uomo del popolo, è solo una storia passeggera, e quindi presto lui tornerebbe da me. Nessuno capirebbe il mio dolore, la mia umiliazione. Adesso comprendo tante cose: il suo disinteresse, la sua freddezza, la sua fretta, l’eleganza di certi giorni… E il ciondolo, glielo avrà regalato lei: Atena mise il morso a Pegaso e lei lo ha messo a lui! Ma lui ha voluto quel morso! Ed ella si è preso per giocare l’uomo che avrebbe dovuto essere il mio sposo. Lei è solida, ricca, di una famiglia importante. A lei gli Dei hanno concesso molto. A me molto da fare.
Io sono leggera, devo vivere in punta di piedi. Non devo perdere la testa. Chiederò aiuto a Tertilla, ella mi aveva scritto che non mi avrebbe abbandonata. “Non avere paura. Quando incontrerai qualche difficoltà (ce ne sono sempre nella vita) ricordati che non devi abbandonare mai i tuoi sogni, i tuoi progetti, devi continuare e non lasciarti mai scoraggiare. Le persone raggiungono gli obiettivi quando li perseguono con sicurezza e stabilità. Non perdere mai la strada, perché io veglierò sempre su di te.”
Ho riletto molte volte il suo scritto e lentamente sta prendendo forma in me una nuova forza.
Il servo di Decimus mi ha infine raccontato tutto: da tempo Decimus vedeva Cornelia. Qualche volta, si incontravano su una nave che aveva trasportato un enorme carico di legname fatto arrivare da Decimus per rivenderlo alle terme, che ne bruciano ogni giorno una grande quantità per riscaldare gli ambienti. Fino a quando l’imbarcazione era rimasta ancorata nel porto in attesa di ripartire, essi l’avevano usata come nido d’amore! Cornelia, addirittura, mi ha raccontato il servo, aveva fatto trasferire là sopra del vasellame in argento e delle sculture decorative come satiri, ninfe e rappresentazioni di Sileno14, per passare il tempo piacevolmente. Quando la nave aveva ripreso il mare, essi andavano a incontrarsi in una villa rustica di un’amica di lei in periferia…
Il dolore mi spacca il petto, ma non mi lamento. Tertilla Octavia è stata una seconda madre per me, mi ha dato tutto quello che hanno le altre ragazze più agiate e ha fatto di me una donna, non solo una serva. Ormai ho quattordici anni, sono in grado di badare a me stessa.
Ecco, dunque, come si diceva, la stirpe di Pandora che continua a produrre male. Eppure, sono anch’io di quella stirpe… E non voglio produrre male, non sarà mai che sia una Pandora anch’io! L’ho sempre pensato, le femmine non sono tutte come Pandora, ci sono molti esempi di donne giuste che hanno portato il bene sulla terra.
Mi trasferirò a Ercolano con mia madre, lascerò Roma e tutto quanto mi è doloroso, non vedrò più Decimus che mi ha tradita così facilmente.
Ho chiamato qui a Ercolano un artista che già aveva lavorato per Octavia. Ho voluto che dipingesse sulla parete dell’atrium l’immagine di lei. Voglio averla davanti agli occhi ogni momento e che tutti sappiano che le sono riconoscente e che mi protegge. Indossa una bella stola rossa e ha i capelli piacevolmente acconciati. I suoi occhi scuri, grandi e espressivi, sembrano vivi.
Ho messo anche una maschera con la sua effige sull’altare dei Lari, subito sopra la decorazione azzurra e bianca a mosaico.
Ho dovuto pensare a come mantenermi, ora che non avrò marito. Molte volte ho sentito parlare di erbe medicinali dagli amici di Octavia. Ella aveva anche dei volumen che ne parlavano e, qualche volta, ho letto qualche foglio.
A Ercolano c’è un giovane medico, Granulo, che era molto amico di Octavia; io lo ricordo bene: egli mi aiuterà.
Mia madre piange e si dispera. Perché siamo venuti a vivere a Ercolano? Perché non ho sposato Decimus e siamo fuggite come ladre? Che cosa è mai successo di tanto terribile? Non hanno forse tutti gli uomini avventure prima (e dopo) il matrimonio?
Non riesco a rispondere. Davanti ai miei occhi viene la scena di quel giorno alla bottega di Decimus. Il loro ardore, gli sguardi persi l’uno nell’altra, l’indifferenza che egli mostrava a me, la fretta di vendere la casa di Octavia…
Ero fuori della sua vita, che mai avrei avuto diventando sua moglie? Sarei stata la sua serva ed egli avrebbe passato il suo tempo migliore con un’altra.
Ma Cornelia si sposerà presto, dice la mamma.
Si sposerà, ribatto io, e terrà Decimus per sé. Non è certo donna da non osare.
E dunque che lo tenga. Io non ho paura. Lavorerò. Ho sempre lavorato. Lavorerò per me e per mia madre. Staremo bene.
Granulo mi ha dato alcuni scritti del De agricoltura di Catone che trattano di erbe medicinali. E persino del greco Ippocrate, che prescrive il rimedio vegetale per ogni malattia e la forza risanatrice della natura, e del greco Teofrasto che ha classificato le piante e il loro uso. Metterò una bottega nei locali in basso della casa di Octavia, che ora è mia. Tra l’altro, là c’è un mosaico raffigurante la testa di Oceano, dai delicati colori azzurri e verdi; mi sembra beneaugurante per il mio nuovo
commercio. Noi abiteremo, invece, al primo piano. Per ora cerco di individuare tutto ciò che veramente mi serve.
Ogni giorno viene Granulo a trovarmi e controlla i miei studi.
Da Pozzuoli, dove affluiscono merci da tutto l’impero romano, mi è arrivata una vasta selezione di erbe e altri medicamenti. Granulo, in tutto questo tempo, mi è stato sempre vicino con la sua saggezza e ha anche convinto mia madre ad aiutarmi e a credere in questa nuova attività.
Sono certa che tutto andrà bene. Ogni giorno, rivolgo le mie preghiere a Octavia e mi sento meglio, il mio cuore comincia a sentire una tregua dal dolore che mi aveva attanagliata.
Intanto, piano piano, mi sono resa conto che Granulo ha interesse per me: i suoi occhi mi guardano come faceva Decimus nei primi tempi, qualche volta cerca di fermare il mio sguardo su di lui e di trattenere la mia mano tra le sue. Ma io non posso ricambiarlo: per me, la stagione dei sentimenti è morta per sempre. Così, perché non si faccia illusioni e perché i nostri rapporti non si debbano rovinare un giorno, gli ho raccontato la mia storia: di me, Cornelia, Decimus. Capisci, -ho concluso- perché io non potrò mai più provare qualcosa per un uomo? Lui non ha risposto, ma ha continuato a venire qui, ad aiutarmi nello scegliere le merci da acquistare e ha continuato a mandarmi i clienti. Non mi dispiace certo che la nostra amicizia continui, né che lui venga spesso da me. Ormai che la nostra posizione è chiarita, ormai che lui non si aspetta nulla da me, sono molto contenta di vederlo.
Oggi ho sentito un boato alle ore 13, mi sono tanto spaventata perché non riuscivo a capire che cosa potesse essere successo. Dunque, è vero che gli Dei puniranno le nostre cattive azioni? È dunque arrivato il momento della punizione? È Giove che fa tremare l’aria e tutto quanto per avvisarci del suo furore? E tutti gli uomini e le donne di Ercolano sono ugualmente colpevoli per cui Giove punirà in modo uguale? Sono qui a Ercolano sola e non so che fare. Maledico la mia presunzione che mi ha fatto desiderare di essere qui, sola, per poter fare tutto ciò che voglio, lontana dagli obblighi della mia casa, del mio ruolo sociale, sposa di un uomo di un’importante gens. La servitù non potrà aiutarmi. Sono uscita nel giardino della mia casa e ho visto dappertutto un sottile strato di polveri. Sopra i monti, poi, si alzava una nube mostruosa, simile a un albero, verso il cielo. La gente ha iniziato a fuggire sulla spiaggia, non so se per imbarcarsi e allontanarsi dalla città o trovare riparo nelle rimesse per le barche o nei depositi. Forse, ho pensato, dovrei andare anch’io con loro…
Ma alla fine, non l’ho fatto. Non sarà nulla, ho pensato. Quando mai Giove ha punito il genere umano? Sono tutte fantasie della gente paurosa e io non sono paurosa! Sono rimasta un po’ nel giardino, ma la polvere che continuava a scendere mi infiammava il naso e la gola, non riuscivo più a respirare. Sono rientrata in casa e ho chiuso le porte e le finestre.
Mia madre è andata per qualche giorno a Roma a trovare dei nostri parenti. La notte scorsa ho fatto un sogno: mi trovavo sulla spiaggia di fronte al mare. Prendevo la rincorsa e mi tuffavo nelle onde. È strano, perché so nuotare molto poco e non mi getterei mai in quel modo nell’acqua che, di solito, mi spaventa. Comunque, dopo essermi gettata, il mare sembrava come una tavola morbida sulla quale mi giravo con assoluta tranquillità. Poi, uscivo dall’acqua e mi ci lanciavo di nuovo, e ancora il mare era liscio e io lo sormontavo senza fatica. Poi, giungeva della gente, molta, insieme volevano fare il bagno e, forse, mi impedivano di avere uno spazio per me, per tornare a tuffarmi e a giocare su quell’acqua che non mi faceva paura. Ma io li sfuggivo e mi tuffavo di nuovo, felice e un po’ stupita di essere così brava. Che strano, chissà quale sarà il significato di questo sogno! Oggi sta succedendo qualcosa di anormale e terribile e io sono sola. Pare che finisca il mondo. Abbiamo tutti tanta paura, anche se siamo abituati ai fenomeni della terra che trema. Ogni tanto accade, anzi, so che qualche anno fa, quando io ero a Roma, il tremore è stato più forte e molte case sono state danneggiate! Ma questa volta pare diverso. Sulla cima della montagna, si alza una nube spaventosa che raggiunge il cielo. Non so cosa pensare, ma ho fiducia che gli Dei ci proteggeranno e che non ci capiterà nulla di male. Intanto, Granulo è venuto da me e mi ha detto che dobbiamo fuggire, questo sconvolgimento della terra potrebbe essere ancora più pericoloso di qualsiasi altro precedente. Gli credo, ho fiducia in lui. Tanti stanno fuggendo verso la spiaggia, non so se per imbarcarsi o per trovare rifugio. Granulo non ha voluto imboccare la strada che scende al mare ma mi ha presa per mano e si è avviato in direzione di Roma. Siamo passati così davanti alla casa di Cornelia. Lei era nel giardino piegata in due e tossiva. Non c’era ombra di servi o schiavi all’intorno. Mi sono avvicinata -Sei sola? – le ho chiesto sottovoce. -Sì- ha risposto pianissimo lei con la testa bassa. Cornelia non appariva la donna solita, forte e sicura, ma era timida e timorosa. L’ho presa per mano ed è venuta con noi. La strada scelta da Granulo si dispiega un po’ all’interno rispetto alla costa e va verso il nord. Dopo molto cammino, è scesa la sera, il sentiero si è fatto assai disagevole, ma riparato dalle ceneri che scendevano su Ercolano e che ci hanno accompagnati per un tratto di strada. L’aria là era pulita. Solo si sentivano degli orribili boati in lontananza. Così ci siamo riposati un po’. Ci siamo seduti sull’erba tutti e tre. Forse, ora lei mi porterà via Granulo, – ho pensato – ora che sento di avere per lui un affetto profondo. Già, in questo momento di angoscia, ho capito che per me lui è molto importante, forse un sentimento d’amore potrebbe crescere ancora nel mio cuore. E invece, tutta la mia vita crollerà di nuovo, proprio come è stato allora. Appena Cornelia si sarà ripresa dalla fatica e dalla paura, tornerà a essere la donna affascinante di sempre, pronta a tendere la mano per prendere ciò che vuole. Pazienza, non avrei potuto abbandonarla da sola nel suo giardino in quello stato. Non voglio essere una donna che distrugge ma una donna che crea, che aiuta, che porta il bene.
Infine, siamo arrivati a Roma con tanta fatica, chiedendo ogni tanto aiuto a qualche carrettiere di passaggio. Ho il corpo distrutto da giorni di cammino quasi continuo, con poco cibo raccattato qua e là. Ogni tanto ci fermavamo da qualche parte a riposare, una o due volte in qualche locanda, più volte sugli spiazzi erbosi che trovavamo lungo la nostra via. Ma Granulo, l’amico di Primilla, voleva soprattutto allontanarsi più in fretta possibile e ci ha fatte camminare quasi continuamente i primi due giorni. Poi, il ritmo è un po’ rallentato, ma le mie gambe mi sembravano di legno. I miei calcei erano andati in pezzi e io e Cornelia abbiamo indossato le solae15 che ci ha comprato Granulo durante il durissimo viaggio. Abbiamo poi saputo che la pioggia di cenere è diventata lava e ha ricoperto la città di Ercolano. Tutto è andato perduto e chi era rimasto là, è morto. Anche chi era fuggito sulla spiaggia non è riuscito a scampare alla tragedia. Primilla e Granulo mi hanno salvata, che avrei fatto altrimenti? Ma a Roma mi hanno accompagnata al mio palazzo e subito se ne sono andati. Non li ho più visti.
Granulo, dopo aver lasciato Cornelia presso la sua splendida villa, mi ha accompagnata a casa di certi suoi parenti. Poi lui se n’è andato. Forse rivedrà Cornelia, forse si sarà innamorato di lei durante il viaggio… Certo lei è molto bella, sa parlare meglio di me, sa vestirsi in modo ammaliante. Intanto, io ho rintracciato mia madre e abbiamo pianto al pensiero del tremendo pericolo scampato! Tutti i nostri parenti ci abbracciavano, ci stringevano, eravamo come gli scampati a un tremendo naufragio.
Poi Granulo è tornato.
L’ho guardato con sorpresa: -Sei qui?
-E perché, dove dovrei essere? – mi ha risposto con il sorriso negli occhi –Cosa credevi? Che il mio affetto fosse qualcosa di temporaneo da bruciare al primo soffio di vento? Che solo per aver visto un’altra donna avrei cambiato idea su di te? Cornelia non la vedremo mai più, né io né tu. Le abbiamo salvato la vita e non è necessario che andiamo a riscuotere i suoi ringraziamenti. L’abbiamo fatto perché era giusto così e non per avere un premio qualsiasi. Ma io e te ci vedremo ancora, e molto! Se vuoi, passeremo la nostra esistenza insieme, ricominceremo tutto da capo, qui a Roma. Tu potrai aprirti una tua bottega e io farò il medico. L’amore è anche condivisione di quello che ci piace, che facciamo, l’amore è stima dell’altro, e so che noi abbiamo tutte queste cose. E poi tu sei una ragazza bellissima, e coraggiosa e buona. Da quando hai deciso di salvare Cornelia ti voglio ancora più bene. Ma, d’altra parte, tu non avresti potuto mai fare diversamente… Pandora è una storia che non ti appartiene. Ti prego, fidati di me, non rispondermi di no, sii la madre dei miei figli e la nostra vita sarà piacevole e felice. Sappi, però, che anche se non mi vorrai, ti rimarrò sempre vicino come amico.
-No, dal dolore che ho provato quando ho creduto di averti perduto, ho capito di provare qualcosa per te. Sarò tua moglie, crescerò i tuoi figli, avrò sempre fiducia in te. –
Ed è finalmente un abbraccio a sciogliere tutta la tensione di quegli ultimi giorni.
1 I volumina vengono prodotti in più esemplari, generalmente da schiavi specializzati. È documentata una fiorente industria capace di realizzare migliaia di copie di un’opera, come ci informa Plinio, affermando anche che alcuni autori sono letti in ogni parte del mondo. Un nuovo libro uscito è subito rintracciabile nelle librerie, luoghi di piacevoli incontri tra letterati, e viene pubblicizzato in forma di estratti o pubblicando l’indice e il piano dell’opera. La carata di papiro è il supporto più diffuso per i libri; a Roma è molto comune e poco costosa.
2 Salsa mille usi, piccante, dal forte profumo, che i Romani aggiungevano a tutto: alle minestre, alle verdure, ai secondi piatti, ai dolci. La ricetta, secondo Marziale: “Si usino pesci grassi come sardine e sgombri cui vanno aggiunti, in porzione di 1/3, interiora di pesci vari. Bisogna avere a disposizione una vasca ben impeciata, della capacità di una trentina di litri. Sul fondo della stessa vasca fare un altro strato di erbe aromatiche disseccate e dal sapore forte come aneto, coriandolo, finocchio, sedano, menta, pepe, zafferano, origano. Su questo fondo disporre le interiora e i pesci piccoli interi, mentre quelli più grossi vanno tagliati a pezzetti. Sopra si stende uno strato di sale alto due dita. Ripetere gli strati fino all’orlo del recipiente. Lasciare riposare al sale per sette giorni. Per altri giorni mescolare di sovente. Alla fine, si ottiene un liquido piuttosto denso che è appunto il garum. Esso si conserverà a lungo”.
3 Portico a colonne sul quale si affacciano le principali stanze di soggiorno.
4 Altarino dedicato ai Lari, protettori della casa e del focolare dove si trovavano le maschere in cera degli antenati. I Lari erano defunti benevoli ai quali si facevano piccole e grandi offerte, come, ad esempio, le briciole del cibo caduto a terra durante i pasti e si dedicavano le feste in cui a un pasto comune partecipavano le loro maschere di cera. I Penati sono divinità protettrici della famiglia e del focolare domestico; il nome deriva dal Penus, la parte più intima della casa e la dispensa dove si riponevano le vettovaglie. Ogni famiglia aveva i propri Penati, i quali venivano trasmessi in eredità alla stregua dei beni patrimoniali. Il sacrificio ai Penati poteva avere cadenza quotidiana o occasionale.
5 Stanza da letto riscaldate da fornelli e bracieri.
6 Mantella di lana pesante.
7 I tre letti del triclino, sistemati attorno ad una tavola quadrata o rotonda, erano chiamati, da destra a sinistra, summus, medius e imus. Il convitato era sdraiato di sbieco, rivolto verso la tavola e con il gomito sinistro appoggiato a un cuscino, il piatto era sorretto con la mano sinistra e il cibo si prendeva con le dita.
8 Il “gustatio”, vero e proprio antipasto, veniva offerto dagli antichi Romani all’inizio della cena. Queste vivande erano chiamate da Cicerone “promulsis”, in relazione al fatto che all’inizio dei conviti c’era l’usanza di bere il mulsum, ossia il vino mielato. Gli antipasti erano rappresentati da cibi appetitosi e stimolanti, specialmente ortaggi, accompagnati da salse acri e piccanti. Sin dai quei tempi, si era capito che se il convivio era aperto con insalate miste di vegetali crudi, questi aiutavano il sistema digestivo a ricevere gli altri alimenti. Secondo Cicerone, gli antipasti si potevano chiudere anche con salsiccia, ostriche e ricci di mare, comunque piatto di rito era l’uovo servito sodo.
9 L’abito maschile consisteva nella tunica, una sorta di camicia, e in una specie di mantello, la toga, che veniva indossata sopra la tunica. La toga era il tipico indumento romano. Ciò che la contraddistingueva era la sua ampiezza: infatti, era lunga tre volte e larga due, rispetto all’altezza di chi la metteva. La toga veniva indossata, piegata orizzontalmente nel mezzo, formando così delle spesse pieghe di stoffa. Veniva appoggiata sulla spalla sinistra, cosicché un terzo della lunghezza cadesse morbidamente sul davanti. Il resto dell’indumento attraversava diametralmente la schiena e arrivava a coprire la spalla destra, per essere posata sul polso destro ed avvolgere la spalla sinistra. L’angolo, che si veniva così a creare, si riduceva, fermando la toga sul petto, e lasciandola ricadere in un insieme di pieghe, spesso usate come delle tasche, chiamate sinus. Quando il clima era un po’ rigido, i romani indossavano la paenula, una mantella di lana pesante o di pelle sottile. Nella maggior parte dei casi, la paenula era chiusa, eccettuata l’apertura per la testa, posta più o meno al centro. Quindi, la stoffa, che ricadeva sulle braccia, veniva ripiegata, per consentire dei movimenti più liberi. Di norma, la paenula aveva un cappuccio, cucito sul retro. La tunica era una sottoveste ed era indossata come la veste da casa. Consisteva in un’ampia camicia, lunga fino alle ginocchia. Le maniche, quando c’erano, erano molto ampie in prossimità della spalla, e si restringevano, coprendo le braccia fino ai gomiti. Col passare del tempo, la tunica divenne lunga fino ai piedi, di lana, cotone, lino o seta. In questo caso veniva chiamata tunica talare: il tipico abito maschile da matrimonio.
10 Il vero pittore dei quadri figurati centrali delle pareti 11 Ampio mantello 12 Scarpe di cuoio che racchiudevano tutto il piede e arrivavano fino al polpaccio, sul tipo dei moderni stivaletti.
11 Ampio mantello.
12 Scarpe di cuoio che racchiudevano tutto il piede e arrivavano fino al polpaccio, sul tipo dei moderni stivaletti.
13 Termine latino positivo che indicava indica le occupazione intellettuali riservate alle classi dominanti contrapposto al concetto di negotium che era occuparsi dei propri affari.
14 Figlio di Pan, il dio silvestre, e di una ninfa, aveva l’aspetto di anziano corpulento, calvo e peloso, molto simile ai satiri.
15 Sandali.
Renata Rusca Zargar è autrice del libro “I numeri del destino e dell’amore”
Fin dai tempi più antichi, l’uomo ha cercato di sfruttare le vibrazioni dei numeri (del proprio nome, della data di nascita, dei periodi della vita ecc.) per vivere meglio e gestire a proprio vantaggio le energie presenti nell’Universo. Con questo semplice Manuale il lettore potrà fare tutto da solo: cambiare il proprio nome in numeri, comprendere il proprio numero del destino come pure i diversi periodi della vita. Così, potrà conoscere meglio sé stesso e agire sempre in modo favorevole ai propri interessi e sentimenti. Potrà capire se il partner sia quello giusto, come pure gli amici, i colleghi ecc. Soprattutto imparerà a muoversi nei momenti più opportuni per avere successo nella vita. Potrà fare la cosa giusta al momento giusto e trovarsi nel posto giusto con la persona più adatta. La Numerologia non prevede nulla ma ci aiuta ad affermarci e ad avere fortuna nella vita. Copertina a cura di Zarina Zargar.
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Chi è Renata Rusca Zargar
Savonese, impegnata in ambito sociale, studiosa di cultura islamica e indiana, insegnante in quiescenza, ha pubblicato diversi saggi e romanzi anche con il marito Zahoor Ahmad Zargar.
Tra gli ultimi nati c’è una raccolta di lavori delle signore anziane che hanno seguito i suoi corsi gratuiti di Lettura e Scrittura Creativa: “Leggere e scrivere …per divertimento, raccolta di racconti, poesie, disegni, calligrammi dei Corsi di Lettura e Scrittura Creativa”, pubblicato da Amazon.
Si occupa della Biblioteca di volontariato Libromondo e, prima del Covid, portava i libri in prestito nelle Scuole. Cura un blog di cultura, ecologia e società Senzafine: Arte, Cultura e Società di Renata Rusca Zargar link