venerdì , Novembre 22 2024

“I gemelli Oddone” di Francesca Mairani

I gemelli Oddone

di Francesca Mairani

Racconto vincitore ex aequo del concorso per racconti organizzato da zoomma.news “C come Circo”

Il direttore del circo attendeva il curatore e il cancelliere del tribunale in piedi vicino al tendone. Quando furono abbastanza vicini, fece loro segno di entrare nel suo carrozzone, che fungeva anche da ufficio. Era un uomo anziano, piccolo di statura, sul viso un’espressione rassegnata e serena. Mentre i funzionari si accomodavano, tolse alcuni registri da un armadio e li depositò sulla scrivania, rispondendo con garbo e precisione a tutte le domande. I libri contabili erano aggiornati, disse, forse non proprio ordinati, ma qualsiasi documento mancasse avrebbe cercato di procurarlo al più presto. Dopo una sommaria verifica, venne deciso che il cancelliere si sarebbe occupato di inventariare veicoli e attrezzature e il curatore sarebbe rimasto nel carrozzone a ispezionare le scritture contabili.

Il direttore non sembrò infastidito dalla presenza dell’estraneo, anzi gli chiese se gradisse una tazza di tè. Alla risposta affermativa, si avvicinò a un vecchio bollitore elettrico e girò la manopola.

– Avevamo tante attrazioni, sa, avvocato. Alcune famose in tutta Italia. C’erano i fratelli Menduzo da Siviglia, abilissimi trapezisti, che poi fratelli non erano e venivano da Ivrea, non dalla Spagna. Il più giovane di loro, Alberto, detto Josè, si presentava con un mantello rosso sulle spalle, e a ogni esercizio gridava olè, come fosse un torero. Avevamo un lanciatore di coltelli. Guardi qui, avvocato, una foto proprio alle sue spalle. Pensi che aveva iniziato giovanissimo: era poco più di un ragazzo e già tirava le scuri contro gli alberi. Passò ai coltelli perché erano più spettacolari, con la moglie a fargli da bersaglio; la gente tratteneva il fiato a ogni tiro, ma lui non ha mai commesso un errore. Il segreto, diceva, era far fare alla lama solo un mezzo giro, non come nei film orientali. I coltelli andavano a piantarsi dove lui voleva: non un centimetro più a destra, non un centimetro più a sinistra. Il clown Gaslini, chi se lo dimentica! Si faceva chiamare Gas Gas e si presentava in pista su una macchinina a pedali. Sembrava uno sciocco, invece era un poeta, un poeta della comicità. Infine i gemelli siamesi. La gente faceva la fila per vederli e non solo per la loro rarità. Erano due ragazzi di una bellezza travolgente: alti, snelli, con un viso angelico identico in ogni particolare. Sembravano Narciso che si specchia nell’acqua. L’uno sorrideva all’altro e il pubblico rimaneva senza fiato. Uomini e donne, senza distinzione. –

Il curatore fallimentare si era tolto gli occhiali e fissava i ritratti sulle pareti. I trapezisti, i clown, una domatrice con un costume che le lasciava scoperte le gambe, due leoni in una gabbia che guardavano l’obiettivo con noia regale.

– Anche dei gemelli conserva una fotografia? –

Il direttore annuì compiaciuto. Aprì un cassetto della scrivania e ne trasse un album di pelle nera dagli angoli consumati. Lo sfogliò fino a indicare con il dito magro una foto in bianco e nero.

Due ragazzi abbracciati, vestiti con ricercata eleganza, sorridevano da un’epoca lontana. Uno aveva lo sguardo sfacciato, l’altro l’espressione sorniona; un ciuffo di capelli scuri si appoggiava sulla sua fronte e questa era l’unica differenza fra i due volti.

– I gemelli Oddone: Manlio e Adamo. Manlio è quello a sinistra. Era il più furbo dei due, aveva sempre la risposta pronta e sapeva togliersi d’impaccio in ogni situazione. Adamo invece era più riflessivo. Una specie di intellettuale: quando non si esibiva leggeva di continuo. Riusciva a estraniarsi e a concentrarsi in un mondo tutto suo, come facesse, Dio solo lo sa! A volte capitava che qualcuno andasse a trovarli nel loro carrozzone, Manlio chiacchierava con l’ospite e Adamo se ne stava silenzioso a leggere. Quando il visitatore usciva, Manlio gli riferiva la conversazione del pomeriggio. Vivevano in simbiosi, ma coltivavano le loro individualità. E poi si amavano. Non ho mai conosciuto due esseri tanto legati, neppure nelle coppie più affiatate, e guardi che di storie d’amore, nel circo, ne nascono tante! –

Il curatore aggiustò gli occhiali sul naso per mettere a fuoco la fotografia.

– Se nascessero adesso non sarebbero fenomeni da baraccone, i medici saprebbero come intervenire. –

– Ma anche allora, avvocato. I gemelli Oddone avrebbero potuto essere separati, non avevano organi vitali in comune, solo una spessa striscia di muscolo e cartilagine che correva dall’ascella al fianco. Magari sarebbe rimasta una brutta cicatrice, ma ci avrebbero fatto l’abitudine. –

– Perché non lo fecero? Avevano la possibilità di vivere vite normali, farsi una famiglia, trovare un lavoro e, senza offesa, abitare in un posto diverso dal carrozzone di un circo. –

Il direttore sorrise.

– Lo so che per chi non la conosce, la vita del circense può apparire strana. Tutto quel viaggiare, senza mai appartenere del tutto a nessun luogo. Ma le assicuro che ha anche i suoi vantaggi. Da noi non ci si annoia mai, e se mancano le radici, si supplisce con l’avventura, o almeno un tempo era così. A ogni modo, Manlio e Adamo non si vollero separare perché amavano la loro vita. Non gli mancava niente. Neanche le donne, se è per questo. Quante ragazze ho visto intrufolarsi nel loro carrozzone, alla fine dello spettacolo. Risate e gemiti potevano andare avanti tutta la notte, e al mattino i gemelli erano freschi come rose. Una sera vidi entrare quattro fanciulle. E sa cosa le dico? Sommetto che nessuna di loro è andata a casa scontenta. –

Il curatore ascoltava affascinato. Come erano diversi, quei racconti, dai registri contabili e dalle verifiche fiscali a cui era abituato.

– Che ne è stato dei gemelli siamesi? –

– Morti entrambi, avvocato. In un modo che… non so, mi fa ancora effetto pensarci. Lo racconto a lei perché è un uomo intelligente e nel suo lavoro chissà quante ne ha viste, ma di solito non mi piace parlarne, anche perché non so se il circo potrebbe avere qualche conseguenza. Adamo aveva fatto amicizia con il domatore di cavalli. Si chiamava Bastiano, era di origine abruzzese. Un uomo riservato, quasi scontroso. Era semi analfabeta, ma la lunga vicinanza con gli animali lo aveva reso esperto. Sapeva curarli quando si ammalavano, suturare le loro ferite, fare iniezioni e salassi, e altre cose che non è bene precisare. Manlio cominciò a stare male una sera d’estate. Avevamo appena finito lo spettacolo e stavamo rigovernando il tendone, quando lui chiese ad Adamo di rientrare. Non si sentiva in forma e aveva bisogno di riposare. Quella notte sentimmo strani suoni provenire dal carrozzone dei gemelli, voci concitate, silenzi prolungati. La mattina dopo Bastiano fu visto entrare e uscire a diverse riprese; non disse nulla, come era sua abitudine, ma noi capimmo che qualcosa di grave era successo.

I gemelli continuarono a esibirsi, ma niente fu più come prima. Il crollo fisico di Manlio fu sempre più evidente: dimagrì e la pelle del viso divenne prima pallida e poi grigiastra. Le occhiaie si fecero profonde, tanto che prima dello spettacolo era costretto a truccarsi. Bastiano andava spesso nel loro carrozzone la notte, e ne usciva con catini pieni di un liquido che rovesciava sull’erba. Manlio vomitava sangue, e per stare dritto doveva sorreggersi al fratello. Non erano più i meravigliosi gemelli Oddone, sembravano piuttosto un uomo a cui avessero saldato accanto il suo spettro. Adamo, pur mantenendo la salute fisica aveva perso quella mentale. Guardava il fratello con disperazione, lo teneva stretto a sé e gli accarezzava i capelli, ormai sempre più radi. Bastiano era il loro angelo custode, erano più le notti che trascorreva nel loro carrozzone che accanto alla moglie.

La sera in cui Manlio morì, la ricordo come fosse adesso. Bastiano mi venne a chiamare perché, essendo il direttore, a me spettavano le responsabilità. Corsi al carrozzone e trovai i gemelli sdraiati a letto, coperti da un lenzuolo sottile, Manlio riverso con le dita rattrappite e la bocca semiaperta, Adamo singhiozzante. Bastiano mi disse che avrebbe pensato a tutto lui e a me sarebbe stato risparmiato ogni impiccio, solo dovevo avvisare gli altri artisti: di questa cosa non si sarebbe fatta parola con nessuno. Tutti amavano i gemelli e stimavano Bastiano: non vi furono obiezioni.

Avvocato, io lo so che commisi un reato. Avrei dovuto chiamare un medico, la polizia, denunciare il decesso alle autorità. Ma il circo, vede, è una famiglia, e nelle famiglie si fa prima di tutto quello che è giusto, poi quello che è legale. Rassicurai Bastiano: tutto si sarebbe svolto come loro desideravano, né io né gli altri avremmo sollevato problemi. Quella notte rimanemmo ciascuno nel suo carrozzone, come per un tacito patto. Non vi fu musica, né parole, ciascuno affrontò da solo la sua veglia funebre.

Il mattino Adamo uscì dal carrozzone e tutti lo abbracciammo. Non uno di noi chiese che fine avesse fatto Manlio. Non era importante, lui continuava a essere con noi, in qualche modo.

Adamo, perso il fratello, non poté più esibirsi. Rimase a lavorare come inserviente, spesso aiutando Bastiano ad addestrare i cavalli o a provvedere alla loro pulizia. La notte si ritirava nel suo carrozzone e non usciva che la mattina dopo. Non vi furono più visite femminili, neppure saltuarie.

– Poi morì anche lui –

– Sì. Fu Leonardo, il figlio di Bastiano, ad accorgersene. Bastiano e la moglie erano tornati in Abruzzo; avevano proposto ad Adamo di andare con loro, ma lui si era rifiutato. Il circo era la sua vita: dove era iniziata, voleva che terminasse. Così Leonardo prese il posto del padre come domatore, e nell’eredità trovò compreso anche Adamo. Era un buon figlio, non si lamentò mai di questo incarico. La sera gli portava la cena, per lo più verdure bollite e un po’ di pane, al mattino lo svegliava con il caffè. Quel giorno mi venne a chiamare molto presto, mi disse che Adamo era morto nel sonno e aveva bisogno di sapere cosa si dovesse fare. Andai insieme a lui e… mio dio… non potrò dimenticare quello che vidi. Adamo era nel letto, il viso rugoso, l’espressione di beatitudine. Stringeva a sé un fagotto avvolto nella stoffa. Ci bastò sollevarne un paio di strati, per capire di cosa si trattasse. Il corpo di Manlio era come prosciugato, indurito, ma era lui, non esisteva dubbio. Adamo aveva trascorso ogni notte accanto a suo fratello, non aveva permesso neanche alla morte di separarli.

– A quel punto che fece? –

– Insieme a Leonardo prendemmo i due cadaveri e li seppellimmo, uniti come avevano voluto vivere. Dividemmo i loro pochi averi fra gli altri del circo e trasformammo il carrozzone in un magazzino comune. Leonardo tenne i libri di Adamo e li consegnò a Bastiano, quando venne a trovarlo. Anche se non sapeva leggere, sembrò a tutti la cosa più giusta. –

Il curatore si tolse gli occhiali e ne nettò le lenti con il lembo della giacca, più e più volte.

– Nessuno venne mai a cercarli? –

– Qualche anno più tardi passarono i carabinieri. Dicemmo loro che i gemelli Oddone aveva lasciato il circo da tempo e che non avevamo saputo più nulla di loro. Il circo è un porto di mare in cui si viene e si va, spiegai loro, e non era nostra abitudine fare domande. Ai carabinieri sembrò bastare, forse non avevano neanche loro tutta quella fretta di ritrovarli. –

Il direttore terminò il suo racconto e si fermò a fissare il vuoto. I gemelli Oddone dovettero passare più e più volte davanti ai suoi ricordi, perché sorrise di un sorriso pieno di malinconia.

Si sentì un bussare veloce, poi il cancelliere entrò nel carrozzone.

– Io ho finito, fuori. Avvocato, se è a posto anche lei, possiamo tornare in tribunale. –

Il curatore fece cenno di sì con la testa. Rivolse un ultimo sguardo alle fotografie appese alla parete poi strinse la mano al direttore.

– I registri sono in ordine. Grazie per il tè. –

 

Chi è Francesca Mairani

Sono nata a Bologna nel 1968 e vivo a Montescudo con due figli e un terrier di nome Stella. Coltivo sin da bambina la passione per la parola scritta e le storie narrate, e a furia di leggere, mi sono messa in testa di provare a scrivere. Ho partecipato a concorsi letterari e pubblicato racconti su riviste online. Nel febbraio del 2019 è uscito, per la casa editrice Scatole Parlanti, il mio primo romanzo “Volver – un tango un quadro una fuga”.

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