QUATTROCENTO CANZONI
di Paolo Pisi
Racconto tratto dal libro”Il meccanico di Nuvolari ed altri personaggi di genio”, Ed. Gilgamesh, 2019
Quanto dura un amore?
Il mio è durato quattrocento canzoni. A gruppi di cento.
Inizia per gioco, per sentirsi adolescenti. Perché gli amori sono tutti adolescenti.
E poi mancano sempre le parole, o ci si vergogna di quelle che vengono spontanee. Anche se non c’è più niente di spontaneo, intasati come siamo da pensieri altrui, frasi che abbiamo sentito, memorizzato più o meno inconsciamente e maltrattato canticchiando. In realtà siamo incapaci di costruire poesie originali e anche se ci riuscissimo le troveremmo stupide, banali, grottesche e inadeguate.
E allora tanto vale andare sul sicuro, in modo da poter sempre avere un alibi, una scappatoia. Una via di uscita onorevole.
Quattrocento canzoni.
Da scambiarsi, da linkarsi.
Ascolta questa… E tu quest’altra…
Le prime cento servono per studiarsi, per annusarsi, per vedere se ci sono affinità. E sono timide. Sono sassi a forma di dischi lanciati sull’acqua ritirando velocemente il braccio e contando di nascosto il numero di rimbalzi che fanno sulla superficie prima di scendere in profondità.
Le seconde cento servono per prendere coraggio e coscienza, per lasciarsi travolgere dall’entusiasmo, per vincere le ritrosie; più di se stessi che dell’altro. Sono dischi a forma di sassi lanciati restando questa volta in piena vista, contando i cerchi che hanno fatto, scrutando quanto grandi possono diventare i diametri che si formano e per quanto tempo lasciano una traccia prima di scomparire in superficie dopo essere scesi in profondità.
Le terze cento sono il fuoco artificiale, quella cosa che si vede e si sente, che fa meraviglia e fa spavento, ma che si resta incantati ad ammirare fin quando lo spettacolo finisce. Sul più bello. Lasciandoti così. A mani vuote e cuore spento.
Le quarte cento, quelle della fine, sono tutti i perché lasciati da parte o che pensavi non potessero esistere. Raccolte in fretta e furia, riempite con quelle che erano state lasciate fuori nelle centinaia precedenti o con quelle che non ascolti neppure prima ma che butti dentro solo perché ti sembra di ricordare che parlino di amori finiti e traditi. Una misera raccolta postuma che vuoi solo finire ed editare alla svelta.
E’ un gioco di cuore e cervello. Golia e Davide. E chi è più forte, il cuore, non vince mai.
Quanto dura quel film chiamato amore con quattrocento canzoni a fare da colonna sonora?
Facciamo mille giorni? Mille minuti? Mille anni?
Ma quattrocento canzoni reali durano giusto ventiquattro ore, se le ascolti tutte in fila.
Un giorno.
Una vita.
Nasce, vive e muore in un giorno.
Come una farfalla.
Allora l’amore è una farfalla, ma certo! All’inizio non ha forma, poi diventa bruco e all’inizio del giorno impara a volare. E durante quel giorno diventa bellissima, si riempie di colori vistosi e caldi, così belli che chi li incontra si ferma ad ammirarli. Colori simmetrici nelle ali, perché chi si ama è uguale e simmetrico all’altro, con una cucitura che tiene insieme e fa danzare le due ali esattamente nello stesso momento e con la stessa grazia, per poter volare insieme. Due persone, una farfalla, due metà perfette.
Ma una farfalla è fragile e se ci prendi contro ti lascia qualche traccia bianca sulle mani. E se a metà del giorno è come se volesse donare la stessa magia, già alla sera è segno che la farfalla si perde e comincia a lasciare brandelli di se stessa su qualcun altro, fino a quando, con fatica ed orrore, diventa polvere e scompare.
E lascia subito rimpianti su una metà, quella che avrebbe voluto continuare a volare; lascia giorni bui attendendo una nuova nascita che si fatica ad immaginare. E sentire una di quelle quattrocento canzoni farà male, fermerà il respiro e scompaginerà un battito del cuore per ricordare il tempo del volo e della musica. Poi si guarirà. Quella canzone diventerà un ricordo o si dimenticherà.
Ma lascerà rimorsi tardivi sull’altra metà. Fino a che un giorno sentire una di quelle quattrocento canzoni farà male, fermerà il respiro e scompaginerà un battito del cuore per ricordare il tempo del volo e della musica. Quella canzone tornerà un ricordo e non è detto che si dimenticherà.
Il ricordo di quel giorno che è durato tutta una vita. A girare per il mondo, a stupire e a farsi stupire. Coi momenti di gioia e quelli di dolore, di felicità e di rabbia, come avviene durante una vita.
Come quando si vaga nelle zone del porto di Genova, dove un attimo sei in un vicolo stretto e inquietante, con l’odore di urina e di immondizia che ti soffoca, e un attimo dopo, a un metro di distanza, ti trovi senza parole in una piazzetta a contemplare un palazzo dei D’Oria, con i marmi a strisce orizzontali, i fregi a forma di leone e di putti, gli intarsi d’oro e i giardini pensili come a Babilonia che ti fermano nuovamente il respiro. E di nuovo un vicolo stretto, che ti rallenta e fa un po’ paura. E finire a mangiare su una terrazza che guarda il mare, con la luna che compare in fondo al cielo ancora chiaro e comincia a far tremolare la sua immagine sulle piccole onde.
Con lo scendere del sole aumenta la meraviglia.
Ma se arrivano nuvole la notte è solo buio. E quella luna ormai non può incantare più.
Eppure non è giusto che le due vecchie metà, ormai imperfette, siano prede di rimorsi o di rimpianti: i ricordi restano ricordi, le canzoni tornano canzoni.
Gli amori, come le farfalle, muoiono. Senza colpe e senza condanne. Succede.
A volte ci si trova senza neppure essersi scelti, col cuore che decide da solo contro il raziocinio del cervello.
A volte poi ci si perde e anche a cercarsi mille anni non ci si incontra più.
E sarà il cervello a consolare il cuore. Con ragioni vere ma incomprensibili.
Quattrocento canzoni.
Per dirsi “sei bella”, per dirsi “ti amo”, per dirsi “ho paura”, per dirsi “è finita”.
Quattrocento canzoni.
Mille parole.
Un giorno. Una farfalla. Una vita. Un amore.
Note biografiche sull’autore:
Paolo Pisi nasce a Mantova il 1° febbraio 1964.
Si laurea in Medicina e Chirurgia, si specializza in Medicina Legale e si perfeziona in Bioetica.
E’ docente a contratto all’Università degli Studi di Milano, Facoltà di Medicina e Chirurgia.
Fin dall’adolescenza milita in band musicali locali come cantante e tastierista, componendo un centinaio di canzoni.
Inizia poi recentemente a scrivere racconti, a volte traendo ispirazione da una sua canzone.
Nel 2018 il suo racconto “Il meccanico di Nuvolari” vince il Premio Letterario Cesare Pavese, sezione Narrativa inedita – medici scrittori, a S. Stefano Belbo (CN).
Con la band in cui suona inizia a portare in tour in biblioteche, circoli di lettura, circoli culturali, ma anche nelle piazze il reading “Canzoni e racconti: dalle canzoni nascono racconti, dai racconti nascono canzoni”, in cui vengono letti i racconti e suonate live le canzoni che hanno dato origine al racconto stesso.
Nell’aprile 2019 viene pubblicata la sua prima raccolta di racconti “Il meccanico di Nuvolari e altri personaggi di genio” (Gilgamesh Edizioni, ISBN 9788868673741), una seconda edizione del libro è stata pubblicata nel settembre 2019.
Nel 2019 il suo racconto “Oncologici anonimi” vince il Premio Letterario Flaminio Musa a Parma.
Altri riconoscimenti: 8° premio al concorso Yowras 88.88 con il racconto “Il pugile” (2020), menzione di merito al Premio Serpe d’oro con il racconto “Rock’n’roll Band” (2019), finalista al Premio Cronin con la poesia “Il pugile” (2017).
Nel 2020 sta allestendo il nuovo reading “La musica delle parole”, con nuovi racconti e nuove canzoni, sempre accompagnato dalla sua band.