Come un dio
Stavamo discutendo. Non è la prima volta.
Come sempre, mi ha inchiodato. Ha questa terrificante, stupefacente, capacità di bloccarmi.
È Anubi reincarnato, ormai l’ho capito.
Come il Dio dell’aldilà egizio, è la detentrice del mio destino e pesa le mie azioni. Con calma, prende la zampa destra, e ci mette un chiodino, poi l’altra, e infine le ultime due.
Spalancato, sveglio e alle strette, sono un rospo in un tavolo di compensato, mi viviseziona.
Ad occhi spalancati seguo la lama lucente che penetra la pelle.
Estrae con sguardo concentrato il cuore, e lo posiziona sul bilancino che deciderà il mio futuro: andrò in paradiso o sarò condannato alle fiamme eterne?
Quando la conobbi aveva occhi da cerbiatta e cuore tenero, in due anni si è trasformata.
O forse l’ho fatto io, o il nostro rapporto, non so.
Penso di amarla, ma mi sconcerta la sua precisione: ogni cosa che dico, ogni sentimento che mostro, ogni gesto, ogni interruzione, ogni interpunzione, viene minuziosamente memorizzata per poi venire riutilizzata quando serve.
Sono un uomo, sapete come si dice? Datemi una palla, una birra ed una donna che ride, e sono al settimo cielo.
Invece, con lei, mi sento come il bruco del finocchio: mi racchiudo in un bozzolo e ogni filo è una sbarra che mi preclude la libertà.
Passano giorni tranquilli, e io ripenso a quella sensazione.
Ogni volta, quasi la dimentico, come se in me fosse in funzione l’ormone della dimenticanza delle madri.
La tribolazione diventa uno sbiadito ricordo, e al suo posto solo il pensiero dei bei momenti trascorsi.
Ogni volta penso che non succederà più, ma io sbaglio di natura, e lei è precisa, sempre.
E arriva un’altra frase sbagliata che scatena il diluvio universale, il terremoto del secolo, il big-one, l’apocalisse.
Parla con calma di un comportamento che non avrei dovuto tenere “io non avrei fatto così” dice, e comincia ad eviscerare parola per parola. Ma come fa a ricordarsi tutto? È un robot, un automa, cosa? Io ricordo a stento ciò che ho fatto un’ora fa.
Per provare a venirne fuori, dico un’altra cosa, sbagliata, e così sprofondo sempre più nell’abisso.
Come la profetica merda che più la mescoli e più puzza, non faccio altro che peggiorare, correggendomi, giustificandomi.
Sono così preoccupato che parlo a casaccio, mi intreccio, balbetto.
Non urla.
No.
Mi guarda coi meravigliosi occhi neri memorizzando.
Infine, dopo i miei farfugliamenti, ricomincia a ricomporre il mosaico del giusto fraseggio, la sintassi perfetta.
È talmente impegnata a correggere e ripristinare il giusto ordine delle cose, dal suo punto di vista, che non si accorge del cielo che in questo momento si sta tingendo di rosa.
O delle rondini, e del loro chiacchiericcio sopra le nostre teste.
O del profumo di mare, che viene da poco distante. Non ascolto più.
Mi passano immagini davanti agli occhi: quando mi sono dimenticato di aprire la portiera della macchina con conseguente litigio.
Bronci a cui tutt’ora non so dare spiegazioni. Discussioni di ore su assurdità.
Non sono più io: sono un rospo, un bruco, un’anima dell’oltretomba, un fantoccio.
Chiudo gli occhi e mi perdo nel profumo, nella puzza, nella brezza, nel rumore lontano di onde che si infrangono sugli scogli.
Qualcosa si rompe: sono i fili di seta che racchiudono il mio corpo.
Il bozzolo si sta sfaldando.
Filo per filo, cede e compare un pezzetto di me, quello vero.
Ogni filo ha un nome: il primo che si rompe è ‘amore’: no, non l’amo più.
Subito dopo cede ‘sesso’: non sono più spontaneo neanche in quei momenti, ed ho cominciato ad avere problemi di erezione.
– Steng – e muore ‘intesa’. Infine, si stacca ‘pazienza’.
Sono libero, nuovo, bellissimo. Sono una farfalla, anzi, un farfallone.
Lei sta dicendo “Voglio capire perché! Perché lo hai detto? Che cosa intendevi? Perché se volevi dire…”
La guardo e mi sento così forte, così diverso.
Non le voglio rispondere più. Percorro il sentiero che porta in spiaggia.
Lei per un attimo sta zitta, ma poi ricomincia e sento che mi rincorre e, anzi, che a rincorrermi sono le sue parole.
Parole, frasi, gesti, interpunzione, interruzione, congiunzioni.
Ma io non la sento più.
Mai più.
Elena Coppari