STELLE LONTANE, STELLE VICINE
di Pierina Dominici
Ho sempre avuto un sonno fragile, e questa notte proprio non riesco a dormire. Il respiro regolare di mia sorella mi rende nervosa, muovo piano il mucchio di coperte e mi alzo. Il termosifone non ha fatto in tempo a riscaldare casa, l’inverno non è ancora iniziato, ma in collina le temperature di notte si abbassano notevolmente, senza contare che la cima del Monte ieri è stata spolverata di bianco. Infilo il giaccone di lana che ho lasciato sulla sedia e i doppi calzettoni in fondo al letto. Dormiamo con gli scuri aperti, come facevamo da bambine, e la luce del lampione che filtra dalla finestra basta per farmi muovere con sicurezza. Cammino felina e lei non si accorge di niente, non si è mai accorta di niente. Apro e chiudo la porta, scendo di sotto a farmi una camomilla.
Metto il bollitore sul gas, giro la maniglia della portafinestra, esco sulla veranda.
La notte apre allo stupore dell’universo. La falce di luna calante disegna il profilo amato delle colline, sopra Sasso Simone brillano grappoli di stelle, un pulsare lontano e gentile.
Mi siedo sul primo gradino, gli occhi trovano subito il Grande Carro, o meglio Callisto “la bellissima”, trasformata in Orsa per uno dei soliti bisticci amorosi tra Dei.
Scruto il cielo con più attenzione in cerca di Polaris, la stella all’estremo del Piccolo Carro che si trova in posizione quasi coincidente al polo nord celeste. La Stella Polare visibile in ogni periodo dell’anno, fin dall’antichità guida ai naviganti.
Così mi ha insegnato mia madre, una notte di tanti anni fa.
Anche allora non ero riuscita a prendere sonno, anche se mi sarebbe piaciuto chiudere gli occhi e dimenticare. Dimenticare che il mattino dopo mi sarei svegliata e non avrei trovato più mia madre. Invece, oltre gli occhi, tenevo spalancate anche le orecchie. Per questo avevo sentito svicolare la voce impastata di Nanni e i mugugni acidi dell’Annunziatina, il passo da bersagliere di Mengo e quello strascicato di Gnavlin, la tosse stizzosa di Richetto e quella grassa di Pifaron, gli ultimi avventori dell’osteria, e poco dopo la serranda, chiusa dall’Emma con un colpo secco e un farfugliare brontoloso: “Per un bicchiere di vino starebbero a scaldarsi tutta la notte!”.
Poi il rumore del silenzio che faceva esplodere il mio cuore, vecchio di otto anni.
Quel battito anarchico mi toglieva il respiro, perciò ero sgattaiolata via dal letto, offesa dal sonno profondo della Mariola, mia sorella, che di anni ne aveva il doppio di me, ed era preoccupata più degli sguardi di Ginetto che della partenza di nostra madre.
Anche allora sapevo muovermi silenziosa, anche allora ero uscita sulla veranda.
Avevo guardato l’orologio del campanile, l’una e trentadue, mia madre mi aveva già insegnato a leggere le ore. Un frusciare d’ombra mi aveva fatto trasalire, ma la voce
morbida dentro il buio mi aveva rassicurato: “Non riesci a dormire, Lulù?”.
Il mio nome è Lilian, tutti mi chiamano Lilli, solo mia madre mi chiama Lulù.
“Neanche tu dormi.”, dico mentre mi siedo sul gradino accanto a lei.
“Ci vuole qualcuno a vegliare sulla casa.”
“Ah!”, rispondo prendendo con me stessa l’impegno per i giorni futuri. A sigillo del nostro patto non detto mi deposita un bacio su una guancia che ricambio con slancio.
“Un bacio non costa niente, ma vale molto.”, dice mentre mi passa un braccio intorno alle spalle e mi stringe a sé. Respiro il suo profumo di buono che non è lavanda, né sapone di marsiglia, neppure acqua di rose, ma è l’odore di mamma di cui solo lei conosce l’essenza. Vorrei tanto chiederle di non partire, ma so che la mia richiesta la farebbe stare male. Anche lei preferirebbe restare, ma c’è il debito da pagare, se vogliamo mantenere la nostra casa. Mio padre non è in buona salute e non può lavorare, allora tocca a lei.
“Genova è molto lontano?”, chiede la mia ansia bambina.
“No, è molto più vicina delle stelle lassù.”
“Ma le stelle si vedono e Genova no.”
“Se chiudi gli occhi puoi vedere anche Genova, una città con grandi palazzi, il mare…”
“Non mi piace la città.”
“E il mare?”
“Non mi piace neanche il mare.”
“Il mare no, ma le stelle sì?”
“Sì, le stelle sì.”
Strofinavo il viso sulla sua spalla e ricacciavo indietro le lacrime, mentre assaporavo la bellezza cosmica e mi lasciavo penetrare dal mistero dell’ assoluto.
“Allora facciamo che ogni sera c’incontriamo su una stella.”
“Una stella diversa ogni sera?”
“No, meglio la stessa stella ogni sera, così non sbagliamo strada.”
Avevo osservato intensamente il firmamento e mi ero subito persa nell’infinito.
“Sono troppe le stelle, io non so quale scegliere.”
A quel punto lei si era messa a indicarmi le costellazioni dell’Orsa, Major e Minor.
Poi aveva preso a narrare di Callisto che, diventata Orsa per la rabbia e lo sdegno di una dea, aveva rischiato di venire uccisa da Arcas, suo figlio, spaventato dal ringhiare dell’animale, in cui non aveva saputo riconoscere le affettuose effusioni materne.
Solo l’intervento di Giove, il più potente tra gli dei, era riuscito a salvare entrambi portandoli nel cielo.
Davvero mia madre sapeva raccontare storie come nessun altro.
“Ne sai di storie!”
“Lulù, le storie sono come le stelle, un numero infinito.”
“Me le racconti tutte?”
“Un po’ alla volta. Anzi facciamo che ne raccontiamo una ogni sera sulla nostra stella.”
“Posso raccontare anch’io?”
“Certo, una storia tiene sempre compagnia.”
“Mi piacciono le storie.”
“Allora, che stella vogliamo occupare?”
“Possiamo scegliere una stella di Callisto?”
“Che ne dici se scegliamo Polaris, la stella più luminosa del Piccolo Carro?”
“Quella che brilla più di tutte?”
“Sì. La stella che non tramonta mai.”
“Sì, Polaris va bene. Ma sei sicura che non tramonta mai?”
“Sì, anche i marinai in mare aperto, per non perdere la rotta, guardano Polaris.”
“Così anche noi non ci perdiamo.”
“No, noi non ci perderemo mai.”
Come riusciva ad essere convincente, mia madre!
“Vorrei che questa notte non finisse mai.”
“Tutte le cose finiscono, Lulù.”
“La fine delle cose non mi piace.”
“Ma se le cose non finiscono, non ne possono iniziare delle nuove.”
“Ma se poi quelle nuove sono brutte?”
“Pensa un po’ se le cose brutte non finissero mai.”
“Io vorrei che le cose brutte finissero subito e quelle belle restassero per sempre.”
“Tutte le cose hanno un principio e una fine. Però possiamo decidere quali tenere sempre con noi, nella nostra memoria, nel nostro cuore.”
“Allora io terrò questa notte sempre con me.”
“Anch’io terrò questa notte sempre con me.”
Eccola lì la Stella del Nord, lucente e immobile nello stesso punto, incurante del girare degli astri, del tempo che passa, dello spazio infinito.
Respiro il silenzio che viene dal cielo, il freddo pungente mi sta entrando dentro mischiando la nostalgia per mia madre al dolore per la sua morte.
Nel mistero del cosmo non siamo che un atomo di polvere, penso.
Mi alzo dal gradino, mi stringo nel giaccone di lana: continuerò a raccontare storie e
incontrare mia madre sulla nostra stella, fino quando anch’io non tornerò ad essere la materia originaria da cui tutti siamo venuti.
Un ultimo sguardo alla volta celeste.
Nella notte limpida le stelle continuano a palpitare silenziose.
Pierina Dominici
Pierina Dominici è nata e ha vissuto gran parte della vita a Frontino (Pesaro Urbino), piccolissimo comune collinare dell’alto Montefeltro. Oggi vive a Rimini, ma conserva un legame profondo con la sua terra d’origine. Da sempre coltiva la passione per i libri e la lettura, mentre da circa dieci anni si dedica alla scrittura narrativa. Ha frequentato Laboratori di scrittura creativa, tenuti dal Prof. Stefano Benassi, presso Università Aperta di Rimini, mentre di recente ha frequentato Laboratori di scrittura sulla memoria, organizzati dall’Università di San Marino, in collaborazione con la Scuola Holden di Torino. Fa parte del gruppo di lettura della Biblioteca di Coriano. Partecipa di frequente a reading e seminari di scrittura narrativa. Nel corso degli anni ha partecipato a concorsi letterari, in diverse occasioni è risultata finalista e vincitrice. Molti dei suoi racconti sono stati pubblicati in antologie di premi letterari nazionali per inediti.