C’era un raggio di sole…
di Emilia Valentino
In ogni vita c’è sempre un raggio di sole che traspare dagli accadimenti che si susseguono. Anche nei momenti più bui, bisogna solo avere la capacità di cercarlo e tutto sembrerà diverso.
Spesso mi sorprendo a ripensare al mio passato; forse è un’abitudine, forse un’esigenza psicologica, non lo so.
Un fatto è certo non vivo nel passato, ma penso che nell’archivio della mia memoria alcuni eventi sono rimasti impressi a caratteri più forti e altri meno. Mi tengono compagnia, non mi sento mai sola anche se realmente lo sono in quanto i miei due figli sono felicemente sposati e mio marito è venuto a mancare otto anni orsono.
La nostra storia cominciò quando avevo appena tredici anni, ma non è questo il mio primo ricordo. Sono sempre stata una sognatrice, forse sono nata sognatrice.
Ho sempre amato scrivere e leggere. Quando ero poco più di una bambina la lettura del Canzoniere, un periodico che pubblicava testi di canzoni e quant’altro negli anni cinquanta riguardava il mondo musicale, mi regalava materia per i miei sogni.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale c’era in tutti una gran voglia di ricominciare, di vivere serenamente, di dare spazio a progetti rosei per la propria vita futura e anche io facevo tanti progetti
Il primo innamoramento platonico lo devo proprio alla lettura della cronaca del concorso canoro di Radio Roma. Il vincitore fu Claudio Villa, il mio primo grande amore. Richiesi la fotografia con dedica e quando la ricevetti mi parve di avere il mondo fra le mani. La sua voce mi accarezzava l’anima. Lo ascoltavo alla radio e dai dischi che riuscivo a comprare. Mi immedesimavo anche nei personaggi dei romanzi sceneggiati che ascoltavo alla radio e di nascosto di mia madre, persona antiquata e conservatrice, leggevo anche i fotoromanzi che mi prestavano, furtivamente, le amiche.
Le mie amiche erano tutte più grandi di me; una in particolare mi era molto cara: Anna. Abitavamo nello stesso palazzo, andavamo a scuola insieme anche se frequentavamo indirizzi diversi. Era la mia confidente, ci raccontavamo le nostre esperienze nei minimi particolari; era il mio alter ego.
La conoscevo da quando ero nata, già da piccole giocavamo insieme e col passare del tempo la nostra amicizia si cementò prendendo sempre forma più consistente.
Quando giocavamo mi accontentava sempre; da adulte ci confidavamo, ci raccontavamo ogni emozione, ogni sentimento, che cosificavamo e questo me la rendeva sempre più cara. Col passare degli anni incontrai altre amiche, altre persone che entrarono a far parte della mia vita, ma Anna rimase sempre la figura gigantesca che amavo e che amo ancora come allora.
L’amore nella mia vita entrò quando ero molto giovane. Il primo amore fu un amore epistolare. Ci guardavamo solo da lontano perché data la mia giovane età non uscivo mai da sola, ci incontravamo nel tram che ci riportava a casa dopo l’uscita dalla scuola. Ogni volta che incontravo il suo sguardo per la strada per me spuntava un altro sole, tutto prendeva una luce diversa era una luce che splendeva solo per me e tutto ciò che mi circondava non aveva più alcuna importanza. Dedicavo la mia vita, i miei pensieri solo a lui. Gli scrivevo lunghissime lettere che gli recapitavo con l’aiuto delle amiche In esse esprimevo i miei sentimenti più reconditi immaginando che la persona alla quale erano dirette condividesse i miei stati d’animo, capisse i miei sentimenti le mie emozioni, le mie aspettative…. Come mi sbagliavo, ma allora non avevo modo di verificare la mia errata considerazione.
Frequentavo la scuola con molto impegno e pensavo che anche lui percepisse questo impegno come il fondamento della vita. Quella vita che avremmo poi vissuto insieme.
Ben presto scoprii quanto fosse ignorante e inconcludente. Spesso nelle sue lettere notavo errori, sgrammaticature, pensieri insulsi, ma riuscivo a giustificarli e a trovare delle sfumature che creavo io stessa.
Mi diplomai, cominciai a insegnare. Il mio grande sogno si realizzava. Fin da bambina giocavo a fare la maestra di una classe immaginaria e quando veramente salii in cattedra per la prima volta, allora la cattedra era situata su una pedana di legno forse per ribadire il concetto di superiorità della maestra, ero tanto emozionata che tremavo tutta e a fatica riuscii a nascondere la mia inquietudine.
Mi scrissi all’università. Scelsi la facoltà di lingue occidentali: inglese e francese… Dopo qualche anno, però la abbandonai perché l’insegnamento mi assorbiva troppo e non potevo dedicare molto tempo allo studio. L’amore epistolare continuava anche se con un continuo deterioramento. Una mattina, mentre mi preparavo per andare a scuola mi fermai un attimo a considerare le mie aspettative per il futuro….
Rimasi come folgorata, come se un velo si fosse squarciato davanti ai miei occhi.
- Che cosa sto facendo? mi chiesi.
- Sto solo perdendo tempo con un individuo che non conclude niente, che sa solo indicarmi le cose che, secondo lui sbaglio nella mia vita. Basta! devo avere il coraggio di troncare questo inutile rapporto. La vita può darmi tanto e non posso negarmi queste opportunità. –
- Fu la risposta che mi diedi e che posi in essere in brevissimo tempo.
Non fu facile riacquistare la mia libertà. Mi perseguitava, me lo trovavo davanti dovunque andavo, era diventato un incubo, ma alla fine ci riuscii.
Finalmente ero libera di frequentare amiche, amici, partecipare a feste, spettacoli. Non mi sembrava vero., il mio mondo si allargava: altre amiche, altre colleghe, altre relazioni. Era spuntato il mio raggio di sole che c’era da sempre e che solo ora percepivo.
Avevo parecchi corteggiatori e alla fine sposai il più tenace. Lo avevo conosciuto quando avevo appena tredici anni, ma a causa della mi tenera età non ricambiai il sentimento che mi aveva palesato. Dopo ben sette anni ci ritrovammo e sbocciò l’amore. E ci sposammo. Che gioia quel fatidico giorno. Ci sposammo nella chiesa di Santa Lucia a mare dove eravamo andati a ascoltare la messa il giorno del primo appuntamento. Lasciai a lui la scelta dell’itinerario del viaggio di nozze. Sapevo che era molto romantico e infatti non si smentì nemmeno quella volta. Era l’anno in cui Jacqueline Kennedy venne a trascorrere le vacanze a Ravello e per l’occasione fu pubblicata la canzone “A Ravello con te”. Questo fu il motivo per il quale la prima tappa della nostra luna di miele fu: RAVELLO.
Che emozione a trovarmi di notte sola con un uomo in un albergo..: Anche se era mio marito.
Per la verità anche lui era alquanto emozionato quando aprì la porta della camera che ci avevano assegnato. Non ci guardammo nemmeno e facemmo bene, perché avevamo sbagliato camera. Senza accendere la luce intravedemmo nel letto la sagoma di una persona addormentata:
- Forse non è la nostra camera – mi sussurrò teneramente il mio sposo.
- Lo credo bene risposi sottovoce, c’è già nel letto una persona che dorme.
In fretta chiudemmo la porta e cercammo quella che doveva essere la nostra camera.
Fu un soggiorno meraviglioso all’insegna della tenerezza e dell’amore.
Le tappe successive furono Firenze, Venezia e poi Roma.
Per me che ero vissuta sempre in un piccolo quartiere di periferia, ogni giorno era una nuova esperienza. Firenze mi incantò per i capolavori d’arte, i riferimenti storici e letterari.
Di Venezia, la città dell’amore ho un ricordo incantevole. Le calli i ponti, i canali, le gondole. A questo proposito mi è rimasto nella mente un ricordo divertente.
Eravamo affacciati su uno dei tanti ponti sito accanto al nostro albergo e guardavamo le gondole che si dondolavano sull’acqua. Mio marito, sempre persona delicata, chiese a un gondoliere:
- Scusi, si può andare in gondola?
- Siam qui per questo signor – fu la risposta divertita del gondoliere e anche noi scoppiammo a ridere!
Che incanto la laguna, i palazzi le cui fondamenta sparivano nell’acqua, il sole che inondava di luce tutto il paesaggio, lui che mi stringeva fra le braccia…Fu l’inizio di un periodo felice.
Ben presto mi accorsi di essere in dolce attesa. Mio marito contava i giorni che ci separavano dal lieto evento con una trepidazione pari alla mia. Quando uscivamo mi circondava di premure. Una signora che abitava nel palazzo, con la quale poi diventammo carissime amiche, mi raccontò che mi aveva notata per il modo in cui mio marito mi teneva sottobraccio mentre camminavamo.
La nascita della prima figlia fu l’evento più rappresentativo della nostra felice unione. Insegnavo allora in una scuola superiore ubicata alle spalle dello stadio Collana e un pomeriggio mentre camminavo velocemente perché sono una ritardataria cronica, pensai non so perché:
- Ora ci mancherebbe solo che cadessi. –
Non finii di pensarlo e già ero a terra. Un passante si affrettò a soccorrermi, ma stabilito che non avevo riportato alcun ferimento andai regolarmente a scuola. Ero seduta in cattedra e sentivo il rumore di quello che mi sembrava il gocciolare di una fontana….. Ero io che avevo rotto le acque. Spaventatissima mi recai dalla preside che mi accompagnò a casa e al ritorno confidò alla vicepreside:
- Quando l’ho vista salire le scale della sua casa ho tirato un sospiro di sollievo e ho pensato: Meno male che non ho dovuto fare l’ostetrica per la strada. Rimasi due mesi a letto e tutto si accomodò.
Al compimento del nono mese di gravidanza nacque una bimba bellissima, di piccole dimensioni, ma con uno sguardo che si rivelò vivacissimo fin dal primo vagito. Dopo qualche anno si ripetette questa gioia. Nacque un bel maschietto. Io lo chiamavo “l’erede al trono” in quanto il padre, mio marito, si vestì di tutto punto quel giorno per riceverlo adeguatamente e io, prendendolo in giro gli dicevo:
– Capisco la tua gioia, adesso abbiamo chi erediterà il trono, il casato e il titolo, altrimenti chi lo avrebbe ereditato?
Erano frasi semplici che ci tenevano compagnia e ci facevano divertire.
Ci furono anche momenti tristi come in tutte le vite umane quali: le crisi di asma di cui era affetta la bambina, la scoperta dei piedini talici di mio figlio, qualche delusione negli ambienti di lavoro, però uniti li superammo tutti felicemente.
Gli anni volarono via senza che ce ne accorgessimo con l’avvicendarsi di gioie e anche qualche dispiacere. I miei genitori, con i quali convivevamo vennero a mancare, i figli crebbero, si laurearono e presero la loro strada. Che emozione il giorno delle loro lauree non mi sembrava vero: quelli che erano stati i miei bambini ora erano dei professionisti. Si sposarono e io ero nonna. Una nonna che viveva per condividere gli eventi della loro vita e che era sempre presente e partecipava con gioia a tutti gli avvenimenti della loro vita cercando di sostenerli ed essere utile come potevo.
Un triste giorno anche mio marito venne a mancare, ma per superare questo bruttissimo evento mi creai altri interessi: istituii un premio letterario in memoria in sua memoria per valorizzare le sue qualità e i suoi meriti, fondai un’associazione di volontariato e poi ripresi la mia grande passione di sempre: scrivere, scrivere, scrivere….
Emilia Valentino
Il racconto ha partecipato al concorso per racconti brevi “Raccontami una storia: parlami di te”, organizzato dalla Carlo Biagioli srl.