Una raccolta di riflessioni, scoperte e materiale dall’archivio personale dell’attore. Il ricordo di Carlo Verdone: «Sordi è stato un artista d’avanguardia, un futurista»
Il 28 gennaio 2019 la Città Eterna ha voluto ricordare ancora una volta, a quasi sedici anni dalla sua scomparsa, la figura ormai leggendaria di Alberto Sordi. L’occasione è stata offerta dalla
presentazione del volume n° 592 di “Bianco e Nero”, la rivista quadrimestrale del Centro Sperimentale di Cinematografia (CSC) di Roma: un numero speciale dedicato al “Sordi segreto”, esplorandone l’uomo e il cineasta attraverso il materiale proveniente dall’archivio personale dell’attore.
Il volume, curato dal critico cinematografico Alberto Anile, è stato presentato nella suggestiva e assai simbolica location romana della Casa del Cinema, nel cuore di Villa Borghese, alla presenza del curatore dell’opera e di personalità come Felice Laudadio, presidente del CSC, Walter Veltroni, presidente onorario della Fondazione Museo Alberto Sordi ed ex sindaco di Roma;
infine Carlo Verdone, collega e amico del compianto Sordi, nonché a sua volta grande icona del cinema italiano.
La giornata si è aperta con la proiezione della versione restaurata della pellicola “Fumo di Londra”che, nel lontanissmo 1966, rappresentò il primo film da regista per Alberto Sordi. E’ riduttivo
vedere soltanto il lato comico di un film che scorre in modo apparentemente leggero: leggendo tra le righe di un Sordi che arriva ad indossare una parrucca bionda alla maniera di Brian Jones, il
fondatore dei Rolling Stones, c’è infatti un’analisi sociologica molto profonda della società di quegli anni; ossia di come gli italiani e gli inglesi si giudicavano a vicenda, senza voler mai superare i reciproci stereotipi. Sordi veste qui i panni di un antiquario di successo, incorporando tutti i pregi e i difetti di quella borghesia italiana mediamente benestante della metà degli anni ’60: produttiva sì, ma anche molto frivola e mediocre nei comportamenti.
Per il personaggio interpretato da Sordi, Londra è la patria dei negozi di alta moda di Oxford Street e della nobiltà che vive in castelli di campagna, lontano dal trambusto cittadino, trascorrendo le giornate nell’ozio e nella caccia alla volpe, il tutto condito da un ferreo galateo; tuttavia l’antiquario scoprirà alla fine un’altra Inghilterra, rimanendone affascinato e rapito: ossia una terra dove i giovani vogliono rompere con forza distruttiva la monotonia quotidiana.
Ecco aprirsi il sipario alla scena clou degli scontri violenti tra rockers e mods, sotto lo sguardo attonito dei più anziani intenti a giocare a golf: è il campanello d’allarme di una frattura generazionale e di un profondo disagio giovanile. E’ un’analisi che attraversa generi cinematografici agli antipodi tra loro e che culminerà sul grande schermo proprio con “Arancia
meccanica” di Stanley Kubrick, nel 1971.
Possiamo quindi parlare di un Sordi anticipatore di un cinema che rompe gli schemi narrativi accademici, ficcando il naso nella denuncia sociale, seppur da parte sua sempre col sorriso sulle labbra; è, d’altronde, quello stesso Sordi che avrebbe voluto interpretare lo statista americano Kissinger nella pellicola “Il mio caro amico Henry” – ma poi saltò tutto forse per ragioni politiche – oppure calarsi nelle vesti più complesse di Mussolini: ad oggi, del Duce abbiamo soltanto un breve, quanto innocuo, tentativo imitatorio nel film “Il presidente del Borgorosso football club”.
Si è discusso molto di questa «maschera straordinaria», per utilizzare un’espressione che sta molto a cuore a Carlo Verdone; ma si è voluto rendere omaggio anche al Sordi dietro le quinte, ossia a quell’uomo che, finito di girare, tornava ad essere semplicemente se stesso. «Sordi è stato un rivoluzionario del cinema e ha saputo sviluppare una moderna romanità: Carlo in questo ne è
l’erede», è stato il commento di Veltroni che ha ricordato la commozione con la quale i romani diedero il loro ultimo saluto ad Alberto Sordi. «Quel giorno era stato allestito uno schermo che
mostrava alcune immagini tratte dai suoi film. La gente portava il proprio saluto a Sordi con le lacrime agli occhi: poi, guardando lo schermo, non poteva fare a meno di sorridere. Ecco la
grandezza di Sordi», ha aggiunto l’ex sindaco capitolino che ha firmato, per questo volume, un’introduzione dall’eloquente titolo “Sei stato tutti noi”. Intenso e commosso è stato il ricordo di
Carlo Verdone che, con Alberto Sordi, non ha condiviso soltanto una comune professione e passione per il cinema ma soprattutto una vera amicizia.
«Per almeno quindici anni ci siamo frequentati assiduamente; andavamo allo stesso ristorante, sempre allo stesso tavolo, e ordinavamo sempre le stesse cose: era insomma una monotonia uscire con Sordi – ha commentato Verdone con un sorriso – e lui amava stare in compagnia di quelle quattro o cinque persone al massimo, non di più. In casa poi era una persona completamente diversa da quello che si vedeva in pubblico, dove invece si mostrava sempre con la battuta pronta. Dentro casa, un’abitazione austera, si trasformava in un monaco. Era una casa silenziosa ed è strano dire questo di Sordi che, quando si trovava in mezzo alla gente, diventava un caciarone logorroico».
Viene dunque chiesto a Carlo Verdone di esprimere un giudizio sull’Alberto Sordi artista, dopo
averne parlato rispetto al lato più umano e intimo.
«E’ stato un attore gigantesco, perché è stato assolutamente rivoluzionario. Ha creato personaggi fuori dagli schemi dell’accademia, che impostava gli attori secondo un determinato modello: vedi i vari Mastroianni e Gassman, che poi aggiungevano sicuramente qualcosa di loro attraverso la propria verve. Sordi invece era folle, avendo dei tempi di recitazione incredibili: non rispettava le pause, montava sopra le battute degli altri e spesso le ripeteva per tirarne fuori un’altra battuta. Ha fatto dell’avanguardia, era un attore futurista», ha sottolineato Verdone non nascondendo il rammarico per quel declino di Sordi tipico di molti grandi innovatori ed avanguardisti.
«Con gli ultimi film Sordi è finito nel conservatorismo più assoluto; però glielo possiamo concedere. Ha percorso lo stesso tragitto di Giacomo Balla, che ha cominciato con la pittura dinamica per poi terminare con il ritratto delle amanti. E’ nel destino dei più grandi: anche gli ultimi film di Charlie Chaplin sono dolenti e forse è proprio nella natura dell’artista di spessore finire così, come è accaduto anche per Federico Fellini e Orson Welles», è stato il commento bonario di Verdone che, alla fine, ha definito l’amico Sordi come una persona generosa alla quale egli deve molto, anche dal punto di vista artistico.