I cani radioattivi di Chernobyl
Nel suo libro “Preghiera per Chernobyl”, il premio Nobel per la letteratura Svjatlana Aleksievič racconta la sua testimonianza sul disastro della centrale nucleare ucraina del 1986, delle famiglie costrette a lasciare le loro case in fretta e furia e ad abbandonare tutto, compresi i loro amati animali domestici.
In particolare i cani, che cercarono di salire sugli autobus assieme ai loro umani ma furono scacciati letteralmente a calci dai soldati che avevano il divieto di portarli fuori dall’area contaminata. A nulla valsero le suppliche delle famiglie che, con il cuore spezzato, chiedevano pietà per i loro cuccioli: nei giorni successivi furono inviare squadre con il compito di sparare agli animali.
Alcuni però si salvarono. Oggi i discendenti dei cani domestici abbandonati sono circa 300 e hanno formato una comunità canina che abita nei boschi attorno alla zona di maggiore esposizione radioattiva (la cosiddetta “zona di esclusione”, che comprende un’area di 2.600 chilometri quadrati tra l’Ucraina e la Bielorussia e che rimarrà contaminata almeno per i prossimi 24mila anni).
La vita dei cani radioattivi di Chernobyl non è facile: la scarsità di cibo, i rigidi inverni, le malformazioni dovute a mutazioni genetiche indotte dalle radiazioni consente loro un’aspettativa di vita che raramente va oltre i sei anni.
Ma grazie a Clean Futures Fund, l’associazione statunitense che aiuta le comunità colpite da incidenti industriali, sono state create tre cliniche veterinarie nella zona, una proprio all’interno della centrale. I volontari si occupano in particolare di intervenire in caso si emergenze e vaccinano i cani contro rabbia, parvovirus, cimurro ed epatite, cioè le malattie infettive altamente contagiose, rendendo più sicura la zona non solo per i cani, ma anche per i lavoratori e per i visitatori.
Fonte: tpi.it