Sindrome da viaggiatore: Stendhal e le altre.
La sindrome di Firenze
Quando si pensa ad una sindrome da viaggiatore, o turista, si pensa sempre a quella di Stendhal: “Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere”.
Queste parole vennero scritte da Stendhal nel 1817, nell’opera “Roma, Napoli, Firenze” dopo il suo Grand Tour in Italia, dove sperimentò in prima persona questa patologia psicosomatica, durante la visita alla Basilica di Santa Croce a Firenze: la crisi che il luogo d’arte scatenò nel suo animo fu talmente forte da costringerlo ad uscire dall’edificio per riprendersi.
Causa di questa sindrome, nota appunto come sindrome di Stendhal o di Firenze, che fu descritta per la prima volta nel 1979 e diagnostica ufficialmente nel 1982, è la meraviglia che a cui viene sottoposto il turista quando si trova davanti a quadri, statue, palazzi e musei, che colpisce profondamente la psiche. È come se si venisse a creare una sorta di relazione mentale tra l’opera d’arte, il suo creatore e l’ignaro turista, che porta quest’ultimo a trascendere la realtà, con profonde conseguenze psicologiche: il visitatore è costretto ad abbandonare il museo per riprendersi da tachicardia, vertigini, ansia e senso di persecuzione, nei casi più frequenti, ma che possono arrivare fino all’isteria e spingere il soggetto a distruggere l’opera.
Le vittime sono per la maggior parte europei con una formazione classica, tendenti alla solitudine; gli italiani, invece, ne sono immuni per “abitudine” culturale.
La sindrome di Parigi
Idealizzata fino all’estremo, grazie ai libri, ai film, alle foto, agli spot pubblicitari, nell’immaginario collettivo Parigi è la città dell’amore dove bellissime donne vivono le loro favole d’amore che nascono e muoiono all’ombra della Tour Eiffel. E’ facile che il turista che parte alla volta della Ville Lumière, nel suo profondo si senta un po’ come questi personaggi fittizi, pronto a farsi coinvolgere totalmente. Ma la delusione può essere lì, dietro l’angolo.
Lo sanno bene i turisti giapponese: la sindrome di Parigi in effetti è un fenomeno tutto nipponico, tanto che l’ambasciata del Sol Levante a Parigi ha istituito un numero verde per fornire sostegno psicologico ai suoi cittadini. Per i cittadini giapponesi, irregimentati nelle loro rigide regole comportamentali e profondamente diversi per cultura dai francesi, il disagio provocato dal contrasto tra la visione idealizzata della capitale francese e la sua realtà è talmente forte da generare questa particolarissima sindrome.
Scoperta negli anni ’80 da un medico psichiatra giapponese dell’Hotel-Dieu, presenta stordimento, senso di delusione fino ad una percezione distorta del mondo e di se stessi, stati d’ansia, allucinazioni, deliri di persecuzione, tachicardia e depressione. L’unica soluzione è il rimpatrio: dopo pochi giorni a casa il turista si riprende completamente.
La sindrome di Gerusalemme
Città Sacra per eccellenza, simbolo di tutte e tre le religioni monoteiste, Gerusalemme è sicuramente la città più intrisa di spiritualità di tutto il mondo al punto che il viaggiatore più sensibile può incorrere in qualche problema.
In particolare i turisti di fede ebraica e cristiana, i più colpiti, vengono colti da allucinazioni e psicosi: chi pretende di essere un personaggio della Bibbia (Maria, Giuseppe, Abramo, Mosè e Gesù), chi si mette a predicare incitando o inveendo contro la folla con addosso lenzuola come se fossero tuniche, chi si ritrova ad ascendere al Calvario portando sulle spalle una croce di legno, fino al caso estremo di un australiano che nel 1969 tentò di bruciare la spianata delle Moschee per “favorire l’avvento del Messia”.
Le guide ne sono ben consapevoli e tengono particolarmente d’occhio, nei gruppi, chi tende ad isolarsi e a staccarsi, soprattutto dopo la visita al Muro del Pianto: la sindrome si manifesta come un disturbo dissociativo della personalità e i malati adottano un’identità di cui in seguito non hanno memoria. Anche in questo caso l’unica cura è l’allontanamento e il tempo: infatti, dopo qualche giorno, i turisti “invasati” tornano alla realtà, si vergognano e non riescono a spiegare il loro comportamento.
In realtà, si ritiene che le persone colpite dalla sindrome di Gerusalemme, siano già predisposte a tali atteggiamenti e che la città non faccia altro che risvegliare il loro disturbo latente.
Fonte: hthuffingtonpost.it